Mandati di arresto per Netanyahu, Gallant e Deif: il primato del diritto internazionale sulla legge del più forte

23 Novembre 2024
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C’è una cosa che molti non vogliono vedere: l’azione del governo Netanyahu è criminale. Molte migliaia di morti in un anno, centinaia ogni mese, civili, donne e bambini. Devastazione totale. Per chi guarda i fatti con onestà e senza pregiudizi che questa sia un’attività criminale è manifesto. Il mandato di arresto contro Netanyahu non è altro che una presa d’atto di quests realtà (a.p.). 

Le decisioni della Camera preliminare della Corte penale internazionale ci ricordano un principio fondamentale: la legge è uguale per tutti.

 Cinzia Sciuto  - Micromega

Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant e Mohammed Deif. Tre nomi che, per motivi diversi, hanno segnato il tragico teatro del conflitto israelo-palestinese e che ora si trovano accomunati da un mandato di arresto internazionale emesso dalla Camera preliminare della Corte Penale Internazionale (CPI). Una decisione che ha un peso specifico enorme: non ancora una condanna definitiva (la Camera preliminare è più o meno l’equivalente del nostro gip, che valuta le prove portate dall’accusa e stabilisce se ci sono le basi per andare a processo), ma un atto che mette in moto la macchina della giustizia internazionale e soprattutto che mette tutti i paesi firmatari dello Statuo di Roma di fronte alle proprie responsabilità.

La Corte penale internazionale non dà giudizi politici o morali sulle azioni di guerra ma indaga su azioni specifiche, violazioni documentate delle leggi di guerra in capo a individui. A essere nel mirino della CPI non sono dunque in sé né l’operazione di Hamas del 7 ottobre né la risposta militare di Israele, ma specifici comportamenti che gli indagati hanno portato avanti nell’ambito di queste operazioni.

Nello specifico Netanyahu e Gallant sono accusati del crimine di guerra di aver usato la fame come metodo di guerra; e dei crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti inumani. In particolare la Camera ha ritenuto che vi siano ragionevoli motivi per ritenere che Netanyahu e Gallant abbiano “intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità, almeno dall’8 ottobre 2023 al 20 maggio 2024”, che è il periodo preso in considerazione dalle indagini del procuratore Khan.

Deif, nel suo ruolo di comandante delle Brigate al-Qassam – il braccio militare di Hamas – è invece accusato dei crimini contro l’umanità di “omicidio, sterminio, tortura, stupro e altre forme di violenza sessuale, nonché dei crimini di guerra di omicidio, trattamento crudele, tortura, presa di ostaggi, oltraggio alla dignità personale, stupro e altre forme di violenza sessuale” perpetrati soprattutto nella giornata del 7 ottobre 2023 ma anche nei mesi successivi in relazione agli ostaggi trattenuti a Gaza. Le medesime accuse erano rivolte anche a Sinwar e Haniyeh, che però sono stati uccisi da Israele negli scorsi mesi.

 Dopo aver paragonato le aggressioni contro i tifosi del Maccabi ad Amsterdam alla “notte dei cristalli”, Netanyahu è andato come previsto all’attacco della Corte accusandola di antisemitismo e paragonando questo provvedimento al “caso Dreyfus”. Ma basta guardare la lista dei casi di cui la Corte si è occupata negli scorsi anni per smontare questa accusa.

Rafforzare gli strumenti del diritto internazionale è la sola strada che ci rimane per sperare che le controversie internazionali non vengano risolte con la forza. È il medesimo diritto internazionale al quale ci appelliamo per condannare la condotta di Putin in Ucraina. E il diritto ha – dovrebbe avere – questa caratteristica: è uguale per tutti. Come diceva Václav Havel, “la legalità è il potere dei senza potere”, e questo deve valere anche in ambito internazionale.

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