Donna Lucia Delitala Tedde

24 Agosto 2013
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“C’è in questo regno di Sardegna una famiglia divisa, chiamata Delitala. paragonabile agli antichi Guelfi e Ghibellini. Due di loro sono in prigione, due condannati a morte in contumacia. Altri due, con molti parenti, sono a capo dei banditi…”

“Si può dire che sono i piccoli sovrani della Gallura: e non c’è possibilità di arrestarli, perche ci sono montagne. boschi e luoghi dove non ci si può servire di guide. Anche le donne e le ragazze di questa casata fanno la guerra, e donna. Lucia Delitala è stata due anni in prigione. E una giovane di circa quarant’anni che non si è voluta sposare per non dipendere da un uomo, secondo quanto lei stessa afferma. Ha due mustacchi da granatiere e usa le armi e il cavallo come un gendarme. Ora che e stata graziala, vive abbastanza tranquilla”.

Questo curioso ritratto di una nobildonna sarda del Settecento è in una lettera che il viceré di Sardegna, il marchese Carlo Amedeo Batti­sta di San Martino d’Agliè di Rivarolo, scriveva verso il 1735 al re Carlo Emanuele III, intenzionato a sradicare dall’isola la piaga del banditismo e della delinquenza.
Il grande storico sardo Giuseppe Manno descrive con grande efficacia questa situazione di emergenza nella sua Storia di Sardegna.
Frattanto», dice, «sceglievasi a viceré il marchese San Martino di Ri­varolo: uomo di severo sopracciglio, di spedito giudizio nel deliberare le cose di Stato, e traente diritto al suo scopo nell’operare; dotato inoltre di tale franchezza di carattere e cosi composto per natura alla costanza, che molti de’ creduti flessibili, paragonati con lui ne perderebbero: e sopra ciò resolutissimo di lasciar viva fra noi la memoria del suo coman­do per l’ardenza con cui disponeasi a romper acerba guerra ai malfatto­ri, moltiplicatisi oltre misura in quel correr d’anni. La Sardegna era in quel tempo tribolata da varie bande di malviventi, che, formicando per ogni dove, non solo turbavano la quiete comune, ma faceano anche vi­sta di voler sopraffare lo stesso governo, andato il più delle volte mollo a rilento nel combatterli».
La sede principale dei ribelli era Nulvì, che oggi è un ricco centro agricolo-pastorale dell’Anglona, vasta regione collinare Ira la Gallura e il Sassarese.
Una famiglia nobile del paese, i Delitala, separata in due fazioni arma­te una contro l’altra, aveva diviso in due opposti schieramenti anche la popolazione, soprattutto i più poveri.
Le uccisioni», prosegue il Manno, «erano di poco men che ogni gior­no, le vendette avviccendavansi perpetuamente. Le femmine stesse im­pugnavano le arme. Ed una gentildonna di quel medesimo casato, don­na Lucia Delitala, dava loro l’esempio dello stare immota in sull’arcio­ne e del lanciarsi col cavallo fra i balzi e de li’alt tornare gagliardamete l’inimico e dell’imbroccare da lungi collo schioppetto. Non perciò solo d’animo virile; poiché sentendo di se meglio di quello che fosse disdic­evole a femmina, ricusò, finché visse, le nozze e l’amore d’un sesso dì cui non sapeva sofferire la superiorità. Quelli fra i partigiani che viveano con maggiore sospetto, riparavano nei luoghi più inospìti della Gallura; dove aveavi montagne gremite di capannucce e popolate di malfattori* che colà entro od in qualche cavo delle rocce sostentavano la vita dura­mente con carni e latte, scendendo tempo a tempo per cercar dove e come rifornirsi colle loro ruberie».
Ad estirpare la genìa di questi malviventi il marchese di Rivarolo pro­fuse buona parte del suo impegno negli anni che si trovò a governare la Sardegna. Fece battere da drappelli di soldati scelti i più sicuri nascon­digli dei malfattori: a Nulvi e a O/ieri, altro ricco centro del Logudoro stanziò un presidio di armali disposti a tutto pur di scovare e sterminare senza troppi indugi fino all’ultimo fuorilegge.
Molli fuorilegge ripararono in Corsica. Molti altri, sfuggiti alla caccia degli uomini del marchese, si nascosero in luoghi sicuri aspettando stagioni meno ostili.
