Vittorio Bachelet: un grande cattolico-laico

21 Febbraio 2010
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Giovanni Marongiu

Il 12 febbraio di trent’anni fa Vittorio Bachelet veniva assassinato dalle Brigate rosse nelle scale della Sapienza di Roma alla fine di una lezione, ancora circondato dai suoi studenti. Era un illustre professore di Diritto amministrativo e per noi, allora giovani studiosi, quell’episodio atroce destò una profonda emozione. Vittorio Bachelet era non solo un Maestro di diritto, ma anche un uomo speciale. Già presidente dell’Azione cattolica e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, costituiva una esempio raro di cattolico-laico, impegnato con rigore, apertura al dialogo e grande senso etico nella ricerca scientifica, nel sociale e nelle istituzioni.
Per Bachelet ciò che contava non era soltanto l’interesse pubblico (ch’egli ben aveva studiato e illustrato in tanti lavori scientifici), ma il “bene comune”, e cioé l’interesse pubblico inteso non tanto come interesse dell’amministrazione, dell’organizzazione amministrativa, ma come bene della comunità. E nel concetto ricomprendeva quella solidarietà che per noi laici costituisce la sostanza della fraternité, la più dimenticata delle entità che costituisce, insieme alla liberté e all’égalité, la celebre triade rivoluzionaria.
Bachelet, uomo mite e tranquillo, faceva parte di quel cattolicesimo sobrio e rigoroso, che considerava un governo senza etica e rispetto della legalità nient’altro che un’accolita di briganti.
Quanto necessari sarebbero oggi uomini di quella tempra!
Non ho avuto modo di conoscerlo se non attraverso i suoi scritti, ma ne ho sentito parlare a lungo e con grandissimo rispetto da un mio Maestro, Franco Ledda, anch’egli ordinario di Diritto Amministrativo, amico e collega nell’Ateneo romano di Bachelet.
Ed è di un altro sardo, anch’egli illustre Maestro del Diritto Amministrativo, Giovanni Marongiu, il ricordo di Vittorio Bachelet che segue, tratto dall’Introduzione al volume degli scritti giuridici di Vittorio Bachelet - Costituzione e amministrazione, Ed. AVE 1992. (A.P.)

Per comprendere appieno la segreta ispirazione, e i profondi legami con la sua vita umana e civile, che hanno contraddistinto l’attività di ricerca scientifica e di insegnamento di Vittorio Bachelet, occorre rifarsi agli anni in cui, subito dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia si dava una nuova Costituzione, che mutava radicalmente le sue forme politiche e i suoi assetti civili, e la società nazionale iniziava un lento ma profondo processo di trasformazione destinato a mettere a dura prova proprio quelle forme e quegli assetti.
Dunque i valori costituzionali sono, per Vittorio Bachelet, il vero polo di attrazione: non si tratta, però, solo di un rinvio, naturale e quasi obbligato, per un giurista positivo e per un giurista della sua formazione. Il riferimento sistematico ai principi fondamentali della Costituzione è stato assunto nel suo metodo, faceva parte, intrinsecamente, della sua formazione metodologica e della sua pratica di ricerca.
Come non vedere qui un punto di incontro tra la sua scelta scientifica e la sua scelta politica; come non sentire che proprio qui la laicità della ricerca assume un suo punto di vista metascientifico, che si fa progressivamente orizzonte, misura e forza alimentatrice?
Se si vuole, si può andare ancor più in profondità: alla base della continua e diuturna critica a ogni forma di isolamento, di chiusura e autoreferenzialità delle istituzioni autoritative dello Stato c’è il bisogno di difendere la dignità umana - lo farà esplicitamente a proposito dell’ordinamento militare, interpretando la sostanza dell’art. 52 della Costituzione nello spirito democratico che informa la Repubblica -come valore supremo e irriducibile, la cui forza è tanta e tale da richiamare necessariamente quel fondamento trascendente, e quindi religioso, che misteriosamente collega ogni parte della sua vita.
Questo costante riferimento ai principi costituzionali, in una chiave insieme formale e sostanziale, fece del metodo di Bachelet un metodo “sicuro” e preservò la sua opera da sbandamenti e da oziosità certo non infrequenti nella dottrina, pur sorvegliata, dell’ultimo trentennio.
Per altro verso noi sappiamo quanto egli si inoltrò nella lunga riflessione sulle nuove forme che lo Stato andava assumendo nell’amministrazione pubblica riguardata nel suo “agire”, come organismo di intervento economico, come organizzazione militare, appunto, e come insieme di uffici e organi tecnici; nei rapporti fra la legge e l’attività amministrativa riguardati sotto l’angolo visuale della programmazione economica; nei cardini fondamentali della giustizia amministrativa.
Per il profilo generale che qui interessa è importante rilevare, innanzitutto, come Bachelet si accostasse a questi temi in una perenne disposizione del suo animo, prima ancora che della sua mente, a fare di ogni conoscenza delle cose una autentica “comprensione” delle cose stesse nelle loro reciproche relazioni e nelle loro più segrete connessioni.
E, in secondo luogo, la sua specifica capacità - su un terreno nel quale, come si vede, onnipresente e quasi d’obbligo era il rischio di slittamento verso modalità, se non autoritarie certo prevaricatrici, limitanti fortemente le libertà non solo economiche, ma anche civili - di tener fermo sempre un punto dinamico di equilibrio tra autorità e libertà, a difesa dei diritti fondamentali e delle garanzie poste per la loro tutela.
Tutto ciò non sarebbe stato forse possibile se alla base della sua ricerca giuridica non ci fosse stata una scelta, appunto, pregiuridica, una sorta di norma etica fondamentale dalla quale non si sarebbe discostato mai.
La stagione felice di questa feconda riflessione si concentra nel primo ventennio di questo dopoguerra.
Dalla seconda metà degli anni ‘60 Bachelet fu preso, come sappiamo, anche da altri impegni, come Presidente dell’Azione Cattolica Italiana e come Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; poi, questi impegni, nei quali dette un’alta prova di sé, tutt’altro che disgiunta da quella data sul piano scientifico, se non gli impedirono significativi contributi, attenuarono il suo lavoro continuo di ricerca.
La morte avrebbe tuttavia colto Vittorio Bachelet in un punto ancora alto della sua maturità di uomo e di studioso.
Se molte cose egli aveva detto e fatto, molte altre ne avrebbe ancora dette e fatte.
Tuttavia, la sua opera è interrotta, ma non incompiuta.  Essa conserva inalterata, oggi più che mai, la sua attualità e costituisce un punto fermo per il futuro: un patrimonio prezioso e un tratto indimenticabile di una vita che si è interamente donata.
In essa quindi le giovani generazioni possono trovare quel che cercano: ispirazione sicura nella scelta dei problemi, felicità del metodo, fine intuito costruttivo e, al fondo, sempre presente e operante, l’amore paziente per il proprio lavoro e per tutte le altre cose umili e quotidiane della vita di tutti.

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