G8 tra pasticci e infratrutture. E le questioni del mondo?

28 Aprile 2009
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Andrea Raggio

Sul trasferimento del G8 da La Maddalena all’Aquila hanno detto: Berlusconi, “C’erano preoccupazioni per il sistema di sicurezza e logistico che non erano state superate”; Bertolaso, “Senza dubbio non ci sono stati condizionamenti di natura logistica o militare”; Berlusconi, “I no global non avranno cuore di ferire una città già colpita dal terremoto”, “La Maddalena è fin troppo bella. Avremmo avuto perfino l’ausilio di una nave di lusso e sarebbe stato un G8 non consono alla crisi economica che attraversiamo, mentre l’Aquila è una sede più sobria”. Berlusconi, “Chiedo scusa al presidente della regione Sardegna, che non abbiamo avuto modo di avvisare”. Cappellacci, “Prevale il senso di responsabilità che ciascuno è chiamato a esercitare al di là delle prerogative o delle competenze dei vari soggetti istituzionali, comprese quelle di una Regione a Statuto speciale”. Sono alcune delle tante espressioni riportate dalla stampa dalle quali emergono con brutale evidenza il cinismo, il pressapochismo, il disprezzo delle Istituzioni autonomiste e la subalternità di chi ci governa a Roma e a Cagliari.
Le risorse destinate a La Maddalena e al nord Sardegna erano previste inizialmente in 755 milioni di euro, quasi interamente provenienti dal fondo nazionale per le aree sottoutilizzate e dai fondi strutturali europei, quindi risorse non legate direttamente al G8. Che fine faranno? Berlusconi e Bertolaso sostengono che con la scelta dell’Aquila si risparmiano 220 milioni: come si risparmiano e, comunque, rimangono in Sardegna? Dicono che le opere avviate saranno completate. E quelle non ancora avviate? E quando i lavori in corso e ultimati saranno pagati? Il Governo è abilissimo non solo nel promettere e non finanziare ma anche nel finanziare e non pagare. Ne sanno qualche cosa i tanti piccoli imprenditori che hanno investito facendo affidamento su finanziamenti concessi con decreto e non ancora pagati e sono perciò portati sul filo del fallimento. Insomma, quando Tremonti dice: tranquilli, i soldi ci sono, non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, è meglio non dargli credito.
Berlusconi si scusa per non aver avvertito il Presidente della Regione, aveva altro da fare. Ma il Presidente del Consiglio dei ministri non era tenuto a compiere un gesto di cortesia, aveva l’obbligo a norma di Statuto di chiamare il Presidente della Regione a partecipare alla riunione del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Regione aveva e ha il dovere di far rispettare lo Statuto anche da parte dell’amico e protettore Silvio Berlusconi. E’ tempo di piantarla con la storia dei governi amici. Dal punto visto istituzionale i governi non sono né amici né nemici, sono soltanto governi. In altri tempi i presidenti della Regione, ancorché democristiani, si comportavano con ben altra dignità.
Questa pasticciata vicenda, al di là del fastidio provocato dallo squallore dei trucchi berlusconiani, sollecita qualche considerazione di carattere generale. Il G8 è stato usato per favorire forti investimenti infrastrutturali a La Maddalena e nel nord Sardegna. Benissimo. Poi inopinatamente è stato trasferito all’Aquila per risparmiare, si dice, e per mantenere desta l’attenzione del mondo sulla “capitale del dolore”. Non convince, ma se ne prende atto. Non si è colta e non si coglie, invece, l’occasione per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle questioni internazionali, da troppo tempo eclissate. Eppure siamo a un mese dal voto europeo e viviamo una crisi che può essere affrontata efficacemente solo nella dimensione mondiale. Ed è proprio rispetto alle caratteristiche inedite della crisi che il G8 appare del tutto inadeguato. Rappresenta, infatti, solo una parte del mondo, esclude le nuove potenze asiatiche e sudamericane e l’intero continente africano; si riunisce annualmente per discutere delle grandi questioni politiche ma non decide. Al G8, inoltre, si accompagnano altri forum e organismi che trattano separatamente i problemi economici, anche di carattere settoriale o concernenti la cooperazione economica a livello delle grandi regioni, gli aspetti del mercato mondiale e le questioni ambientali. E’ quest’assetto disorganico del sistema mondiale che non risponde più all’esigenza di dare una risposta globale alla crisi globale. Se è vero, infatti, che la crisi è anche effetto di questa globalizzazione, è altrettanto vero che se ne può uscire solo democratizzando la globalizzazione, cioè mettendo d’accordo, in una visione non separata ma organica, politica, economia, ambiente e socialità. E occorre, quindi, operare nella direzione sia di un nuovo ordine mondiale sia dell’universalità dei diritti. Ecco perché oggi è indispensabile e urgente rafforzare gli organismi internazionali deputati a svolgere un ruolo politico complessivo, in primo luogo l’ONU, o che tendono a svilupparlo, come l’Unione europea. Vivono fuori del nostro tempo coloro che trascurano quest’orizzonte e si arroccano nella Regione-fortezza e nell’identità-rifugio. Serve, perciò, anche un rinnovamento della classe dirigente.

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