Il Parco geominerario della Sardegna espulso dalla rete UNESCO. Una fine annunciata

26 Settembre 2019
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Tonino Dessì

Non sono mai stato convinto della formula istituzionale adottata per la valorizzazione delle straordinariamente importanti vestigia minerarie della Sardegna.
L’accorpamento, mediante legge n. 388/2000, sotto l’ombrello-quadro della legge n. 394/1991, dell’intero patrimonio sparso per tutta l’Isola mi parve fin dall’inizio concentrare due difficoltà.
La prima era quella insita nel modello di gestione politico-burocratica mutuato da quello dei parchi naturali nazionali, che in Sardegna non ha favorito la realizzazione del Parco del Gennargentu e che finora non si è dimostrato capace di promuovere nè un adeguato decollo del Parco nazionale dell’Asinara nè una gestione di respiro del Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena.
La seconda fu proprio la scelta di ipotizzare un parco virtualmente unico, ma materialmente “a macchia di leopardo”, mentre la disseminazione sull’intero territorio sardo del patrimonio coinvolto a mio avviso avrebbe dovuto essere affrontata in modo assai più aderente alle realtà locali.
Sono sempre stato convinto che la rete geomineraria avrebbe dovuto, preferibilmente, essere integrata nella rete complessiva e articolata dei parchi naturali regionali a suo tempo previsti dalla legge regionale n. 31 del 1989, facendo afferire quel patrimonio a ciascuna delle aree indicate da quella legge per la destinazione a parco, ancorché prevedendo un disciplinare unitario e forme di collaborazione fra i parchi regionali finalizzato a conservare le particolari caratteristiche storico-culturali e tecnico-architettoniche di quel patrimonio.
La somma delle due difficoltà e l’assenza tanto di strumenti di indirizzo regionali adeguati, quanto di un intervento politico organico della Regione ha fatto sì che la storia del Parco Geominerario sia stata connotata pressoché esclusivamente dalle consuete, tristi vicende tipiche dei più classici carrozzoni gestionali-amministrativi in vario modo lottizzati e non poco coinvolti in altre connesse, collaterali, o aggiunte vicende amministrative regionali non prive di connotati clientelari.
Il punto è, come dimostra purtroppo l’insuccesso dell’intero progetto di ampio respiro che era sotteso alla legge regionale n. 31 varata nel 1989 all’interno del pacchetto più complessivo di interventi in materia approvati durante il ciclo delle Giunte Melis, che la tematica ambientale in Sardegna ha preso una lunga deriva fatta di resistenze, di opposizioni, di inadempienze, ma non poco di scarsità d’impulso e di carenza di soggetti collettivi e di personalità individuali capaci di assicurarle continuità e sviluppo.
Non ha salvato questa deriva, anzi in qualche misura vi ha contribuito, la politica territoriale seguita dal centrosinistra sardo a partire dal 2004.
Nella sua versione più illuminata, essa ha preteso di assorbire la specificità delle opportunità sottese alla concreta e vitale istituzione e gestione di una vasta rete di aree protette (“a sviluppo speciale” in quanto ispirate ai canoni globali della sostenibilità), nella più ampia, generale questione della pianificazione paesaggistica (troppo condizionata a sua volta, proprio per il suo carattere di generalità, dall’incombere inevitabile dei compromessi urbanistico-edilizi).
Nella versione più operativa, quella politica ha visto il sostanziale abbandono delle ambizioni ecologiste, collaterale ai ricorrenti tentativi di riduzione anche della portata degli istituti di tutela ambientale contenuti in forma di norme nella legislazione e nella pianificazione paesaggistica (si pensi ai piani-casa e alle varie proposte legislative in materia urbanistica, compresa l’ultima arenatasi in conclusione della trascorsa legislatura regionale).
Ora, a fronte dell’ultimo, più recente effetto di questa deriva, per di più con un assetto dei poteri politici regionali e locali pericolosamente cambiato, il tema rischia di ridursi alla (improbabile) rianimazione non di un progetto, ma di un carrozzone.
Riterrei invece assai più utile, se ne esistessero ancora i soggetti capaci di animarla, una riflessione e un’iniziativa di respiro più ampio sulla ripresa di una seria politica ecologista in Sardegna.
La prospettiva del patrimonio culturale ereditato dalla nostra millenaria storia di Isola delle miniere può trovare a mio avviso un rilancio solo se inserita in questa ripresa.
Possibile che nessuno avverta la discrasia fra quanto sta accadendo nel mondo, con i milioni di persone mobilitate dalle iniziative sul climate exchange di Greta Thumberg e l’asfissia in cui versa anche il confronto politico e di opinione in Sardegna?

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