Questi, dunque, i tempi in cui visse e operò, nel bene e nel male, una delle più famose banditesse della Sardegna. Una banditessa tutta specia­le che dovette .stare gran tempo lontana dalla sua casa perché ricercata dal governo sabaudo del quale, come buona parte della sua famiglia, non sopportava il dominio predatorio. Un’eroina, quindi, per l’opinione po­polare del tempo che ne esaltò le gesta e ne pianse la triste fine.
Lo stesso Manno la chiama «ardita virago che destreggiavasi col caval­lo e collo schioppetto, e al pari di un brigante ebbe a soggiacere per alcuni anni a pubblica custodia».
La patria di donna Lucia è Nulvi, anche se non tutti gli studiosi ne sono convinti. La bella chiesa parrocchiale della Beata Vergine Assunta è stata fondala dalla sua famiglia, come testimoniano due corrimani di marmo ai lati della breve gradinata che porla all’altare. Vi è impresso il loro stemma; due leoni rampami che artigliano il fusto di un albero; in alto, un elmo piumato; in basso uno scudo con ai lati un piede scalzo e uno calzato, insegna della nobile casata Pes di Villamarina. con la quale i Delitala erano imparentati. Alle pareti tre tele dell’epoca: nella prima una donna Manetta Delitala. ieratica nel portamento, piega seduta, il rosario nella destra, accanto a un tavolino su cui è posato un portagioie.
Non si può non pensare a donna Lucia: basta immaginare donna Ma­riella con un bel paio di baffi, la spada al posto del rosario e il gioco è fatto. Nella seconda don Andrea Pes. marito dì Manetta e fondatore insieme con lei della Collegiata di Nulvi, riceve, inginocchiato davanti al vescovo, l’investitura della Collegiata. Nella terza un altro Pes di cui non si legge il nome, prega davanti a Santa Maria di Pisa.
Nel registro dei battezzati del 1715 esiste, oltre alla data del battesimo, anche quella di nascita di donna Lucia Delitala.
Il parroco don Posadinu prima di sfogliare il prezioso manoscritto chiude le porte della sacrestia. Anche un piccolo soffio di vento potreb­be danneggiarne le pagine. Sono ormai più sottili e fragili delle ostie riposte nell’ostensorio dell’altare maggiore, davanti al quale i più pii dei Delitala pregarono, si sposarono, piansero i loro morti.
Don Posadinu, una grande lente sotto agli occhi chiarissimi, ha il suo da tare a decifrare i nomi dei bambini battezzati trecento anni fa. I cognomi, in buona parte stinti, sono ancora presenti a Nulvi e nei paesi vicini; ma il latino-sardo-spagnolo in cui sono scritti gli atti li rende a volle quasi irriconoscibili. Ma poi ecco, all’improvviso, alla pagina 258, quello dell’infante bandita-guerriera salta fuori.
«Dia primero iunis 1705. iNului Lussia filia legitima y natural del Nob. Don Fran.co Delitala Tedde y de Donna Jana Maria Tedde Delitala coniug.s. […] villa fui batizada por […]  Don Juan Maria Addis de esta villa, A nasciò il 29 del my cerca passodo de Mayo sendo testimonos el Nob. Don Thomas Tedde Delitala y donna Lussia Tedde». («Primo giugno 1705 Nulvi. Lucìa figlia legittima e naturale del nobile don Francesco Delitala e di donna Giovanna Maria Tedde sposati [e dimoranti in questo] paese, fu battezzata da don Giovanni Maria Addis di questo paese, nacque il 29 del trascorso mese di maggio, essendo testimoni il nobile don Tomaso Tedde Delitala e donna Lucìa Tedde Delitala»).
Don Posadinu sfoglia ancora le antiche pagine del libro della vita. Nomi di padroni e di servi, di patrizi e di plebei. Persone senza il lusso della memoria sono nati a distanza di qualche giorno da quelli destinati a essere ricordati.
Cambia tomo; cinque anni prima della nascita di donna Lucia, il primo di aprile, riceve priuatamente, privatamente, il Santo Batismo. come comanda el Ritual Romano, Anna Maria – eslaua,. schiava di Don Jorge De Litala y Dona De Litala Manca.
