Ospedali Psichiatrici Giudiziari vulnus alla Costituzione

11 Ottobre 2011
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Antonello Murgia

Pubblichiamo, per il suo interesse, questo articolo già apparso in “Sociale e salute” del 4 scorso.

La visita a sorpresa negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sul SSN ed il relativo reportage trasmesso da “Presa diretta” di Riccardo Iacona (visionabile su You Tube da chi l’avesse perso), hanno squarciato il velo sulle crudeli condizioni di vita degli internati in tali strutture e consentito di allargare il dibattito sul tema ad una platea più vasta di quella degli addetti ai lavori e delle associazioni che se ne stanno occupando da tempo. Se è vero che il grado di civiltà di un Paese si valuta dalle condizioni di vita dei meno fortunati, non possiamo che essere fortemente preoccupati dalle condizioni di degrado in cui vengono tenuti nostri concittadini. Nella consapevolezza (come ci ricordava Brecht) che il mancato rispetto dei diritti delle fasce più emarginate della popolazione è un grimaldello che prima o poi verrà utilizzato per scardinare i diritti di fasce sempre più estese. La battaglia per restituire questi cittadini ad una vita più decorosa non è, dunque, solo un atto di giustizia, ma un preciso e forte interesse della nostra società.
Per questo motivo è nato il Coordinamento nazionale Stop-OPG che riunisce molte associazioni che in questi anni si sono occupate di diritti fondamentali, e in particolare del diritto alla salute (mentale, ma non solo). Nella riunione del coordinamento nazionale dell’8 settembre scorso è stato deciso di spostare il baricentro di Stop-OPG a livello regionale e territoriale e concentrarlo sulle persone internate, cosa che le associazioni operanti nella nostra Regione avevano già avviato: è del 6 giugno scorso la conferenza stampa di presentazione di Stop-OPG Sardegna. In tale occasione venne annunciata anche l’organizzazione del convegno che si è svolto a Cagliari il 16 e 17 settembre con il titolo “SENZA CATENE – L’orrore degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”. Ad esso hanno partecipato numerosi relatori provenienti dai Parlamenti Europeo e Italiano, dalle istituzioni sarde (regionale e amministrazioni locali), dal mondo dell’associazionismo ed un folto pubblico (nonostante il silenzio di parte della stampa) che dà speranza sulla presa dell’argomento presso la cittadinanza. È stata l’occasione per fare il punto sulla situazione nazionale ed in particolare sugli internati sardi e per sottoporre le proposte della società civile ai rappresentanti delle istituzioni. Relazioni e dibattito si sono poi incrociati con l’evento “Manicomi aperti”, rappresentato da una mostra d’arti visive e da alcune performances teatrali (in sala e all’esterno) e volto a denunciare lo stigma e a sollecitare riflessioni su di esso; esperimento che mi sembra ampiamente riuscito (per chi volesse saperne di più su mostra e performances: Artisti da sLegare per Senza Catene.
I dati salienti del problema:
in Italia ci sono 6 OPG (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli, Reggio Emilia) nei quali sono internati 1419 individui (all’ultima rilevazione ufficiale);
la Commissione presieduta dal sen. Marino ha rilevato solo tracce tenui dei termini “ospedale” e “psichiatrico” nelle strutture visitate, che si limitano quasi esclusivamente ad una guardiania facilitata dall’uso della contenzione fisica e soprattutto farmacologica in un contesto fortemente degradato per l’affollamento, le condizioni igieniche e quelle logistiche;
il 30-40% degli internati ha commesso reati c.d. “bagatellari”, cioè di entità molto modesta e quindi ben poco indicativi di pericolosità;
376 ospiti (cioè il 25% del totale) non hanno più le caratteristiche di pericolosità sociale, ma avrebbero bisogno di presa in carico da parte del Dipartimento di Salute Mentale e della ASL di appartenenza, in carenza della quale si vedono ripetutamente confermato il provvedimento di internamento;
gli internati sardi sono 33 di cui 2 donne.
Dunque, ci sono individui che si vedono attribuite misure restrittive poco giustificate sia dal punto di vista scientifico che in punta di diritto. Altri avevano un giudizio più fondato di pericolosità, che però è venuta meno senza contestuale revoca delle misure restrittive. Per tutti questi soggetti si configura una vera e propria sospensione di diritti costituzionali (alla libertà, alla salute). Peraltro, la Corte Costituzionale nel 2003 ha emesso una sentenza (la n. 253) che dichiara l’illegittimità costituzionale della parte dell’articolo 222 del Codice Penale che «non consente al giudice […] di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale». Ad analoghe conclusioni è giunta la sentenza n. 367 del 2004. Ma i cittadini con disturbi mentali e che hanno commesso un reato continuano ad essere gestiti come un problema di ordine pubblico e gli OPG continuano ad essere amministrati dal Ministero di Grazia e Giustizia, invece che da quello della Salute. Con il risultato che il disturbo mentale spesso si accentua e la dimissione dall’OPG diventa sempre più complicata. Per gli internati sardi il disagio è ancora maggiore a causa dell’insularità, con i familiari costretti a viaggi lunghi e dispendiosi per raggiungere gli OPG del continente.
Nel convegno sono stati presentati anche alcuni video sul tema della sofferenza mentale e della reclusione. Di straordinaria efficacia la frase di un detenuto “Che culo, quando si muore, si muore soli”. La morte, evento drammatico che difficilmente si aspira a vivere da soli, per quel detenuto diventa la speranza di un luogo nel quale finalmente entrare da solo, abbandonando una cella sovraffollata, nella quale nessuno può neppure sognare un proprio spazio esclusivo, nella quale la parola privacy è sconosciuta.
Il convegno ha dato anche l’opportunità di ricordare i passi avanti fatti negli anni 2007-2009 in Sardegna nel campo della salute mentale e della sua territorializzazione, con l’apertura di Centri di Salute Mentale (CSM) 24 ore/24, strumenti di una gestione moderna del disturbo mentale, filtri che limitano il ricorso ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) e che sarebbero utili anche per il trattamento in ambito regionale dei cittadini sardi internati negli OPG del continente. CSM che invece, sotto l’attuale amministrazione regionale, sono stati riportati ad un’attività ambulatoriale diurna.
E allora il compito che ci troviamo davanti non è facile, ma è abbastanza chiaro: è necessario utilizzare i mezzi di cui disponiamo per diffondere un’informazione corretta che riesca a far presente quali siano le necessità di questi pazienti e di tutta la collettività e a superare le resistenze di chi vuole risolvere il problema con soluzioni di tipo carcerario (sublimazione di un modello autoritario che si vuole applicare a tutta la società) ed anche le resistenze di quegli operatori che, magari partiti da una visione più condivisibile, hanno però finito con lo sposare scelte che sicuramente sono fonte di minore stress per loro (chi, messo a scegliere, non preferirebbe evitare di lavorare la notte ed i festivi?), ma non sembrano la risposta migliore alle esigenze dell’utenza.
Per sostenere questo compito è stata lanciata la campagna nazionale “un volto, un nome” per la quale in Sardegna è stata già effettuata la prima riunione preparatoria: si tratta di sensibilizzare l’amministrazione regionale, i Comuni, le ASL, i DSM sulle necessità degli individui portatori di disturbi mentali ed autori di reato affinché tali istituzioni adempiano ai loro compiti e offrano servizi e prestazioni adeguati. I tempi sono più che maturi: lo stesso Senato i giorni scorsi ha approvato all’unanimità una risoluzione proposta dalla Commissione d’inchiesta sul sistema sanitario che impegna il Governo alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

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