Riforme istituzionali, le opposizioni facciano fronte comune per la Costituzione

18 Settembre 2023
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 Alfiero Grandi

La maggioranza delle destre (dove sono i moderati?) ha deciso che le modifiche della Costituzione saranno il centro della propria iniziativa politica, visto che resta ben poco spazio per intervenire sui problemi che angosciano la vita quotidiana delle persone. Attenzione, però, a considerare questa scelta solo come un diversivo.

Un disegno in cui tutto si tiene

La questione delle riforme costituzionali, infatti, rappresenta il collante più importante della maggioranza. Tant’è che se salta un pezzo dell’accordo si torna a votare e questo dovrebbe essere un allarme per le opposizioni (l’uso del plurale è d’obbligo visto che non c’è un accenno di coalizione). Farsi trovare impreparati una seconda volta dopo la sconfitta drammatica del 2022 sarebbe diabolico.

E occorre sbrigarsi, anche il legame temporale tra i vari interventi istituzionali non sembra più un problema: avanti con l’autonomia differenziata, a seguire l’elezione diretta del premier con il corollario di una nuova legge elettorale maggioritaria, in mezzo la giustizia per sottrarre autonomia alla magistratura, soprattutto a quella inquirente.

Ognuna delle componenti della destra al governo vuole il suo obiettivo. Tanto che, come accaduto con il regionalismo (un disegno di legge di iniziativa governativa), anche per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio ci sarà una proposta dal governo. E così sarà anche per la giustizia.

Lo stravolgimento della Costituzione

Simul stabunt, simul cadent. La maggioranza reggerà se tutto andrà in porto nell’arco della legislatura. Paradossalmente, però, persino il tanto agognato premierato, che sta così a cuore a Meloni, verrebbe ridimensionato dall’eventuale approvazione del regionalismo differenziato. Comunque sia, l’autonomia regionale e il premierato cambierebbero radicalmente la Costituzione.

Infatti, per quanto il governo taccia sul punto, l’elezione diretta del premier causerebbe lo stravolgimento conseguente del ruolo del Parlamento, che potrà approvare solo ciò che viene deciso dall’esecutivo (o meglio: dal suo capo). Comprimere ulteriormente le funzioni delle Camere, che sono state già fin troppo manomesse, rendendole ancor più subalterne rispetto al governo implicherebbe che lo scricchiolante sistema di divisone dei poteri pubblici sia accentrato pressoché interamente nelle mani del Presidente del Consiglio.

Le destre, insomma, realizzerebbero così l’antico sogno di mettere in soffitta la Costituzione del ’48, a cui tempo fa Gianfranco Fini aveva rinunciato per accettare proprio il terreno di valori della nostra Carta fondamentale. Oggi, invece, Meloni e soci puntano di nuovo a stravolgere il fondamento antifascista e parlamentarista del nostro Stato, superando decisamente le colonne d’Ercole della Repubblica. Ma il mondo che si prospetta non è affatto nuovo ed ha anzi il retrogusto rancido, vecchio di una cerchia ristretta che decide e usa lo Stato per occupare il potere, mentre il resto dei cittadini può solo assistere e delegare una volta ogni cinque anni. Almeno finché dura.

L’aspetto più impressionante è che non sono previsti contropoteri di controllo e riequilibrio (in buona sostanza, strumento che possono fermare gli eccessi nell’uso dei poteri). Nella Costituzione americana, ad esempio, è sì previsto un presidente forte, ma con il contrappeso di poteri rigidamente divisi rispetto a quelli attribuiti al Congresso (non a caso negli Stati Uniti l’assemblea legislativa è eletta in modo del tutto autonomo dal Presidente). Per non parlare del rapporto tra Stato federale e Stati federati, della Corte suprema e così via… Ma nella discussione sul premierato in Italia, ahinoi, non c’è minima traccia di tutto questo.

La necessità di una legge elettorale proporzionale

La legge elettorale sarebbe il completamento del disegno della destra: maggioranza parlamentare garantita con un premio anche per coalizioni che ottengono una percentuale di voti validi ben al di sotto del 50% e parlamentari di fatto nominati dall’alto perché eletti in liste collegate ai candidati premier. Insomma, tra la proposta dell’Italicum di Renzi e quella della destra oggi c’è notevole sintonia. Con buona pace della cospicua giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema.

In questo quadro, deputati e senatori potrebbero solo approvare le proposte di un governo che avrebbe nel Presidente del Consiglio un centro di potere fin troppo ingombrante: è un cambio istituzionale radicale che contrappone il ruolo del premier a quello del Parlamento, definitivamente relegato in posizione subalterna.

L’opposizione, però, non può limitarsi ad emendare e, anzi, deve chiarire al Paese che votare il capo del governo è un cambio di sistema costituzionale, proponendo in alternativa un rilancio della centralità delle Camere e in particolare di eleggere i parlamentari con una legge elettorale proporzionale che preveda anche le preferenze. In buona sostanza, occorre puntare sul voto per il Parlamento contro il voto per il premierato.

Le istituzioni, infatti, compiono scelte che riguardano la vita delle persone, in particolare di chi lavora, o vorrebbe farlo. Un Parlamento autonomo e permeabile alle esigenze sociali può ad esempio discutere di salario minimo, potere d’acquisto, occupazione, disuguaglianze sociali e territoriali… mentre il mandato ad una persona per cinque anni, senza neppure prevedere contropoteri, è una sorta di Gratta e Vinci che rischia di costare molto caro all’Italia.

La società sbaglierebbe a non occuparsi delle scelte istituzionali e le opposizioni debbono decidere ora, senza attendere l’attacco della destra, iniziando dalla proposta di una nuova legge elettorale che cancelli quella attuale – peraltro incostituzionale, visto che con essa la destra ha guadagnato il 59% dei parlamentari a fronte del solo 44% dei voti validi conseguiti alle urne.

Le vie possono essere diverse. Condizione iniziale per partire è presentare una seria proposta in Parlamento, poi bisogna mettere in crisi la legge elettorale in vigore con ricorsi alla Corte costituzionale e alla Corte europea, oppure occorre trovare il coraggio di sottoporre gli aspetti principali del cosiddetto “Rosatellum” a referendum abrogativo, come ha indicato un lavoro dell’Associazione ex parlamentari della Repubblica.

Si tratta di una sfida cruciale. Chiunque voglia mantenere i connotati di fondo della nostra Costituzione deve rendersi conto che l’offensiva delle destre è ormai in campo. Mancano solo le risposte delle opposizioni.

 

 


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