A cent’anni dalla nascita del PCI. Canfora dice la sua…

25 Gennaio 2021
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Red

Canfora nel suo godibile volumetto sui cent’anni del PCI ci spiega la metamorfosi di questo partito, ci parla di ieri, di oggi e s’interroga sul futuro prossimo.

D. Perché la destra non decampa dai suoi caposaldi e li mette in pratica, mentre la “sinistra” (esitante persino a definirsi tale) non solo ha archiviato tutto il suo “bagaglio” ma è ridotta ad attestarsi - quale nuova “linea del Piave” - sul binomio liberismo-europeismo?
R. Luciano Gallino dava una risposta semplice e convincente: perché le classi possidenti hanno vinto la battaglia (e forse la guerra) “nella lotta delle classi”.

D. Eppure l’attuale semi-sinistra sa bene che l’europeismo, brandito con retorica e fastidiosa insistenza, non è che la figurazione romantica di una realtà intrinsecamente neo liberista…
R. …Il suo fondamento, il cardine del Trattato costitutivo della UE, è il divieto degli aiuti di Stato alle aziende nazionali. E’ cioè la negazione perentoria e di fatto ricattatoria di tutta una linea di condotta economica che vedeva nella “partecipazione statale” e nella “economia mista” la via da seguire.

D. “La metamofosi” può essere considerato un libro di storia antica. Ciò perché intende riflettere sulla vicenda di un partito politico. Si intende di un vero partito politico, il Partito comunista “d’Italia” (poi “italiano”), nato nel 1921,  rinato, in forma totalmente diversa rispetto alle origini nel 1944, cresciuto con ammirevole continuità, nel consenso elettorale nel corso di un trentennio…
R. … fino i successi di ridonanza mondiale, conseguiti nel 1975 e 1976, addirittura il maggior partito italiano alle elezioni del 1984, “suicidato” dal ‘vertice’ appena cinque anni dopo, sciolto in via definitiva dopo un anno abbondante di lenta agonia.

D. Nei secoli XIX e XX, nell’Europa continentale, i partiti hanno avuto fattezze piuttosto simili, modellatisi via via sull’assetto dei partiti socialisti e socialdemocratici…
R. Parliamo di partiti protesi ad organizzare masse più o meno grandi e a fare proselitismo nel nome di idealità e programmi.

D. Sono subentrati degli agglomerati ondivaghi che rifuggono spesso dal nome stesso di “partito”…
R. …e prefrsiccono denominazioni fantasiose o puerili o metafisiche: “En Marche”, “Forza Italia”, con la variante dell’alleata-rivale “Fratelli d’Italia”, “Lega Salvini”, “M5S”, “Verdi”, “Italia Viva” (?), “Azione”(!) ecc. Essi vivono per lo più come alone intorno ad un leader, non hanno veri e propri programmi di qualche respiro, per lo più fiutano l’aria, cioè le pulsioni dell’opinione pubblica. Opinione a sua volta conquistata totalmente da miti primordiali-consumistici. Hanno rinunciato a qualunque funzione educativa…

D.  Il PCd’I nasce dopo la sconfitta del “diciannovismo”, culminato nell’occupazione delle fabbriche (finita al ribasso nel 1920)…
R. Questa sconfitta segnò sin da subito il destino del neonato (gennaio 1921) Partico Comunista d’Italia. Le due urgenze - come affrontare il fascismo e quali obiettivi perseguire dopo la sua fine - furono la ’scuola’ in cui si formò, o meglio si rifondò il PCd’I, presto e significativamente divenuto “italiano” (PCI).

D. La lezione durissima del successo conseguito dal fascismo portò, nella consapevolezza di una parte decisiva del gruppo dirigente, alla archiviazione del modello e dello scenario giacobino-leninista, alla opzione definitiva per “l’unità delle forze antifasciste” e in particolare alla ricerca della collaborazione con l’universo cattolico.
R. Artefice di questa trasformazione fu Palmiro Togliatti non incline a scoprire fino in fondo ciò che non poteva non apparirgli l’approdo, seppe - nei vent’anni della sua azione da leader nell’Italia post-fascista - tenere insieme il vecchio (che non poteva evaporare d’incanto) e il nuovo.

D. “Egli è stato - ha scritto di lui Eric Hobsbawn - l’ultimo rappresentante della Terza Internazionale, il principale architetto delle politiche post-belliche del PCI”, colui che ha reso possibile, quasi da solo, la sopravvivenza e la fortuna politica degli scritti di Gramsci”…
R. Non ha sesno dotare, con l’immaginazione, i personaggi storici di virtù profetiche, ma non è azzardato ipotizzare che questo leader (il quale fu ben più che un “tattico”) avesse intuito, mentre imponeva al suo partito l’orizzonte del partito nuovo, quali fossero gli sbocchi, quale l’approdo: il rientro nell’alveo del faticoso ma necessario “gradualismo”; nella cnsapevolezza, forse, del non potersi indefinitivamente, tenere insieme prospettive divergenti, o meglio incompatibili.

D. E ora?
R. Oggi non è più tempo di recriminazioni o di puntualizzazioni storiografiche. La domanda è una sola: potrà l’odierna socialdemocrazia (fenomeno in prevalenza europeo) scoordinata e frastornata, reggere alla prova della vittoria planetaria del capitale finanziario?

P.S. Queste alcune delle domande e delle risposte di Canfora, ma il suo volumetto comprende tanto altro. Da leggere.

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