Liberalizzare le professioni?

1 Gennaio 1970
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Amsicora

Monti secondo gli ultimi sondaggi sta addirittura incrementando i consensi sopratutto per le annunciate misure di liberalizzazione. Da esse tutti si aspettano miracolosi risparmi, mentre la realtà è che gli stipendi vengono tagliati dall’aumento dei prezzi e dalla crescente disoccupazione.
Un campo d’intervento con le liberalizzazione è quello delle professioni, di cui si parla spesso come si trattasse indistintamente di caste, formate sempre e comunque da privilegiati. Certo questo sentimento diffuso è giustificato dal ruolo storico delle attività liberali, di solito riservate a esponenti dei ceti benestanti e di comando. L’avvocato azzeccagarbugli e sanguisuga, ad esempio, è un classico della letteratura e della cinematografia. Tuttavia questa visione è oggi molto imprecisa e non coglie il fenomeno di migliaia di giovani che, pur essendo iscritti ad un Ordine, producono redditi che sono al di sotto della soglia di sopravvivenza.
Nell’avvocatura, ad esempio, esiste una grande massa di giovani che vive a stipendio, e generalmente sono sottopagati sul preuspposto che il corrispettivo del capo-studio è solo una parte del maggior reddito derivante dalle proprie “pratiche”, che in realtà non esistono o sono molto limitate.
Di qui la proposta di imporre l’obbligo di retribuire i praticanti dopo sei mesi dall’ingresso nello studio. Un provvedimento certamente positivo, ma solo per gli studi “ricchi”. Nella generalità dei casi questa misura produrrà invece l’effetto opposto di sbarrare l’ingresso alla pratica a migliaia di giovani laureati, oggi “in forza” presso avvocati che a mala pena sbarcano il lunario e, dunque, non possono permettersi di pagare stipendi con immancabili oneri previdenziali.
In effetti si tratta di realtà ormai complesse e variegate sulle quali sono sconsigliabili interventi con la scure.
Nei giorni scorsi si è tanto parlato, ad esempio, del preventivo quasi che il cittadino, chiedendo diversi preventivi possa scegliere quello più conveniente. In realtà, l’avvocato solo alla fine della pratica può quantificare la sua attività. Prima d’iniziare non sa se sarà sufficiente una lettera a sbloccare la situazione o se ci vorranno uno, due o tre gradi di giudizio. Una sciocchezza, dunque, il preventivo, almeno se con pretesa di immodificabilità. Ed infatti è stato eliminato dalle ultime proposte del governo.
E l’abolizione delle tariffe? Una insensatezza. Nei giorni scorsi ci si chiedeva come i giudici avrebbero liquidato le spese di giudizio. Si dice da molte parti, il giudice può calmierare i costi. Ma non si tiene conto del fatto che in giudizio a litigare si è almeno in due e se la liquidazione è gradita all’uno, è sgradita all’altro. Una misura dunque che non può accontentare tutti. Del resto le tariffe le fissa il Ministro della Giustizia con propruio decreto e vengono di solito invocate dai clienti davanti agli Ordini professionali quando ritengono la parcella troppo alta.
E l’abolizione degli ordini professionali? Favorisce la concorrenza o il disordine? Per l’avvocatura è più probabile la seconda alternativa. In realtà, se un problema c’è è quello della sovrabbondanza degli iscritti. Ci sono a Cagliari più cassazionisti che in tutta la Francia! In sardegna un avvocato ogni 300 persone. Tolti i bambini un legale ogni 10-15 famiglie allargate. Che si vuole di più. Gli esami di accesso, a parte il terno a lotto dello scritto, sono poco più che una burletta. Per non passare agli orali bisogna parlare e spararle grosse. Chi sta zitto ha molte probabilità di superare la prova, quanto meno perché viene apprezzata la consapevolezza…d’ignoranza!
Nelle professioni ormai esiste di tutto, e gli ordini costituiscono un debole argine alle pratiche scorrette in danno dei malcapitati cittadini. Eliminarli forse peggiora la situazione.
Un discorso a parte va fatto per le Casse di Previdenza, che dovranno garantire - secondo il governo - la sostenibilità dei conti a 50 anni. Una misura opportuna anche se occorre considerare che gli Enti di previdenza privata non gravano sul bilancio dello Stato neppure sul versante degli ammortizzatori sociali.
In generale, sembra che il governo sulle professioni non tenga conto del ciclo economico e di un Pil negativo, di un Paese che è fermo, di un reddito medio declinante e di una crisi che ricadrà soprattutto sui giovani professionisti”.
Insomma, una situazione economica drammatica che ricade e ricadrà sulle professioni. Non a caso il primo marzo ci sarà una manifestazione nazionale per far conoscere ai cittadini il ruolo e i problemi delle categorie professionali. Un discorso da affrontare senza senplificazioni, ma tenendo conto che anche nelle professioni convivono realtà molto diverse, dei grande benessere, ma anche di difficoltà ed oggi anche di povertà.

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