Nel libro dei morti il nome di donna Lucia Delitala non compare. Sul­la sua fine non si sa niente di preciso, anche se sono molte le congetture. La morte, che secondo alcuni documenti testamentari dovrebbe es­sere avvenuta approssimativamente tra il 1755 e il 1767. non si sa dove l’abbia colta. Nelle tombe dei Delitala al cimitero di Nulvi nessuna lapi­de la ricorda. E così pure nella chiesa dì Sant’Antonio abate, protettore della casata, alla periferia del paese, chiamata anche il Mausoleo dei Delitala per le numerose iscrizioni tombali che ricordano questa potente famiglia della nobiltà isolana.
Uscendo dalla chiesa lo sguardo cade ancora sul ritratto di donna Ma­netta. Invece di aggiungerle baffi e spada, per farla rassomigliare alla sua celebre antenata, basterebbe immaginare il suo viso ascetico inondato dalla luce di un sorriso. E allora si potrebbe dare ragione ai sardi di quel tempo ancora filo-spagnoli che, a dispetto del Manno troppo devoto ai Savoia dei quali donna Lucia era invece acerrima oppositrice, descrivevano l’amazzone di Nulvi bellissima e coraggiosa, sempre prima negli incontri e nelle giostre, amante dei cavalli e delle armi, della vita e della libertà.
Secondo la tradizione popolare i suoi lineamenti, delicati e distesi nei giorni di felicità, si indurivano repentinamente nei momenti difficili, nel divampare di una battaglia, fino ad apparire quasi mascolini. Forse di, qui nasce la leggenda sottoscritta dal Manno sulla sua bruttezza. La si voleva addirittura coperta di peli dai piedi fino al viso, ossuta e senza quella morbidezza del corpo che distingue la donna dall’uomo. L’ipote­si che odiasse gli uomini, considerandoli addirittura avversari, contrasta con un’altra molto diffusa che la farebbe morire bruciala viva durante una notte d’amore, per opera di una fazione avversaria, nel letto della sua casa della vicina Chiaramonti, di cui i Delitala erano feudatari.
Notizie affidate alla tradizione orale, naturalmente. Di certo si sa soltanto che più che banditessa, come si ama ricordarla, donna Lucia era una partigiana filo-spagnola che ancora si opponeva con tutte le sue. forze al dominio piemontese in Sardegna.
Trovatasi ancora giovane a capeggiare, assieme al bandito di Chiaramonti Giovanni Fais, una banda di malviventi che si fregiavano del nome di combattenti contro l’autorità piemontese, per anni tenne sotto il suo controllo il vasto e fertilissimo territorio dell’Anglona, ricco di centri molto importanti per il commercio del bestiame bovino e la pro­duzione del grano.
Molto spesso in coppia con Chiara Unali, moglie del Fais, seminò il terrore tra le milizie regie che, incalzate dal viceré, non davano tregua a quanti avessero anche solo il nome di facinorosi. La spericolata irruen­za dì donna Lucia, la coraggiosa prudenza di Chiara Unali e la ferocia di Giovanni Fais si abbattevano come un uragano sui soldati dei distaccamenti che il Rivarolo destinò stabilmente a Ozieri e Nulvi.
Questa alleanza politico-banditesca si rafforzò con l’uccisione di un certo Giovanni Maria Tedde di Chiaramonti, che Giovanni Fais elimina «per fare cosa gradita a donna Lucia Tcdde-Dclitala», come scrive intorno al 1832 il padre Vittorio Angius nel grande Dizionario degli Stati a S.M. il Re di Sardegna di Goffredo Casalis.
Fra i due ci dev’essere stata una forte amicizia, data anche dal fatto che erano coetanei e che donna Lucia considerava la moglie Chiara come una sorella. Ma forse la vera ragione di quell’amicizia risaliva ad antichi legami di riconoscenza: erano stati i Delitala a salvarlo dalla torca quando il Fais. ancora quindicenne, assieme al fratello Antonio aveva ucciso un uomo sulla pubblica piazza di Chiaramonti. Del resto i mandanti di quell’omicidio erano stari loro, i Delitala.
Giovanni Fais «scorreva le campagne» assieme alla Delitala, scrive l’Angius. «Invadeva le popolazioni, imponeva delle tasse, e osò pure, entrando nel villaggio di Bonorva, domandare dal Sindaco quel trattamento e quei vantaggi che godevano le truppe regie. In ritornando ne’ suoi monti, incontratosi sotto Montesanto in una compagnia di dragoni che da Ozìeri in Sassari trasportavano i denari pubblici, i miseri barbaramente massacrati li spogliava di tutto. Da questi trascorse a’ delitti politici, e in Chiaramonti perorò pubblicamente perché il popolo non più contribuisse nel regio erario», cioè non pagasse più le lasse.
