Cent’anni dopo la “Rivoluzione contro Il Capitale”.

8 Novembre 2017
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Tonino Dessì

Continuiamo il ricordo della Rivoluzione d’Ottobre” con questa riflessione sull’articolo di Antonio Gramsci da noi pubblicato ieri.
Ieri, a Cagliari, nella  sede di Rifondazione comunista, in via S. Domenico, c’è stato un “Brindisi per la Rivoluzione”, un ricordo dell’Ottobre, informale, senza discorsi o relazioni. Chi ha voluto ha letto un brano sulla Rivoluzione, scelto liberamente. Giovannino Deriu ha “recitato” un passo di Togliatti, Luisa Sassu uno scritto di  Di Vittorio, Pietrina Chessa la testimonianza di Giovanni Lai sulla ricostituzione della sezione comunista a Cagliari il 7 novembre del 1943, Gianna Lai la lettera di Gramsci che pone le basi per la pubblicazione di un giornale, non a caso chiamato “L’Unità”. Per parte mia ho ritrovato fra i miei libri un opuscoletto, ristampato da Feltrinelli negli anni ‘50, di riflessioni di Lenin sulla Comune di Parigi. Per mia fortuna il libello ha dei foglietti da me posti fra le pagine, che sintetizzano, a mo’ di titoli, gli argomenti trattati da Lenin. Questo mi consente d’improvvisare le lettura.
Primo titoletto: “Distruzione della macchina dello Stato”. La Comune ha dimostrato che “non basta che la classe operaia s’impadronisca della macchina dello Stato per farla servire ai suoi fini”, “la rivoluzione non deve tentare di far passare la macchina burocratica e militare in altre mani - ciò che è sempre avvenuto finora - ma di distruggerla”  (sottilineatura di Marx nella lettera a Kugelmann del 12 aprile 1871). Per sostituirla con che cosa?,  si chiede Lenin. Con una democrazia radicale. Completa eleggibilità e revocabilità di tutte le cariche, compresi i funzionari pubblici e i magistrati, con stipendi pari a quello di un operaio. Ugualitarismo integrale. Critica radicale al parlamentarismo borghese, con l’introduzione di continuum di assemblee elettive, che dalle piccole Comuni giungono alla capitale. ”Queste Comuni avrebbero eletto “la Delegazione nazionale” di Parigi” per esercitare “le funzioni (poche, ma importanti) che restavano ancora al potere centrale”. Insomma, il principio di sussidiarietà ante litteram! Così lo Stato oppressivo e parassitario viene distrutto e inizia a decadere lo Stato in generale. La Comune in questo modo si mostra come la forma “finalmente trovata” che deve e può sostituire ciò che ha demolito, “con la quale si compirà la liberazione economica del lavoro”.  
Nel ‘17 l’ottobre traduce le Comuni in Soviet, ipotizzando una democrazia formata da un continuum di assemblee elettive di operai e contadini. In questo Lenin si mantiene fedele all’osservazione di Marx, il quale dalla Comune trae l’insegnamento che la forma della  democrazia popolare deve ricavarsi anzitutto dalla concrete esperienze rivoluzionarie, senza ingessanti teorizzazioni preventive.  
Come si vede, da questi scritti di Lenin, antecedenti al 1917, emerge limpidamente lo spirito radicalmente democratico del marxismo, prima della torsione autoritaria di Stalin, che ha sostituito ad un apparato burocratico e repressivo un altro apparato con uguali connotati. Un allontanamento e un travisamento del pensiero di Marx e anche di quello di Lenin. Gramsci declina invece il marxismo in modo opposto, preservandone il carattere libertario e liberatorio. Nino - com’è noto - enuclea il concetto di egemonia, che sostituisce la forza delle armi con quella della cultura, della conquista delle “casematte”. In questo contesto il partito è un intellettuale collettivo più che un apparato burocratico. Non a caso il pensiero di Gramsci si mostra vitale e ricco di spunti anche per l’oggi. Ci dà stimoli per una battaglia in difesa della democrazia e per un suo sviluppo completo, come strumento di liberazione e di eguaglianza. Tonino Dessì ce lo ricorda con questa riflessione sull’articolo “La Rivoluzione contro il Capitale”, pubblicato qui ieri. (A.P.)

