Referendum, non ci lasciamo imbrogliare: si deve votare per difendere la democrazia

19 Maggio 2025
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Carlo Di Marco


 

La posta in gioco è molto alta, direi altissima: il non raggiungimento del quorum renderebbe inutilizzato l’unico strumento ancora integro rimasto a sorregge la democrazia costituzionale nata dalla Resistenza. Essa, infatti, non è semplicemente a rischio: è già stata dimezzata anche se, in apparenza, con gli strumenti della democrazia stessa e in suo nome. Ma andiamo per ordine.

La nostra democrazia poggia su tre capisaldi strategici diversi, ma fra loro strettamente legati: la rappresentanza, la partecipazione popolare e la democrazia diretta. In questo quadro, la forma di governo derivante dal dettato costituzionale è quella parlamentare. Lo sforzo dei costituenti, infatti, era orientato alla costruzione di una democrazia compiuta e nel gioco politico fra le organizzazioni della Repubblica, il Parlamento sarebbe diventato primus rispetto agli altri organi, ma questo primato si legava organicamente al principio di rappresentanza degli interessi collettivi. In altri termini, esso poteva avere senso con un Parlamento rappresentativo di tutto il popolo: al venir meno di tale carattere, il primato del Parlamento sarebbe diventato vano. Un Parlamento che rappresenta gli interessi parziali di una parte del popolo, infatti, esprime la sua fiducia a un Governo che si lega agli stessi interessi parziali. Così lo stesso Parlamento finirebbe per soccombere alla prevalenza del Governo riducendosi al rango di mero ratificatore.

Così si minano i capisaldi della nostra democrazia

Si tornerebbe così ai caratteri mono-classisti del vecchio Stato liberale annullando quella rivoluzione costituzionale propugnata dalla Resistenza. Ebbene, tutti sappiamo, che questo primo caposaldo della democrazia, purtroppo, è venuto meno. Non mi dilungo sulle responsabilità di questa sconfitta – questione che pure ha un peso gigantesco per il futuro e ci tornerò -, qui mi limito a sostenere che le armi usate per tale disfatta sono due: il sistema elettorale e la riduzione del numero dei parlamentari. Con riferimento alla prima, dopo l’infatuazione per il maggioritario degli anni ‘90 il Parlamento transitava per due leggi elettorali bocciate dalla Corte costituzionale perché antidemocratiche; non legiferava in osservanza delle decisioni della Corte ed ora vige un sistema elettorale in cui non sono gli elettori a scegliere i propri rappresentanti, bensì le segreterie dei partiti in lizza. Va aggiunto che questo sistema elettorale sembra andar bene a questo Parlamento, semmai, come più volte preannunciato, esso dovrebbe solo renderlo assonante con gli orientamenti autoritari del Governo Meloni e non mancherà di farlo.

Sotto altri profili, molto funzionale a questo progetto antidemocratico, si rivelava la seconda arma contro la rappresentanza, quella della riduzione del numero dei parlamentari. Questa revisione costituzionale ha portato a completamento la trasformazione del Parlamento in uno strumento dell’esecutivo a guida postfascista che oggi decide per tutti, nonostante che sia espressione di una compagine di forze politiche che rappresenta una minoranza della popolazione.

Il secondo caposaldo della democrazia costituzionale disegnato nell’art. 3 secondo comma della Costituzione è la partecipazione di tutti “all’organizzazione economica, politica e sociale del Paese”. Senza limitazione alcuna, né di tempo né di numeri né di modalità e di mezzi se non quelli fissati negli artt. 17, 18 e 21 Cost. relativi alle libertà di riunione, associazione e manifestazione del pensiero. Qui il quadro è desolante: da un lato, l’abbattimento della partecipazione elettorale, dall’altro, la progressiva assenza delle persone dai luoghi e dai contesti nei quali possibile sarebbe l’esercizio della cittadinanza attiva in ogni momento dell’agire politico, hanno determinato progressivamente, soprattutto negli ultimi tre decenni, una grande crisi della partecipazione. Ma non può sottacersi che questo risponde a un disegno politico di chi ha governato e di chi governa poiché cultura, consapevolezza, coscienza sociale e impegno partecipativo non vengono da dio. Alla conoscenza, pertanto, si è sostituita l’apparenza; alla critica l’ordine delle superficialità; alla solidarietà si vorrebbero sostituire l’individualismo, i miti della razza, la violenza. Un costante e martellante gioco mediatico genera equivoci, falsità e ignoranza. E si è smarrito quasi per intero il concetto nobile della politica come pratica e bene comune della collettività, appartenente a tutti i cittadini, non proprietà privata dei partiti degeneri, diventati, purtroppo, comitati di affari di piccole oligarchie di potenti.