Va individuata forse proprio nel passaggio dalle scorribande e dalle incursioni banditesche, con le quali gli uomini di Fais e quelli della Delitala saccheggiarono l’Anglona, ai cosiddetti “delitti politici” la distin­zione tra la donna Lucia messa al bando dal governo piemontese, e quindi banditessa a buon diritto, e la donna Lucia partigiana e patriota in lotta con i Savoia.
Ritratto di Donna Marietta DelitalaLa svolta sembra avvenire proprio a questo punto. Donna Lucia, più del Fais, abbandona quasi definitivamente le malefatte comuni (per le quali, tra l’altro, tanto lei che Chiara Unali, moglie del Fais, verranno prima condannate in contumacia, rispettivamente a quindici e dodici anni di carcere, e poi graziate) per dedicarsi alla guerriglia, o a qualcosa che le somigliava. Esemplare fu proprio l’episodio citato dall’Angius arringare la popolazione di Chiaramonti a non pagare le lasse al re.
Il fatto si sarebbe rivelalo più lardi deleterio nei confronti del Fais, suo principale promotore. Il commissario governativo (che poi era anche lui un Tedde) non gli perdonò questo ennesimo atto di ribellione, comune o politico che fosse, anche perché non aveva mai visto di buon occhio l’amicizia tra il bandito e la sua congiunta donna Lucia, anche se di fazione opposta. Chiamati a raccolta i suoi seguaci, mosse contro il Fais il giorno stesso della sua arringa in piazza, costringendolo a ripara­re sui monti assieme ai suoi uomini. Molti di questi, compreso il cogna­to del Fais, Caddero però in mano degli sbirri del commissario. Trasferi­ti a Sassari, alcuni vennero impiccati, ad altri venne mozzata la lingua con tenaglie roventi.
Il Fais venne inseguito e attaccato sulle vicine alture di Chirralza. Fu una battaglia vera e propria: nello scontro persero la vita più di duecen­to uomini tra inseguiti e inseguitori. Lo stesso Fais, che si portava ap­presso la moglie e un bambino ancora in fasce, venne ferito a un brac­cio. Non prima però di aver ucciso un certo Bazzan, che comandava gli assalitori.
Riuscita a sfuggire ai nemici per l’audace intervento di un manipolo di cavalieri guidati da donna Lucia Delitala, la banda del Fais riparò sul monte Cùcaro, nei pressi di Aggius, in Gallura. Assediata da ben due­mila uomini del viceré, la banda riuscì a fuggire al quinto giorno di assedio, anche questa volta per un fulmineo intervento dei cavalieri di donna Lucia che in sella al suo famoso cavallo guidò gli uomini di Fais, circa duecento, giù per il versante del monte presidialo dagli abitanti di Ploaghe, i meno agguerriti degli assedianti.
Fais riuscì a rifugiarsi in Corsica, tornò tra la sua gente, anche se sempre alla macchia, dopo quindici anni, ma fu tradito da due uomini di fiducia che lo consegnarono, dopo averlo reso inoffensivo con vino oppiato, al governatore di Sassari, il marchese Allì di Maccarani.  Fu giustiziato e il suo corpo smembrato e disseminato nei vari luoghi che aveva frequentato da vivo. La testa venne esposta a lungo davanti alla sua casa di Chiaramonti (o, secondo altri, davanti a quella del commis­sario Tedde). Correva l’anno 1774.
La Sua compagna di tante battaglie, donna Lucia, non potè piangerlo: Secondo certe ipotesi era già morta. Secondo alcuni era caduta addirit­tura alle pendici del monte Cùcaro, lottando per togliere l’amico dall’’assedio degli uomini del viceré. Secondo altri era stata uccisa in Corsi­ca, dove avrebbe accompagnato Giovanni Fais e la moglie, trovando ospitalità e rifugio presso la famiglia di certi parenti (alcuni suoi ante­nati erano di origine corsa). Una delle tante leggende la fa uccidere da alcuni pastori transumanti che portavano, come le portano anche ades­so, le greggi dal mare di Ajaccio alle alture di Bastelica e Boccognano. Non sembra un fatto verosimile, anche perché donna Lucia Delitala non era… uomo da farsi sorprendere così facilmente. Che i corsi non vedes­sero di buon occhio i fuorusciti sardi è, comunque, una verità. Gente dell’altra isola racconta volentieri come i loro antenati sistemavano, nei primi decenni del Novecento, i nostri banditi che cercavano di trovare scampo tra le impenetrabili foreste di lecci sulle montagne. L’ultimo fu un certo Spada, figlio di sardi; bandito d’onore prima, e comune rapinatore e sicario poi, si era costruito una sua leggenda convocando i giornalisti alla macchia che lui fregiava del nome di Falais vert, ‘il Palazzo verde”. Catturato dai pinzùti, come chiamano li le forze dell’ordine, nei pressi di Ornano, venne ghigliottinalo a Bastia. Oggi come oggi- nessun Delitala compare nell’elenco telefonico della città e dei paesi della Corsica.

