L’idea di socialismo. Un sogno necessario

18 Ottobre 2018
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Gianfranco Sabattini

Nel libro ”L’idea di socialismo. Un sogno necessario”, Axel Honneth, filosofo dell’Università di Francoforte, rilancia in modo originale l’idea di socialismo, aggiornandola e conformandola alla soluzione dei problemi del tempo presente; egli lo fa, separando l’idea di socialismo dal “suo guscio concettuale” originario, radicato nel terreno del primo industrialismo, per riproporla all’interno di “un nuovo quadro teorico”.
Per far questo, Honneth si sofferma in primo luogo sulle ragioni che hanno condotto al punto per cui il socialismo sembra aver perso l’originaria forza propulsiva; in secondo luogo, alla luce dell’analisi di queste ragioni, egli individua quali potrebbero essere “le modifiche concettuali da apportare alle idee socialiste perché esse possano riaccendere la forza perduta”. A tal fine, il filosofo, dopo aver premesso che la sua analisi avrà un “carattere metapolitico” (nel senso che non sarà riferita alle possibilità di azione del presente) illustra, prima, qual era l’idea originaria del socialismo e, poi, formula le innovazione che ritiene inevitabili, se si vogliono rilanciate le idee del socialismo, oggi “antiquate” rispetto ai problemi sociali ed economici che agitano le società contemporanee.
L’idea di socialismo – afferma Honneth – “è figlia spirituale dell’industrializzazione capitalistica”; essa è nata in seguito alla Rivoluzione francese, allorché è emerso che, per la maggior parte della popolazione dei Paesi nei quali il capitalismo si era affermato, le istanze di “libertà”, “uguaglianza” e “fraternità” erano rimaste lontane da una loro effettiva realizzazione. Per tutti coloro che condividevano le rimostranze contro l’ordine sociale post-rivoluzionario, il punto di partenza era il riconoscimento che l’ampliamento del mercato capitalistico impediva alla maggior parte delle popolazioni di godere delle migliorate condizioni economiche. Tuttavia, per costoro, ai fini del miglioramento delle condizioni di tutti, la trasformazione dei mezzi di produzione in proprietà collettiva non veniva mai presentata come un obiettivo da perseguire, nel senso che la priorità era sempre attribuita alla “libertà” e alla “fraternità”, mentre alla “uguaglianza” veniva assegnato un ruolo subordinato.
Successivamente, però, la critica socialista alla società capitalistica, pur accettando i fondamenti normativi ancorati ai principi sanciti dalla Rivoluzione francese, ha messo in dubbio – sostiene Honneth - che essi potessero “essere realizzati in modo non contraddittorio”, se la libertà non fosse stata “ripensata in senso meno individualistico”, e dunque considerata con maggior decisione in “direzione di una sua applicazione di taglio intersoggettivo”. Chi svilupperà le categorie concettuali utili a stabilire un legame tra libertà individuale e vita in comune sarà Marx; attraverso l’”affilata strumentazione concettuale” (filosofica ed economica) della quale disponeva, egli tenterà di superare (mancando di valutare in negativo le possibili ricadute sul piano politico-morale) “il concetto individualistico di libertà, adoperato nelle dottrine di politica economica e messo in atto nel mercato capitalistico”, perché considerato “inconciliabile con una comunità ‘vera’ composta da tutti i membri della società”.
Secondo Marx, nella società capitalistica, i suoi membri regolano i loro rapporti di scambio solo indirettamente, per mezzo del denaro, entro un mercato anonimo, fondato su basi egoistiche, trascurando il fatto che la soddisfazione dei bisogni di ognuno richiede sempre la disponibilità complementare degli altri. Ci si comporterebbe in modo assai diverso, secondo Marx, se gli scambi avvenissero senza l’impiego della moneta; in questo caso, egli affermava, ogni scambista avrebbe direttamente la percezione dei bisogni degli altri, mentre, per via della reciproca dipendenza, anche gli altri avrebbero contezza dei suoi bisogni.
Questo ragionamento di Marx, secondo Honneth, ha permesso di definire la “libertà” nel senso di “libertà sociale”; su questa base, il socialismo ha potuto formulare un’alternativa all’ordinamento sociale capitalistico, assumendo che “in un’associazione di liberi produttori la realizzazione degli obiettivi comuni viene perseguita nella forma per cui i membri agiscono del tutto intenzionalmente l’uno-per-l’altro, poiché si sono riconosciuti reciprocamente nei loro bisogni individuali”; pertanto, essi intendono così agire all’interno dell’organizzazione sociale per la soddisfazione di tali bisogni. In un simile contesto, la libertà individuale assume una forma tale, per cui gli altri non sono più considerati come potenziale causa “di limitazione delle proprie intenzioni d’azione”, ma come “partner cooperativi necessari alla loro realizzazione”.
Con riferimento a un simile contesto, ciò che è importante rilevare, secondo Honneth, è il fatto che le tre istanze della Rivoluzione francese (“libertà”, “uguaglianza”, “fraternità”) vengono riunite in un solo principio, in quanto l’interpretazione della libertà individuale, intesa come completamento di sé nell’altro, giunge a coincidere con i requisiti dell’”uguaglianza” e della “fraternità”. E’ da questa “prospettiva olistica, secondo cui l’istanza realizzatrice della libertà non deve essere più individuata nella singola persona, ma nella comunità solidale”, che il movimento socialista – sostiene Honneth – ha iniziato la propria azione politica. Infatti, tutte le misure che in seguito saranno assunte dai sostenitori del socialismo, per riparare ai mali delle società capitalistiche, perseguiranno, senza successo, l’obiettivo di formare delle comunità i cui nelle quali i membri si fossero integrati reciprocamente, rapportandosi tra loro in modo paritario.
