Ne cives ad arma veniant

30 Marzo 2011
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Amsicora

Se un barcone con a bordo 500 migranti sbarcasse di fronte a casa vostra e se con sbarchi incessanti in Sardegna giungessero un milione di immigrati, che fareste? Perché questo quesito? Perché il fenomeno “biblico” in atto non ci impegna solo a dire se siamo razzisti o no, ma a dare una risposta organizzata al fenomeno ormai non arrestabile. In mancanza, come sta già accadendo a Lampedusa, sarà la popolazione a scendere in piazza o in mare a impedire gli sbarchi. E si sa che lo scontro diretto può avere esiti terrificanti. Del resto, non si dice che la prima funzione dello Stato è quella di assicurare la pace fra i consociati? Ne cives ad arma veniant. Ed allora la risposta non può che essere della politica e delle istituzioni.
E’ dunque importante professarsi antirazzisti e per l’accoglienza, ma non basta. Occorre stabilire il che fare, e farlo senza indugio nel solco tracciato dai principi della Costituzione, ossia nel rispetto della persona (principio personalista) e con spirito solidale (principio di solidarietà).
In questa prospettiva il primo obiettivo dev’essere quello di scongiurare che il flusso gravi su spalle troppo esili per tollerarlo. Ed allora? Anzitutto, a Lampedusa il flusso, ora incessante, deve fermarsi. Non possono migliaia di persone restare ammassate in condizioni igieniche molto precarie nell’isola. Questa situazione è inaccettabile allo stesso modo per i migranti e per i lampedusani, mostratisi finora molto aperti e generosi.
Raccoglierli dunque direttamente nelle navi in mare o nei pressi della costa o appena sbarcati. Poi provvedere subito allo smistamento. Tutto il Paese dev’essere mobilitato, con luoghi di accoglienza e di inserimento o come base di partenza per altre destinazioni, dove il congiungimento familare o amicale può inventare le più varie collocazioni, anche lavorative.
L’atteggiamento della sinistra in tutto questo non può essere soltanto quello di lanciare proclami buonisti. Non è questa la nostra tradizione. Muovendo dall’assunto che queste masse sono il frutto dello sfruttamento capitalistico di quei luoghi mediante la colonizzazione diretta o a mezzo di governanti prestanome e corrotti, occorre ingaggiare una duplice lotta: qui e nei loro Paesi d’origine. Qui per la tutela dei loro diritti fondamentali che sono uguali ai nostri. Non un atteggiamento compassionevole, ma solidarietà vera, militante, battaglia per le comuni libertà. Nei paesi di provenienza, per evitare che questo sommovimento si concluda con un riassetto delle zone d’influenza fra le potenze d’Occidente (in funzione energetica) e sia invece una spinta potente e incessante verso forme di democrazia reale. E si sà, la democrazia cura anche il male della miseria e della fame. E rende liberi i singoli, le comunità e gli Stati.

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