Due parole a Maninchedda su come sardizzare la politica nell’isola

24 Gennaio 2013
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Aldo Lobina

L’altra sera, quasi per caso, mentre facevo zapping in internet su questioni politiche di rilievo regionale, per conoscere i risvolti della vicenda delle note autosospensioni del PD “sTramatzato (per il fallimento della riunione convocata a Tramatza e il niet di Bersani) mi sono imbattuto in un corsivo nel sito di Sardegna e Libertà intitolato “Sardizzare la politica sarda” di Maninchedda. Che prendeva spunto da un occasionale colloquio con Gesuino Muledda, rossomoro, padrone di quell’espressione. Nell’articolo Maninchedda vagheggia di un partito dei Sardi, di un partito della Sardegna, cioè “di un grande partito che difenda e rappresenti i nostri interessi e le nostre ambizioni”. Curiosa per me anche la affermazione iniziale”Dopo aver parlato del sistema sanitario sardo, si è finiti a parlare di politica” come se esistessero, nel bene o nel male, differenze tra il primo e la seconda. Come se si trattasse di universi paralleli, mentre tutti sanno che le fortune di molti politici qui in Sardegna sono intimamente collegate alle sorti, meno fortunate, delle aziende sanitarie locali, infeudate da signori, vestiti e rivestiti in sempiterno di vesti candide, quasi papali, ad ogni elezione. Ma non è di pontefici, che intendo parlare ora, né di diocesi, né di parrocchie  politiche. Provo a seguire invece passo passo il ragionamento di Maninchedda, che è divertente, a tratti comico. Forse a causa di un caffè galeotto, per il quale potrebbe chiedere danni.
La grandezza di un partito, caro onorevole, la fanno la sua storia e i suoi valori testimoniati, non è quella che si perimetra a parole, mettendo insieme l’universo mondo delle tensioni autonomiste e indipendentiste e che verrebbe ostacolata dall’adesione dei Sardi ad una organizzazione ancora tribale della nostra società. Non precipiti la Sardegna tutta nell’archeologia! L’età del bronzo era nel segno di una civiltà già avanzata. Ora invece – ne converrà – esistono molte facce di bronzo, che piano piano impariamo a riconoscere e contrastare. Mi permetta di dissentire. Lei dice: “Quando guardo i bronzetti nuragici che raffigurano i capi tribù, penso che sia un dato antropologico dei sardi cercare un capo, stare con un capo piuttosto che stare in un sistema, in una rete, in una equipe. .Antropologicamente parlando il sardo è uomo che ama la libertà, non cerca capi per ogni dove. Ogni sardo era re nel suo ovile e la tribù era la sua famiglia, anche allargata. Ma la sua famiglia! Non credo si cercasse un capo. Lo si trovava naturalmente. Ed era una fortuna. E’ un po’ diverso, come vede, il mio punto di vista dal suo, che ci considera ancestralmente e costituzionalmente sudditi per vocazione.   Modernamente le nostre istituzioni repubblicane per asseriti motivi di governabilità – ancora da dimostrare – sono inclini a presidenzialismi di vario titolo. Nei comuni, nelle province e nelle regioni, dove addirittura si parla di governatori. Capi tribù dappertutto; anche nelle istituzioni, anche nei partiti, nella destra, nella sinistra e nel centro. Certo, anche nei partiti identitari sardi, che non fanno eccezione. Ma non per retaggio nuragico. Abbiamo avuto molto tempo in Sardegna per organizzare le istanze locali e far apprezzare e valere le nostre particolarità, la nostra specificità. Senza grandi risultati, anche per i limiti delle nostre rappresentanze. Sono poco propenso a ritenere avanzata – come Lei dice -  la “sardizzazione” (che io intendo come peculiare patrimonio di valori culturali e sociali) nella destra e nella sinistra e nel centro. Vedrà presto “nascere” in Sardegna un PD sardo federato (sic!). I partiti spesso strumentalizzano la sardità, per meri giochi di potere fini a se stessi. Non confondiamo quindi il grado di  sardizzazione dei partiti nostrani, spesso etero diretti, col sentimento comune a tutti i Sardi di amore e rispetto per la propria terra, che è connaturato. Anche se poi non viene tradotto in risoluzioni concrete di indole politica.
Mi permetta, anzi mi consenta: il suo NO al berlusconismo “inteso come avventurismo aggressivo verso le istituzioni per piegarle ad interessi di parte” è poco credibile, dal momento che il suo partito collabora strettamente proprio col berlusconismo in salsa sarda e ne condivide responsabilità di governo. Dunque proprio il suo partito ha superato quei confini all’interno dei quali ella vorrebbe ricomprendere il suo “grande partito”, compreso dentro i   suoi tre NO.
Giusta la rinuncia alla violenza: il suo secondo NO. E’ una sceltà di umanità e, per noi, di cristianità. Mi sembra anche di ricordare che in India un ometto oppose la pratica della non violenza con un certo successo riguardo alla indipendenza del suo Paese.
Ma chi legge il suo terzo NO potrebbe sentirsi offeso nell’intelligenza. Cosa significa “No netto alla commistione tra interessi pubblici e illegittimi interessi privati”? Non significa nulla, perché l’interesse pubblico, dacché mondo è mondo, ha fatto sempre a pugni con la illegalità e la rapacità del privato.
Di siti poi e associazioni che discutano questi temi ce ne sono già molti. Perfino il suo blog. Quindi, onorevole Maninchedda, non dia retta a Gian Valerio Sanna (che forse comincia solo ora a coltivare questi interessi) e in Sardegna battiamoci tutti per cose più concrete, il pecorino sardo per esempio. Se vogliamo difendere la sardità.
Un ultimo consiglio non disinteressato: abbandoni l’idea balzana di quel perimetro di cui parla, di  quell’habitat culturale di “politici, intellettuali, funzionari regionali bravi, politici e amministratori” a schema libero, cioè privi di interessi elettorali immediati”…perché le elezioni sono al massimo ogni cinque anni!
Perché? Perché un ring non serve. La società sarda è povera economicamente, ma è più ricca della cerchia che ella ha individuato per affrontare i suoi problemi. Le persone che lavorano, spesso mal retribuite e i nostri giovani, quelli che rimangono in Sardegna e quelli costretti a lasciarla, sono sempre più consapevoli della triste eredità che molta parte della classe dirigente da Lei evocata ci ha lasciato. L’Agenda Sardegna la scriveranno loro. La sua… se la tenga per ricordo!

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