Di fronte agli insuccessi nel perseguire la realizzazione di un’organizzazione della società alternativa a quella capitalistica, la critica al socialismo ha “avuto vita facile”, non solo perché i socialisti, a parere di Honneth, non sono riusciti a dare alle loro proposte politiche una forma sufficientemente persuasiva, ma anche perché il loro obiettivo di realizzare una comunità solidale è stata limitata alla sfera delle attività economiche; da un altro lato, essi hanno conferito un ossessivo carico valoriale al loro progetto, per la cui realizzazione tutti i tentativi esperiti hanno perso progressivamente “utilità politica e cognitiva”. Ciò è accaduto, per Honneth, sia per cause riconducibili al contesto in cui è nata la società industriale, sia per altre cause che concernono l’idea stessa di socialismo.
Il primo gruppo di cause cui è riconducibile il progressivo affievolimento del progetto socialista va identificato nel fatto che esso (il progetto) aveva come punto esclusivo di riferimento originario le classi lavoratrici, considerate le uniche destinatarie delle visioni socialiste. Con la progressiva trasformazione di tutti i lavoratori in cittadini (seguita alla sostituzione dello “Stato di diritto” con lo “Stato sociale di diritto”), per il socialismo – afferma Honneth - è cambiato quasi tutto, in quanto a “incarnare” le sue istanze, in luogo della “lotta operaia”, sono state le “conquiste istituzionali”; in conseguenza di ciò, le istanze valoriali del socialismo si sono trasferite dai movimenti operaisti ai partiti socialisti, impegnati ad ottenere che si compissero le riforme istituzionali attese; perché il riformismo socialista potesse avere successo nella soluzione dei problemi del mondo che stava emergendo, occorreva liberare l’idea socialista dal “suo vecchio guscio concettuale”, recidendo il “legame esclusivo che l’idea di libertà sociale aveva con la sfera economica”.
Quanto al secondo gruppo di cause, che hanno investito in negativo l’idea stessa di socialismo, la loro fonte è riconducibile al fatto che il modello di libertà sociale del socialismo originario, che correlava reciprocamente il principio di libertà con quello di solidarietà, è stato sviluppato – afferma Honneth – “esclusivamente in relazione della sfera dell’agire economico”, senza considerare la possibilità di “poterlo utilizzare anche rispetto ad altre sfere di azione della società che stava appunto nascendo”. Ciò perché i padri fondatori del socialismo erano convinti che, anche in futuro, “l’integrazione di tutti gli ambiti della società sarebbe stata determinata esclusivamente dalle esigenze della produzione industriale”.
Sarà la critica degli antagonisti liberali del socialismo a porre il problema dell’esistenza, nella società, di diverse sfere di azione e di tracciare, in particolare, la distinzione tra “un ambito privato e una sfera inerente alla dimensione pubblico-generale”, al fine di tener conto della tendenza della società ad articolarsi in ambiti estranei a quello puramente economico. Il fatto che, sul piano teorico, il socialismo non abbia tenuto nel debito conto la tendenza della società a differenziarsi in sfere di azione diverse, spiega, secondo Honneth, perché esso (il socialismo) sia stato vittima di una sorta di “cecità giuridica”, per via del fatto che, man mano che i cittadini allargavano i loro diritti civili attraverso le conquiste istituzionali, è stata spesso sottovalutata l’influenza che tali diritti giungevano ad esercitare sulla formazione della volontà politica e, attraverso questa, sul governo dell’economia e delle altre sfere extraeconomiche.
Questo limite interno al primo socialismo è stato superato nel corso del XIX secolo, attraverso l’elaborazione teorica del socialismo riformista, il quale, però, negli ultimi decenni ha visto opacizzarsi e indebolirsi la visione tradizionale internazionalista ereditata dal socialismo originario. Le difficoltà del social-riformismo sono iniziate dal momento in cui i problemi delle società moderne potevano essere governati, non più a livello locale, ad opera degli Stati nazionali, ma su scala globale. La tensione che caratterizza oggi l’azione del social-riformismo (dovuta all’esigenza di stabilire reti internazionali collegate alla necessità che l’azione politica sia ancorata alla tradizioni locali) sarà – per Honneth – tanto più facilmente dominabile quanto più decisamente, nella sua missione di mobilitazione dell’opinione pubblica rivolta verso l’interno, il socialismo premerà per aprire verso l’esterno, in un rapporto di reciprocità, le proprie istanze, rendendole sensibili nei confronti degli interessi esterni.
Deve essere questa, secondo Honneth, la tendenza di sviluppo teorico alla quale il socialismo deve attenersi se vorrà conservare la propria originaria vocazione internazionalista. E’ solo nella prospettiva di questa rinnovata prospettiva internazionalista, che diventerà possibile riporre la speranza in un progetto futuro di riforma dell’ordinamento giuridico-economico presente: non attraverso il ricorso alla forza esercitata da una qualche particolare classe sociale, ma attraverso la costante attenzione verso l’articolazione crescente degli interessi sociali, con cui il socialismo potrà riproporsi con successo alla guida della dinamica sociale. Quanto più il socialismo, nella sua coniugazione riformista, sarà “vicino” a questa dinamica, tanto più potrà nutrire l’ambizione di divenire “il portavoce morale delle aspettative di libertà non soltanto rispetto ai rapporti di produzione, ma anche rispetto alle relazioni personali e alle possibilità di cogestione politica”.

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