Votando i referendum si difende il potere degli elettori

In questo quadro così preoccupante, la posta in gioco è altissima perché una sconfitta (consistente nel non raggiungimento del quorum minimo per la validità dei referendum dell’8 e 9 giugno) rappresenterebbe purtroppo la perdita di questa grande opportunità di utilizzo del terzo pilastro della democrazia costituzionale. Quello che gli elettori possono esercitare direttamente senza la presenza intermedia di partiti e altre forme associative: tali organismi possono solo avere un ruolo di promozione; senza atti autorizzatori da parte del Governo salvo intervento di innovazione legislativa da parte del Parlamento. Anzi, l’elettorato scavalcherebbe tutti a piè pari con un semplice voto e l’esito non potrebbe essere aggirato; la vittoria del SI abrogativo farebbe sparire una legge o parti di essa dall’ordinamento giuridico e nessun giudice potrebbe riesumarla; e il Parlamento non potrebbe nemmeno riproporla se non dopo almeno un quinquennio e dopo un mutamento sostanziale della situazione politica del Paese. In via ordinaria, un Parlamento rappresentativo nel legiferare recepisce le istanze partecipative dei cittadini espresse anche attraverso le più svariate forme associative di base; ascolta le opposizioni secondo il metodo democratico e le regole di funzionamento degli istituti di controllo; recepisce la giurisprudenza costituzionale ecc. La venuta meno di questa ordinarietà, può richiedere l’intervento diretto e decisorio del corpo elettorale che passa, appunto, attraverso il referendum abrogativo e quello costituzionale nei casi di revisione della Costituzione. Ebbene, il mancato raggiungimento del quorum nei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno porterebbe, purtroppo, a una situazione completamente nuova: questo Paese si mostrerebbe ormai privo di capisaldi democratici e si aprirebbero scenari autoritari e neofascisti. Si tratta di un obiettivo a cui, senza ombra di dubbio, punta il Governo Meloni, ma purtroppo anche altre istituzioni della Repubblica. Il Presidente del Senato, infatti, in concerto con esponenti del Governo e con la stessa Premier, invita espressamente i cittadini al non voto. Gli organi di informazione sono indotti al silenzio assoluto sui referendum, ne deriva una disinformazione quasi completa dei cittadini. Si aggiungono singolari interventi di vari prefetti e dirigenti di pubblica sicurezza che sempre più spesso identificano tutti coloro che esprimono semplicemente il proprio dissenso sulle scelte del Governo Meloni creando così un diffuso clima di paura.

Il voto è un diritto che in questo momento gran parte l’elettorato non vuole esercitare, bisogna prenderne atto, ma ora non dobbiamo rieleggere il Parlamento e dare il consenso elettorale a questo o quel partito, dobbiamo votare SI per espungere dall’ordinamento giuridico norme di legge che quegli stessi partiti hanno introdotte arbitrariamente, contro i diritti dei lavoratori e dei migranti regolari in Italia.

Abbiamo avuto mirabili segnali di maturità del popolo italiano nello svolgimento di vari referendum e si può tornare a vincere. Alcuni degli ultimi referendum costituzionali come quello del 2006 e quello del 2016 hanno fatto scuola. Vero che in questi, per la loro validità, non c’era l’obbligo del raggiungimento del quorum, ma è anche vero che si era recata alle urne molto più della maggioranza degli aventi diritto. Ancor prima, l’8 e il 9 novembre 1987 l’elettorato aveva votato in cinque referendum abrogativi; tre di essi riguardavano la situazione del nucleare in Italia. Il quorum si era raggiunto con un’affluenza del 65,1%. La vittoria del SI era stata schiacciante e tra il 1987 e il 1990 si fermavano definitivamente le centrali rimaste attive. Ancora, nei giorni 12 e 13 giugno 2011 gli italiani avevano votato per il referendum sull’acqua e sul nucleare per l’abrogazione delle nuove norme che consentivano di adottare una strategia energetica nazionale atomica. La partecipazione degli elettori raggiungeva il 54,79% e il SI prevaleva con il 94,05% dei voti validi.

Le vittorie referendarie hanno cambiato il Paese

Sono state grandi vittorie: la Costituzione è stata difesa dall’elettorato ed è ancora quasi integra, fatti salvi alcuni tristi casi in cui su scellerate proposte di revisione costituzionale – volute da forze politiche che qui mi limito a definire anticostituzionali – l’elettorato si è recato alle urne in percentuali basse: per la revisione del Titolo V della Costituzione nel 2001 si recò alle urne appena il 34,1% degli aventi diritto. Se fosse stato un referendum abrogativo non sarebbe stato validato. Nei casi dei referendum abrogativi sopra citati, inoltre, le vittorie del popolo sono state di grande rilievo, specie contro la scelta del nucleare che oggi però si ripropone da parte del Governo con un ddl che vuole riportarlo in auge, come se i due referendum non ci fossero stati. Sarà oggetto di un altro referendum.

Da quanto detto, nonostante il grave atteggiamento del Governo che invita i cittadini al non voto e fa di tutto per impedire la diffusione delle informazioni sui canali televisivi pubblici, siamo persuasi che anche questa battaglia possa essere vinta. Di grande peso sono stati e restano le dichiarazioni di importanti personaggi dello spettacolo come Geppi Cucciari che hanno scelto di esporsi consapevolmente anche agli attacchi osceni da parte di quelle “legioni di imbecilli” di cui Umberto Eco ci preannunciava amaramente le squallide performances. Nella stessa direzione si orienta l’appello di oltre 400 lavoratori dello spettacolo per cinque Sì ai referendum. Tra i firmatari: Angela Finocchiaro, Lella Costa, Lino Guanciale, Marina Massironi, Ottavia Piccolo, Paolo Fresu, Francesco Paolantoni, Serena Dandini, Ricky Gianco, Punkreas, Elio De Capitani, Ferdinando Bruni, Claudio Batta, Rita Pelusio e tanti altri. Tutto questo anche in presenza, purtroppo, di una parte della sinistra “di opposizione” che si è già schierata contro i diritti dei lavoratori e dei migranti italiani.

Il voto è un diritto e un dovere civile, ma il popolo ha già dimostrato che è soprattutto uno strumento di lotta. E sono fiducioso che lo dimostrerà ancora.

 

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