Gramsci e il nascente americanismo

26 Agosto 2017
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Gianni Fresu

 

 

Si conclude la pubblicazione dei Quaderni del carcere

 

Martedì 21 luglio 2009

 

 

Il pensiero gramsciano si definisce nell’ultimo Quaderno scritto in carcere, ricco di temi ancor oggi d’attualità. Con il volume 18 si conclude l’edizione anastatica dei Quaderni del carcere. Contiene i Quaderni dal 22 al 29 e approfondisce temi come l’americanismo, la critica letteraria, il giornalismo, la storia delle classi subalterne, il folclore. Nel primo Gramsci analizza le profonde trasformazioni prodotte nella società americana dall’introduzione del fordismo-taylorismo. Il fascismo e l’americanismo-fordismo sono per Gramsci le due risposte, profondamente diverse, che la civiltà borghese ha dato alla sua “crisi organica” nel Novecento: la prima era una risposta profondamente regressiva, una rabbiosa difesa dell’ordine costituito tradizionale; la seconda costituiva invece una risposta progressiva e razionale – seppur segnata anch’essa da contraddizioni – che avrebbe sancito il passaggio dal vecchio individualismo economico all’economia programmatica. Le due risposte erano conseguenti alla differente composizione sociale in Europa e negli Usa.

L’americanismo, per attuarsi concretamente, necessitava che non esistessero classi numerose senza una funzione essenziale nel mondo produttivo. La civiltà europea era invece contraddistinta dal proliferare di “classi parassitarie” generate dalla ricchezza e complessità della storia passata, che aveva lasciato un mucchio di sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina e dell’esercito. Quanto più vetusta è la storia di un paese tanto più estese e dannose sono queste «sedimentazioni di masse fannullone e inutili che vivono del patrimonio degli avi, di questi pensionati della storia economica».
Questo processo di razionalizzazione necessitava la creazione di un nuovo tipo di lavoratore plasmato, in ogni suo aspetto, sulle esigenze della produzione e della catena di montaggio. L’espressione usata dall’ingegner Taylor “gorilla ammaestrato” esprime alla perfezione questo fine della società americana: «sviluppare nel lavoratore al massimo grado gli atteggiamenti macchinali ed automatici, spezzare il vecchio nesso psico-fisico del lavoro professionale qualificato che domandava una certa partecipazione attiva dell’intelligenza, della fantasia, dell’iniziativa del lavoratore e ridurre le operazioni produttive al solo aspetto fisico macchinale». Ma per quanto i tentativi di spersonalizzazione del lavoro, propri dell’industrialismo taylorista, potessero essere profondamente pervasivi, secondo Gramsci, l’obiettivo di trasformare l’operaio in “gorilla ammaestrato” era destinato a fallire. Come si cammina, senza il bisogno che il cervello sia impegnato su tutti i movimenti che il camminare comporta, allo stesso modo il lavoro dell’operaio “fordizzato” non avrebbe determinato l’annullamento delle sue funzioni intellettuali e quindi politiche. Il tentativo di brutalizzazione dell’industrialismo mirava a rendere invalicabile la separazione tra lavoro manuale e funzioni intellettuali, ma proprio in questa sua irrealistica aspirazione stava il suo maggior limite.

 

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