Il mistero di donna Lucia
Ma chi era veramente donna Lucia? tra quella che si è cercato di presentare, cucendo insieme brandelli di notizie raccolte da varie fonti tropo poche e il più delle volle discordanti, o era una figura la cui dimensione storica, come vorrebbero alcuni, è degna di essere portata alla luce con studi più approfonditi, depurati dalle suggestioni della leggenda  popolare?
Nel Dizionario del Casalis (più di venti volumi che escono tra il 1833 e il 1856) Vittorio Angius, che ne curò le “voci” sarde. la ricorda così «Costei nel combattimento durato per tre giorni in Chiaramonti tra i Tedde e i Fais così operava valorosamente che sosteneavi le prime patti, e molti uccise. Era intanto dispregiatrice delle femmine, le quali troppo studiosamente si attillavano e vestivano come non conveniva alla loro condizione; che non temperavasi dall’onte anche nella chiesa e con forbici guastavano le robe. Dopo molle ferite da lei inferte ai suoi nemici, e molte uccisioni, venne finalmente il suo triste fine, e per tradimento della cameriera fu strangolata nel proprio letto. Il suo cappellano (tra cui, e il Carmine e i Gesuiti, ella volle divisi i suoi beni), volendo scoprire gli autori della morte di sua benefattrice, cadeva estinto da tre schioppi».
Neppure gli storici contemporanei hanno notizie più precise su di lei Carlino Sole ci dà qualche informazione in più: «Le bande dei malviventi», scrive, «imperversavano, soprattutto nei distretti settentrionali e i villaggi di Nulvi e di Chiaramonti nell’Anglona e di Aggius in Gallura furono per un certo tempo altrettanti centri di un movimento “resistenziale” dì vaste proporzioni. Nell’Anglona lo guidava una nobildonna di Nulvi, Lucia Delitala, che da autentica virago “‘con tanto di mustacchi come un granatiere’* si era messa a capo di una numerosa agguerrita banda di fuorilegge e batteva la campagna seminando il terrore tra i nemici della sua fazione».
Anche Manlio Brigaglia, un altro studioso del banditismo sardo, ricalca le affermazioni del Manno. «Il Fais. con la sua banda (della quali faceva parte anche sua moglie)», scrive nel libro Sardegna perché banditi, «finì per unirsi ai Delitala, formando un vero e proprio esercito di campagna che teneva tutto il Nord, ai confini fra il Sassarese e la Gallu­ra, sotto il proprio controllo: una banda di cui era l’anima una curiosa figura di amazzone, donna Lucia Tedde Delitala, che, dice il Costa, “montava in arcione, e armata dì fucile e stocco, con ardimento virile usciva in campagna per affrontare i nemici*».
Renato Pintus in Pagine di storia sarda scrive: «Il fatto che qualche nobile famiglia avversa alla casa sabauda abbia tenuto bande armate al tuo servizio sembra effettivamente accertato. Si trattava però di fami­glie di nobili diseredati e perseguitati, quasi sempre perché a suo tempo avevano familiarizzato con gli Spagnoli. A queste famiglie i viceré riser­vavano, pur con le dovute cautele perché si trattava pur sempre di nobili, persecuzioni e provocazioni di ugni genere. È il caso della famiglia Delitala di Nulvi, composta dì nemici acerrimi dei regnanti di allora. Il capo di questa famiglia, don Francesco Delitala. era stato arrestato per­ché sospettato, sulla base di una deposizione giurata di cinque probiuomini, ed esclusa qualunque difesa. Questa famiglia, invisa ai sabaudi perché a suo tempo simpatizzante degli Spagnoli, non aveva mai accet­talo la dominazione dei nuovi regnanti».
