Le scorciatoie securitarie “alla Salvini” di Massimo Zedda

1 Ottobre 2018
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Tonino Dessì

Stanno scivolando senza che quasi nessuno abbia sollevato obiezioni le notizie riferite dal quotidiano del capoluogo metropolitano sull’uso dei figli dei vigili urbani quali agenti provocatori per incastrare i venditori di alcolici ai minori nei quartieri del centro storico e sull’esclusione di Piazza del Carmine dall’area del servizio comunale di WI-FI gratuito.

Nel mirino i piccoli market gestiti da immigrati (di origine asiatica) che restano aperti quasi ventiquattro ore su ventiquattro e i gruppi di immigrati temporanei, prevalentemente giovani di origine centroafricana, non appartenenti alla colonia senegalese stanziale, che stazionano (più di giorno fino a tarda sera che fino a notte inoltrata, a dire il vero) nella storica piazza centrale, dalla quale possono comunicare con gli smartphone anche con l’estero e con i luoghi e le famiglie di provenienza.

Il Sindaco Zedda ha motivato le misure, assumendosene la piena personale paternità, con le parole d’ordine della tolleranza zero sull’abuso di alcolici e dello sgombero della piazza dalla “gentaglia” che vi staziona.

Consensi ampi di negozianti, baristi e ristoratori locali “in regola” nonchè di residenti infastiditi dal deterioramento del decoro urbano, deboli proteste dei richiedenti asilo, qualche critica sui social di cittadini, alcuni dei quali lamentano di essere incolpevolmente privati anch’essi del Wi-Fi gratuito, altri che evidenziano il connotato discriminatorio e nemmeno troppo velatamente razzista delle misure adottate.

Credo di rientrare senz’altro nell’ultima categoria di cittadini e di provare per queste misure un’avversione pari al senso di allarme che mi provocano tanto l’ipocrisia quanto l’irresponsabilità che le ispirano.

Ci vedo un contributo al clima generale di intolleranza da parte dei responsabili politici della civica amministrazione e insieme un loro opportunismo cinico: i migranti non votano, differentemente dai restanti e credo maggiormente responsabili del disagio che da anni chi risiede, lavora o porta i figli a scuola nel centro storico avverte intensamente.

Può essere certamente che le violazioni dei divieti di vendere alcolici ai minori siano all’ordine del giorno (e magari della notte): i dati resi noti sulle infrazioni comminate a seguito delle singolari operazioni di infiltrazione per mezzo dei figli degli agenti di polizia municipale sembrerebbero confermarlo, salvo il dubbio che siano state operazioni fin troppo meticolosamente “mirate” per non disturbare altri esercenti. Mi chiedo fra l’altro se queste operazioni di infiltrazione-provocazione mediante famigliari degli agenti siano legali e quale autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza le abbia autorizzate.

Comunque che di giorno, ma soprattutto nella notte lunga della movida cagliaritana, l’alcool e altro scorrano a fiumi è un dato di fatto. 

Così come sono dati di fatto gli accumuli di immondizia, i vetri di bottiglie rotte, le lattine disseminate per ogni dove, i fetori di urina, di deiezioni, di vomito che neppure gli operatori mattutini della nettezza urbana, nella loro pur solerte, quotidiana attività, riescono a rimuovere del tutto e che sono l’altra faccia ormai permanente del restyling prodotto dalle opere di manutenzione e di abbellimento urbani realizzate dal Comune in questi anni.

Così come è difficilmente contestabile che l’aver favorito la trasformazione di quasi tutto il centro in area di mescita e di ristorazione per avventori locali e per turisti ha reso colorate e animate le vie di Stampace, di Marina e di Castello, ma le ha anche fatte diventare assai poco tranquille per i residenti, frastornati dal traffico diurno e notturno del Largo Carlo Felice e dal costante rumore soprattutto notturno, prodotto anche dalla musica ad alto volume di alcuni locali e dalla movida che attrae e concentra folle di giovani e di meno giovani in questi quartieri, dagli schiamazzi incontrastati, dalle frotte di giovani ubriachi, dalle risse fra loro tutt’altro che infrequenti, da scippi e borseggi tentati e riusciti non proprio rarissimi.

Sarei portato a escludere senza tema di smentite che i principali responsabili di questa situazione siano i soggetti che invece ha messo nel mirino il Sindaco di Cagliari.

I piccoli market in realtà svolgono anche un servizio sussidiario prezioso per i residenti, ma che forse è avvertito come fastidiosamente concorrenziale per i bar che non vendono gli stessi generi di conforto o che vendono cibi e bevande a prezzi più alti.

I giovani di colore che stazionano in Piazza del Carmine non partecipano alla movida, raramente schiamazzano o disturbano anche la notte, gli ubriaconi e i tossici fra loro sono meno della corrispettiva e notturnamente coesistente popolazione giovanile di origine locale o proveniente dall’hinterland, così come si può dire senz’altro per i protagonisti di accoltellamenti, di risse, di scippi, di provocazioni moleste quando non aggressive delle quali quasi quotidianamente apprendiamo leggendo le cronache cittadine relative a questi quartieri.

Le misure adottate dal Comune perciò sono puramente e semplicemente discriminatorie e non risolveranno nessun problema.

Si sposteranno, i ragazzi di colore, a meno di levare il Wi-Fi da tutto il centro storico della città (e, aggiungerei, dalla passeggiata del Poetto).

Non è invece detto che si sposteranno spacciatori, papponi con poche, sgangherate, povere prostitute locali espulse dalle stazioni di mercato di carne più giovane e nera o esteuropea fra Viale La Playa, Viale Monastir, Viale Elmas, teppisti e nemmeno poveracci e barboni, che gravitano sulla Piazza del Carmine anche e soprattutto la notte ai margini della movida della Cagliari bene e che sono gli uni meno pacifici e meno raccomandabili, gli ultimi meno vitali e socievoli, perché più spenti, disperati e passivi dei gruppi di migranti.

Nè è scontato, anche per questo, ma anche perché la composizione merceologica e la qualità imprenditoriale degli esercizi che vi sono rimasti non pare particolarmente dinamica o vocata, che Piazza del Carmine, perdendo i giovani di colore esca dalla marginalità che la contraddistingue rispetto alla relativa dinamicità delle vie adiacenti. 

Intanto però un altro pezzo dell’anima civile e accogliente della città si sarà inaridita, fra l’incapacità di gestire decentemente i problemi della povertà indigena e quelli della convivenza, se non dell’integrazione dei nuovi foranei e la scelta univoca di sacrificare ogni prospettiva civile del centro storico al ruolo assegnatogli di divertimentificio, tanto luminoso e addobbato quanto comunque neppure troppo nascostamente degradato. 

 

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