Don Mario, fratello di tutti, Mani militaresco e autoritario

28 Luglio 2010
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Aldo Lobina

L’Arcivescovo di Cagliari ha dovuto incassare recentemente una contestazione rumorosa e beffarda e anche abbastanza scomposta di una parte del gregge a lui affidato.
La sua professione di umiltà,comparsa nella stampa all’indomani delle contumelie ricevute - conoscendo l’uomo - è sospetta, viziata da un comprensibile risentimento nei confronti di chi l’ha offeso.
Sentirsi “niente”, sentirsi un “autentico buffone” perché inadeguato al compito di “rappresentanza” rivestito mente uno stato d’animo turbato da offese gratuite.
La sua baldanza lo ha fatto finora resistere ai mugugni, alle critiche, più o meno fondate, rivolte al suo magistero da parte di preti, popolo e classe dirigente; ma l’arcivescovo mi è sembrato assolutamente impreparato a sostenere gli insulti che l’hanno accompagnato, mentre lasciava il quartiere della Marina di Cagliari. Abbiamo vissuto una pagina molto triste della storia della chiesa cagliaritana.
La questione della nomina di un nuovo parroco per S. Eulalia, con la conseguente revoca dell’incarico a Don Mario Cugusi, ha sollevato una sorta di sollevamento popolare, tendente a far mutare una decisione ormai irreversibile.
Non è la prima volta - e non sarà l’ultima - in cui gruppi di parrocchiani si fanno parte attiva nei confronti del vescovo per scongiurare una partenza non desiderata del vicario. Altre volta le cronache dei nostri paesi riguardano casi diametralmente opposti, in cui i fedeli chiedono al vescovo a gran voce e in tanti modi il trasferimento di un prete non amato. Parroci costretti a scappare in modo rocambolesco per i tetti del paese o messi in sella ad una cavalcatura asinina sono entrati nelle microstorie dei nostri piccoli centri.
Ma veniamo al fatto di cronaca in questione per fare due brevi osservazioni: la prima di queste è che la Chiesa di Cagliari ha la fortuna di avere avuto e di avere molti ottimi sacerdoti. Essa può essere fiera di Don Mario Cugusi , che io ho conosciuto personalmente, nelle frequenti occasioni in cui si fa carico di visitare un vecchio sacerdote, che è diventato da molti anni suo parrocchiano.
Ho seguito anche io in questi ultimi anni la sollecitudine di Don Mario nei confronti della sua comunità, fatta anche di poveri, di nuovi poveri, di extracomunitari, ospitale verso i fratelli ortodossi. Prete di frontiera Don Mario, amico e fratello di tutti. Egli ha vissuto e vive il Vangelo, testimoniandolo con semplicità. Un prete dotto, che ha contribuito a fare della Marina uno dei quartieri di Cagliari più vivi sotto il profilo culturale e sociale. Dove si prega anche in sardo e non per folklore. Buono per esperienze sempre più coinvolgenti, l’episcopato per esempio.
La seconda è che sicuramente l’arcivescovo, valutando i pro e i contro di quel trasferimento, ha esercitato una sua precisa prerogativa. la Chiesa cattolica, a “dispetto” del nome ha una organizzazione verticistica, non assembleare. L’assemblea, “l’ecclesia” non decide a maggioranza queste nomine (forse lo facevano le prime comunità). Sono i vescovi che nominano i parroci. Il sinodo che si è chiuso recentemente ha studiato la nostra realtà ecclesiale e sociale, ha dato spunti di riflessione, suggerito soluzioni, ma chi decide è il vescovo. La chiesa cattolica dura da duemila anni, facendo salvo il principio di autorità, che “cala” dall’Alto. Ad esso si deve rispetto e obbedienza da parte di tutti. Al vescovo l’intelligenza di seguire i buoni consigli, considerando o meglio riconsiderando quelli preziosissimi che può ricevere da persone fidate siano esse preti o laici.
Questo nostro non è un vescovo molto popolare in certi ambienti. Il suo carattere speciale, che lo fa diverso dagli altri che lo hanno preceduto, rischia di renderlo perfino poco simpatico per una certa quale indole che viene intesa come sprezzante , presuntuosa, e malata di eccessivo protagonismo. Se si aggiunge il piglio militaresco e le malcelate simpatie politiche quei difetti si amplificano agli occhi dei detrattori. Noi non siamo tra questi, ma certo comprendiamo come decisioni non condivise assunte da un tale personaggio possono degenerare in sedizione.
Allora, fermo restando che il vescovo, chiunque esso sia, merita sempre rispetto e obbedienza quando esercita il suo mandato pastorale - non possiamo esimerci dal suggerirgli una misura in più di prudenza e discernimento, quando si rivolge alla gente.
Già… la prudenza, una virtù cardinale.

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