I Delitala possono essere considerati, insomma, perseguitati politici. E, come rutti i perseguitati, si sentivano in dovere di tutelarsi creando un proprio esercito.
«Da qui la formazione», scrive ancora Pintus, «di quadriglie armate che avevano il compito di rintuzzare, difendendosi, le continue persecu­zioni dei funzionari fiscali viceregi. Le quadriglie erano comandate da Lucia Delitala, figlia di don Francesco, la quale tenne in scacco per circa 20 anni (fino al vicereame di Valguarnera) funzionari e truppe sabaudi. Anche donna Lucia venne arrestata (ma soltanto in seguito alla soffiata di un parente) e tradotta a Cagliari al cospetto del viceré; il quale non avendo il coraggio di imprigionare una così coraggiosa e per giunta nobile rappresentante di una grande famiglia sarda, chiese istru­zioni al sovrano, che le concesse la grazia a condizione che non arrecas­se nessun disturbo al governo».
La tesi del “banditismo patriottico” della famiglia Delitala viene messa in discussione da Giuseppe Doneddu in Criminalità e società nella Sarde­gna del secondo Settecento: «Le motivazioni concordemente esplicitate da fonti diverse individuano l’origine di questa perturbazione in una lotta tra famiglie rivali che insanguinò l’Anglona a partite dal 1732. Tale regione, il cui centro più importante era Nulvi, abitato da una po­polazione rurale prevalentemente agricola, fu devastata dall’odio di due famiglie della nobiltà locale, che vantavano vastissime amicizie e paren­tele. Varie lettere senza data di Giovanni Delitala, un sacerdote che espone al viceré la triste condizione della sua famiglia, elencano le persone che chiedono la grazia, dicendosi pronte ad abbandonare la campagna per rientrare nelle loro abitazioni. Fra queste. 70 erano di Nulvi tra cui sedici nobili: vivevano ormai da anni fuori dalla legge. Le carte invero molto abbondanti che seguono tali vicende sembrano in parte sfatare la lesi sulla matrice politica di questo banditismo, che vedrebbe, secondo alcuni studiosi, i fautori dei Delitala collegarsi ai numerosi fuoriusciti sardi che tentavano dalla Corsica di ostacolare il nuovo governo piemontese a favore degli Spagnoli e degli stessi Francesi. Ancora nel 1770 il viceré affermava infatti che le voci circolanti nell’isola sulla prossima invasione dei nuovi padroni della Corsica, erano probabilmente sparse ad arte dagli stessi Delitala. Appare piuttosto evidente che gli esponenti di questa nobile famiglia in posizione emergerne nella zona fin dal Cinquecento, rappresentavano un duplice problema, sia perché; erano l’esempio più clamoroso dell’incapacità del nuovo governo di porre ordine nella regione; sia perché con i loro fautori o in accordo con altre consistenti bande armate operavano un sistematico contrabbando di cereali e di bestiame tra le due isole, costituendo una della cause principali della forte recrudescenza dell’abigeato e dì altri delitti».
Più bandito che patriota, dunque, donna Lucia? O, più che bandito, ribelle a un regime incapace di porre ordine in una terra dove i banditi nobili o no che fossero, potevano anche contare su innumerevoli protettori? E dei quali, alla fin fine, gli stessi governanti si servivano molto spesso? In una lettera di Carlo Emanuele III (dicembre 1733) al vicerè che stava a Cagliari, si legge: «Riguardo al capo bandito Don Girolamo Delitala. raccomandato dal cardinale Alessandro Alboni, approviamo la grazia delle pene incorse, a condizione che il Delitala si porti a Cagliri per l’arresto, presti fidanza di mille scudi, conduca seco in ostaggio un de’ suoi figlioli o un aderente, e paghi le spese».
Ma forse vide giusto, un secolo dopo, un altro Savoia: quel Carlo Alberlo che affermava che la Sardegna, per essere redenta, aveva bisogno più di bravi missionari che di soldati. Gli aveva dato ragione, sessant’anni prima della sua nascita il gesuita padre Vassallo che nel 1738, il 4 aprile, venerdì di Quaresima, aveva riunito nella chiesa parrocchiale d Nulvi i capi delle due fazioni, don Giovanni Tedde e don Antonio Delitala. I due feroci nobiluomini si presentarono seguiti ognuno da uni schiera di loro seguaci, umili come postulanti, sul sagrato della chiesa. Deposte le armi ai piedi di padre Vassallo si scambiarono commossi I bacio della pace, lavati per sempre da un mare di sangue fraterno sparso per vendetta e sete di potere.
