Chiesti cinque anni per Francesca Barracciu

29 Novembre 2017
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Red

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Cattivello il pubblico ministero Marco Cocco! Ha chiesto cinque anni di condanna per la povera Francesca Barracciu (Pd), accusata di peculato aggravato nell’ambito dell’inchiesta sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale relativi alla XIII legislatura (dal 2004 al 2009 ). Il Pm in un’oretta ha ricostruito gli spostamenti bancari di quegli 81mila euro per i quali l’ex sottosegretaria è finita sul banco degli imputati. Per la Barracciu, come per gli altri, la traiettoria dei fondi ha preso una direzione sbagliata. Se si tratta di fondi per l’attività dei gruppi, doveva rimanere nel conto del gruppo e disporne il tesoriere a seconda delle necessità collettive o individuali, in ogni caso per attività istituzionali. Per esempio, convegni indetti dal gruppo consiliare o spostamenti dei singoli per atività istituzionali, con rimborso a più di lista. Il trasferimento di fondi in conti bancari nella disponibilità dei singoli consiglieri, se non sè già di per sè un illecito, certo ne è la premessa, anche perché è difficile per il singolo documentare ogni  spesa. Si tenga conto che i politici sono spesso destinatari di richieste di fondi da sezioni o circoli  territoriali o sono soggetti a spese per attività politiche non agevolmente documentabili. Non è un caso che, dopo quelle prime dichiarazioni, l’ex sottosegretaria – pur presente in aula – abbia deciso di non farsi interrogare dal pubblico ministero. Si è limitata a consegnare una memoria nell’udienza dello scorso luglio.
La Barracciu poi si è difesa inzialmente in modo ingenuo, inventandosi la storia della benzina, che ha fatto sorridere un po’ tutti. 80 mila euro di gasolio sono un po’ troppi! Un simpatico comico cagliaritano ha detto che sarebbe stato meglio per la signora dire di averli perduti quei soldi! Sarebbe stata più credibile. Cinque anni di galera forse vogliono punire anche quella sfrontatezza. Certo è una pena severa, e umanamente non auspicabile. Anche se è ingiustificabile da ogni punto di vista che si sia voluto incrementare l’indennità consiliare non proprio povera. Ciò che colpisce è poi che persone baciate dalla fortuna, chiamate a rappresentare i cittadini, non pensino ad altro se non ad arraffare tutto l’arraffabile.
Questa vicenda e le altre simili consentono una riflessione sul degrado delle istituzioni e della politica dopo la fine dei grandi partiti del Novecento. Allora l’azione dei gruppi in Consiglio regionale aveva un carattere collettivo e i fondi venivano destinati  ad illustrare le attività del gruppo con iniziative pubbliche e pubblicazioni. Trasformati i partiti in consorterie con a capo un capobastone, i fondi sono stati dirottati nei conti dei tanti piccoli satrapi nella piena disponibilità di ciascuno. La mancanza di rendiconto e di controlli, derivanti dal rango parlamentare dei gruppi, è diventato il grimaldello per aprire la cassa e spartirsi liberamente il bottino.  
Il collegio giudicante, presieduto da Massimo Costantino Poddighe (a latere Francesco Alterio e Andrea Mereu), dovrà tener conto anche di questa trasformazione, onde pervenire ad una decisione equilibrata e giusta, sempreché i fondi siano stati destinati ad attività latamente politico-culturali e non - come pure è accaduto - a spese personali o familiari.
Noi - come sempre - non tifiamo per le condanne. Rimane però una considerazione: l’art. 54 Cost. va al di là del codice penale, richiede che le funzioni pubbliche siano svolte con “dignità e disciplina”. E, pur con tutti gli sforzi, vien male annettere quei caratteri ad un’attività che, in tanti casi (non sempre), anziché le idealità e il progetto, pone al primo posto il portafoglio.

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