Una risata seppellirà la società del lavoro e dello sfruttamento

24 Giugno 2017
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Gianfranco Sabattini

Un nuovo intervento dell’autorevole economista cagliaritano sulla transizione alla “società senza lavoro” e della convivialità, in prosecuzione del dialogo dei giorni scorsi su questo blog.

 

Caro Andrea,

non è solo Paul Lafargue ad esprimersi in pro di “una società senza lavoro”; tanti altri autori e pensatori dopo di lui si sono espressi in favore dell’ozio e della convivialità, come fanno, ad esempio, coloro che sostengono, come tu sai, l’opportunità della decrescita, giusto per rimediare agli effetti indesiderati sull’ambiente e l’umanità di una logica comportamentale individuale e collettiva che porta a promuovere e a giustificare una crescita dei sistemi produttivi continua ed illimitata.
Ironizzando, tu affermi che il lavoro che svolgi per ordinare i “tuoi campi” sia solo una finzione; non è così! Quando curi le “tue cose”, con passione e gratificazione interiore, compi realmente un lavoro per te e per la comunità della quale sei parte; ciò perché, col tuo lavoro, non soddisfi solo un tuo bisogno esistenziale immediato, ma, senza che ne sia o meno consapevole, concorri a realizzare il “tuo progetto di vita”, del quale anche il resto della tua comunità ne gode.
Sul pensiero di Marx non mi azzardo più di tanto ad esprimere mie valutazioni; sarei solo un temerario se pensassi di poter “polemizzare” con te sulle tematiche marxiane; però, voglio solo osservare che quando Marx parla di società senza lavoro si riferisce alla società comunista, liberata dalla necessità di lavorare, al costo di sudore, sangue e fatica, dalla “società comunista di transizione”. La transizione, oltre che in Marx, occorre viverla anche ai tempi nostri, se, considerato che i sistemi produttivi moderni sono dotati di tanta capacità di produrre da lasciar presumere d’aver realizzato potenzialmente una società senza lavoro, con diritto all’ozio, inteso questo nel migliore dei modi possibili.
E’ su questo punto, cioè sul come vivere la transizione nel mondo attuale, che si colloca la diversità delle nostre “posizioni politiche”. Tu dici che per vivere la transizione nel mondo moderno sia necessario riproporre la lotta di classe; io, al contrario, sono convinto che la lotta di classe abbia avuto una sua funzione storica, che oggi non è più il caso di ricuperarla. Oggi, infatti, le condizioni materiali disponibili rendono inutile realizzare in terra un insopportabile inferno per realizzare il paradiso terrestre delle società senza lavoro.
Io sono del parere che il mondo sia prossimi ad un cambiamento epocale, che forse io non avrò la possibilità di viverlo, ma sicuramente, lo vogliano o meno gli oligarchi del mondo attuale, sarà una “risata” a costringerli ad accettare ciò che sinora hanno sempre rifiutato; a convincermi della “bontà” di questa “mia posizione” è l’esperimento mentale sugli esiti negativi della continua concentrazione della ricchezza, formulato già nel XIX secolo in Progresso e libertà da un economista americano sconosciuto, Henry Gorge.
Gorge ragionava così: se il progresso tecnologico indotto dalla competitività internazionale continua via via a succedersi determinando l’espulsione continua e definitiva di quote di forza lavorativa dalle attività produttive, allora è possibile pensare ad un momento in corrispondenza del quale la produzione può essere ottenuta azzerando totalmente l’occupazione. In tal modo, i capitalisti, cioè i proprietari del fattore produttivo capitale possono appropriarsi dell’intera produzione conseguita senza l’impiego di alcun lavoratore; l’intera forza lavorativa disponibile cessa di partecipare, in una misura qualsiasi, alla distribuzione della ricchezza prodotta (espressa dalla produzione realizzata senza lavoro). Per quanto il costo della “riproduzione” della forza lavorativa disponibile, ma non impiegata, possa essere reso uguale, per mantenerla in vita, al “costo della biada per i cavalli” o al “costo dell’olio lubrificante per il funzionamento delle macchine”, la produzione eccedente il “costo di riproduzione delle forza lavoro tutta disoccupata”, rimanendo invenduta, manca di tradursi in ricchezza reale anche per chi la controlla in modo esclusivo, riducendo il sistema sociale a vivere all’interno di un’economia funzionante in regime di uno stato stazionario regressivo. Questo limite, affermava in pieno Ottocento George, al quale conducono “le invenzioni economizzanti il lavoro può sembrare molto remoto, perfino impossibile a raggiungersi; ma è un punto verso cui tende sempre più fortemente il progresso delle invenzioni”.
E’ un limite, caro Andrea, che dovrà oggi essere tenuto nella debita considerazione nel decidere sul come distribuire nel modo più consono il prodotto sociale, al fine di salvaguardare la continuità del sistema sociale all’interno del quale opera un’economia che, a differenza di quella operante all’epoca di George, ha già raggiunto la potenziale libertà dal bisogno.
Se i signori oligarchi del mondo si illudono di poter tenere tutta per loro la “roba” prodotta, beh lascio a te immaginare cosa potranno farsene.

1 commento

  • 1 Oggi sabato 24 giugno 2017 | Aladin Pensiero
    24 Giugno 2017 - 10:29

    […] ————————————————- Una risata seppellirà la società del lavoro e dello sfruttamento 24 Giugno 2017 Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi. […]

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