“Piombo fuso” ovvero azione criminale a Gaza

30 Settembre 2009
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Massimo Marini

Ora è ufficiale: Israele ha commesso crimini di guerra durante l’operazione “Piombo fuso” protratta per quasi un mese tra dicembre 2008 e gennaio 2009 nella striscia di Gaza e che ha provocato 1.400 morti di cui oltre il 50% civili che non hanno preso parte alle ostilità, compresi oltre 300 minori. Ma non è sui numeri delle vittime, per quanto sconvolgenti (in media oltre 60 morti al giorno) che si è basata la speciale Commissione di indagine ONU istituita ad hoc e presieduta da un ebreo sudafricano, Richard Goldstone: ma su una amplissima gamma di violazioni che vanno dal particolare – come il “massacro deliberato” di novantanove allievi di polizia di Gaza avvenuto il 27 dicembre 2008 durante la cerimonia di diploma di un corpo con soli scopi di polizia interna, “totalmente estraneo alle ostilità”; al sistematico – come l’utilizzo di fosforo bianco in “aree densamente popolate”, o la “distruzione deliberata di vaste aree residenziali, industriali e agricole”. Passando per gli episodi più infami – come “l’ordine impartito dai comandanti delle forze militari, di sparare su ambulanze e gruppi di soccorso”, e quelli più cinicamente strategici – come l’embargo coatto di materiale di soccorso, sanitario e pediatrico, il cui ingresso nei “territori” viene ritardato in alcuni casi fino al deterioramento dei prodotti e che ha assunto i gravi, in senso formale, contorni della “persecuzione”. Scorrere il rapporto ONU e leggere la strategia generale, così come i singoli episodi è un continuo pugno nello stomaco. Il più doloroso è forse il passaggio in cui si descrive lo sterminio di un’intera famiglia palestinese di 29 membri ad opera del glorioso esercito Tsahal, ed in particolare quando viene riportato il racconto dell’unica sopravvissuta che ha dovuto assistere alla “trucidazione” di suo marito e del figlio (di 4 anni), inermi nella loro casa. Insomma le conclusioni del Rapporto ONU sembrano essere perfettamente in linea con la risoluzione 3.379 che dichiarava il sionismo “una forma di razzismo”, dato che sebbene Goldstone sia riuscito ad addolcire in qualche modo la pillola, evitando il termine “punizione collettiva”, di fatto nel dossier si parla di “aggressione deliberatamente sproporzionata, che ha avuto lo scopo di punire, umiliare e terrorizzare una popolazione; stroncare la sua capacità economica di provvedere a se stessa e instaurare in essa un senso ogni giorno di dipendenza e di vulnerabilità”. Inoltre, nel rapporto allegato dell’Agenzia ONU per i rifugiati si parla di “progetto graduale di sotto-sviluppo di tutti i settori per devastare le vite, accrescere la disoccupazione, e aumentare la dipendenza della popolazione dagli aiuti”. E adesso? Dal punto di vista strettamente tecnico e formale, i capi politico-militari e i soldati che hanno commesso crimini di guerra comprovati, come in questo caso, possono essere trascinati davanti al Tribunale Internazione dell’Aja da qualunque giudice di uno Stato membro delle Nazioni Unite che decidesse di farlo. Naturalmente sarà molto difficile vedere Tzipi Livni, Ehud Barak o qualche loro generale davanti alla sbarra, vista la copertura diplomatica di cui Israele dispone e che si è già messa in moto. I media internazionali, ad esempio, stanno dando enorme risalto ai vaneggiamenti antisionisti di Ahmadinejad e di Gheddafi, e stanno deliberatamente ignorando le gravissime conclusioni a cui è giunta la Commissione Goldstone. Intellettuali e opinionisti ebrei o filoisraeliani in tutto il mondo, tra cui anche “la nostra” Fiamma Nirestein, hanno già attaccato il solito mantra da eterni vittime di congiure. Ma è a livello diplomatico che in particolare gli ebrei americani si stanno muovendo con la loro potente lobby al solo fine di screditare, minimizzare, tacciare di antisemitismo qualsiasi straccio di documento evidenzi le responsabilità di Israele durante Piombo fuso, con tanto di sponsorizzazione pubblica di Morris Abram, niente meno che l’ex rappresentante permanente USA presso l’ONU a Ginevra. Insomma, ancora una volta l’ONU prova a compiere il suo ruolo in modo credibile e puntuale, ma per l’ennesima volta i “superiori interessi” della realpolitik e della geopolitica, spianano come i carri armati israeliani sulle case di Gaza, ogni velleità di giustizia internazionale. E Obama? Obama è in difficoltà, annaspa. Stritolato dalle questioni interne (la sanità) e la guerra in Afghanistan, non riesce a giocare il ruolo che avrebbe voluto nel conflitto mediorientale. Nei confronti dei negoziati israelo-palestinesi sta paurosamente arretrando – da richiesta di “congelamento” degli insediamenti avanzata all’indomani del suo insediamento si è passati alla richiesta di “contenimento” durante l’ultimo vertice. Intanto il tempo passa e Gerusalemme è di fatto oramai israeliana, il muro avanza, le colonie pure, la frammentazione di Gaza appare oramai inconciliabile con la creazione di uno Stato sovrano (su cosa? senza un minimo di continuità territoriale?). La speranza è che il rilancio dell’immagine del Presidente USA avvenuta durante gli ultimi vertici su clima e nucleare, possa contribuire a ridargli quel peso politico necessario per portare avanti una trattativa di pace che se lasciata ai due attori protagonisti non ha alcuna possibilità di arrivare da nessuna parte.

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