Donna Lucia, non si sa perché, a quelle “paci” non c’era.
Per questa festa della pacificazione, voluta da un nobile gesuita chiaramontese parente dei Tedde e ricordata ancora oggi da una grande croce di pietra, donna Lucia Delitala sottoscrisse un lascito di diecimila lire a favore del collegio gesuitico di O/ieri. Nel 1799 questo lascito, in segui­to alla soppressione della compagnia di Gesù, venne affidato al parroco di Chiiaramonti. Servirà novant’anni dopo a «fabbricare la nuova chiesa parrocchiale».

Lungo la via degli antichi padroni
Camminando, adesso, per il centro storico di Nulvi, don Posadinu si ferma a ogni passo lungo la stretta via alla quale, da chissà chi e chissà quando, è stato dato il nome dei Delitala.
«Si dicono un sacco di cose, racconta, «su questa donna Lucia. Avrà avuto i suoi difetti, ma era anche molto religiosa e benefattrice della chiesa. Si raccontano episodi che non stanno né in ciclo ne in terra, e se ne parla come se tutti l’avessero conosciuta di persona. Come la favola secondo cui lei, che amava i suoi cavalli come fratelli, un giorno avrebbe fatto uccidere un asino che aveva osato sfiorarla durante una passeggiata. O che girasse armata di forbici per tagliare, soprattutto in chiesa, i lussuosi vestiti di quelle vanitose nobilotte che badavano solo al lusso dell’apparire. E vero anche che questa tradizione e stata ricor­data dallo stesso padre Angius, che passa per uomo incapace di inven­tarsi cose campate in aria».
«C’è chi dice addirittura”, prosegue don Posadinu, «che donna Lucia Tedde e donna Lucia Delitala non fossero la stessa persona. Contraddi­cono autorevolmente questa tesi i registri parrocchiali, dove vengono usati indifferentemente i nomi dì donna Lucia Tedde Delitala e donna Lucia Delitala Tedde. È quindi inesatta l’ipotesi che donna Lucia Deli­tala (la quale non prese parte alla pace del 1738, ma fuggì in Corsica con uno dei suoi mitici cavalli) fosse di Nulvi e che invece donna Lucia Tedde, autrice del lascito ai gesuiti d’Ozieri, fosse di Chiaramonti.
L’ipotesi più attendibile, insomma, è che donna Lucia Delitala Tedde fosse quell’unica banditessa e guerriera che quando morì, nubile e ric­chissima, lasciò quasi tutto il suo patrimonio alle chiese di Chiaramonti.
«In ogni caso», sorride don Posadinu con una strana luce negli occhi che prelude ironicamente alla smentita di quanto affermeranno le sue parole, «io donna Lucia l’ho conosciuta di persona: non aveva batti, aveva dei modi gentili e raffinati, era alta e molto bella. Veniva da Mal­ta. Al di là dello stesso nome della famosa banditessa-patriota, si dichiarava una fra le ultime discendenti dei Tedde Delitala di Nulvi. Par­lo dell’estate di tre o quattro anni fa. Qualche anno prima mi era venuto a trovare un altro Delitala. Un uomo di una certa età, alto e distinto. Si presentò come l’ultimo barone della famiglia Delitala Tedde di Nulvi. Veniva, mi pare di ricordare, da una grande città della penisola, il cui nome ora mi sfugge».
Sorride don Posadinu. Sorride e saluta tutti quelli che incontra, come un gentiluomo medievale che dai suoi parrocchiani riscuote, sì. qualco­sa, ma soltanto un tributo d’affetto.
Via Delitala si slarga a un tratto in una piazzetta. Un piccolo salotto addobbato secondo il gusto frettoloso del nostro tempo. Sulla sinistra nell’angolo dove la piazza si restringe ancora per ridiventare via, un grande palazzo dimesso, di cui. sotto anonime mani di calce biancastra che lo affratellano alle case contigue, si potrebbero immaginare le linee sontuose di un’epoca Cancellata.
Nella facciata, su una lastra di marmo biancastro, un’epigrafe: // nobile Francesco Delitala qui abitò Sua diletta patria. Il comune pose a ricordo nel primo anniversario della morte di lui, 18. 1. 1892.

Tratto da: Banditi di Sardegna di Franco Fresi

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