(Francesco Del Casino, in tuta, realizza il murale per Gramsci e Lussu ad Armungia)

L’articolo pubblicato da un Antonio Gramsci ancora molto giovane nel 1917, all’indomani dell’inizio della Rivoluzione bolscevica, costituisce, per i gli spunti teorici che contiene, uno dei suoi più importanti lasciti metodologici su Marx e sul Marxismo ed è ricchissimo di suggestioni e di anticipazioni storiche, alcune forse persino inconsapevoli. Gramsci intuisce che la Rivoluzione non avviene “dentro” lo schema predittivo marxiano, perché non sopraggiunge in un Paese al culmine dello sviluppo capitalistico, ma in un Impero autocratico e semifeudale, nel quale lo sviluppo capitalistico interno è appena embrionale (benchè ormai neanche questo Impero, come dimostrerà il suo precipitare nella Prima Guerra Mondiale, potesse ormai sfuggire alle dinamiche impresse alla storia dal capitalismo già dilagato su scala planetaria). È un’intuizione, quella di Gramsci, la cui portata critica non investe il suo grande maestro, ma si dispiega apertamente contro un approccio a Marx di carattere intellettualistico e introduce a quella che Gramsci, nella sua visione del materialismo storico come filosofia della prassi, riconnetterà in termini di unità e di coerenza tra pensiero e azione, tra capacità speculativa e volontà rivoluzionaria agente (e, secondo la lezione leninista, organizzata a partire dalla “classe”, il proletariato col suo partito). Vi è anche un’anticipazione parimenti critica, verosimilmente legata alle connotazioni contemporanee del confronto e degli scontri interni ai partiti operai e socialisti di allora, più che presaga dei complessi e contorti sviluppi che giungeranno fino a noi, che però sembra prefigurare. Quando scrive che “i bolscevichi non sono marxisti” (così come alcuni di noi dicono, con un paradosso dialettico, che “Marx non era e non avrebbe mai potuto essere marxista”), non allude a un allontanamento dal solco tracciato dal pensatore rivoluzionario di Treviri, quanto alla necessità-ineluttabilità di una capacità di adattamento creativo dell’ideazione politica e dell’iniziativa rivoluzionaria alle differenti, concrete, materiali realtà di tempo e di spazio, al di fuori da ogni paralizzante (e alla fin fine conservatrice, quando non reazionaria) ortodossia codificata. Infine l’ultimo ragionamento, quello più denso di contraddizioni al suo stesso interno, che azzarda una previsione, ma indica anche una linea. La prima si rivelerà sbagliata, perché la seconda non sarà seguita. Gramsci si dice convinto che la Rivoluzione, poggiando sulle solide basi marxiane e sul dinamismo creativo dei bolscevichi, metterà in movimento la società dell’ex Impero russo da un punto di partenza già acquisito (la consumazione della fase capitalistica a dittatura borghese) e punterà direttamente verso traguardi superiori, quelli del socialismo. Sappiamo che non andò così. Ancora vivo Lenin, ma più ancora per scelta dei suoi successori, si impose nella realtà sovietica un capitalismo di Stato, guidato da una dittatura di partito. Non fu il socialismo. Fu così che per settant’anni il “big bang” rivoluzionario visse una lunga vicenda entropica, dissipando lentamente un’energia che pure ha continuato a diffondersi nel mondo per decenni, ma che lentamente si andò affievolendo, fino all’implosione fatale dell’URSS. Permane oggi nel pianeta, a mio avviso, quella che, per mutuare ancora una terminologia astronomica e fisica, potremmo definire “la radiazione fossile” della rivoluzione. Non è, come sa chi familiarizzi appena con i concetti e con le suggestioni della fisica, una forza di poca importanza: ma, un po’ come la radiazione fossile del nostro Universo, non sono ancora del tutto interpretabili i suoi effetti sulla realtà attuale.

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  • 1 Oggi mercoledì 8 novembre 2017 | Aladin Pensiero
    8 Novembre 2017 - 09:13

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