Gianna Lai
Oggi alle 18,30 al Manamanà in Piazzetta Savoia. ad iniziativa dell’Ass. di lettori Miele Amaro. Goffredo Fofi presenta il romanzo di Alberto Capitta, Alberi erranti e naufraghi. Il maestrale, 2013. Ecco sul libro una recensione di Gianna Lai.
Il cortile e la campagna, microcosmo di un’esistenza serena e sempre ricca di nuove conoscenze. Giuliano e Piero non potrebbero fare incontri migliori e più interessanti, al riparo come sono dalle incomprensioni che suscita la loro diversità. Il loro vivere estremo, stravagante in quella metafisica identificazione col mondo degli amatissimi animali che, per contro, guarda criticamente alle convenzioni sociali e ai modelli di vita disumani e standardizzati. ‘In fondo erano animali feriti anche loro e quelle loro ferite non andavano mostrate a nessuno’. Al punto che nemmeno il calore del padre può sanarle, né la scoperta del mare, né il bagno invernale rigeneratore. Niente può proteggere dall’abbandono, lontana la città che Giuliano percorre a vent’anni, accolto dai mendicanti emarginati come lui, se non l’amico Emilio, amante dello studio e della musica. Ma ahimè, così oppresso dal fratello e dal padre che vogliono ‘coinvolgerlo negli affari di famiglia’, ricchezze da amministrare, ruoli sociali da rispettare rigidamente. Tra cui il divieto categorico di frequentare quei balordi di Giuliano e di suo padre. In questo grave contrasto il succo della storia, il senso stesso dell’esistenza che oppone la creatività dei semplici, di chi guarda ancora alla vita con lo stupore iniziale, al disprezzo dei superbi, convinti che tutto sia già definito e predeterminato nell’ordine di cose e uomini. Conflitto e dissidio inconciliabile, così nasce la storia di Giuliano e Piero Arca, di Maddalena e Edoardo Branca, di Emilio e Michelangelo e Sebastiano Nonne, in ‘Alberi erranti e naufraghi’, l’ultimo romanzo di Alberto Capitta, edito da Il Maestrale.
Si annuncia in quell’atmosfera sospesa di nebbia l’impietoso dramma, e nell’ansia della pioggia battente, e nel congelamento di ogni emozione, provocato dalla neve. Presagi di mutamenti improvvisi dell’esistenza, dopo la cruenta carneficina degli amati animali nel cortile, che farà della ricerca disperata del padre la nuova ragione di vita. In quella temibile oscurità, l’enfasi di una natura che annuncia le difficoltà del cammino, e la paura del nuovo, di una solitudine che non puoi dividere con nessuno. Se hai paura fermati: la sediuccia di Piero Arca è l’unica compagna della ricerca, per il riposo della mente e del cuore, per avere il tempo di aprirsi ai sentimenti nuovi di una trasformazione, che sembra preludere alla maturità. E saper intendere la stranezza degli imprevisti, e degli eventi inaspettati, straordinari, incredibili. Perché andando ritrova se stesso Giuliano, e conoscenza, e comprensione del reale, anche attraverso le più diverse e, all’apparenza astruse, rappresentazioni metafisiche del mondo. Nell’atmosfera onirica di un luogo indefinito, il sogno si materializza attraverso una partecipazione emotiva ancora fortemente segnata da tristissimi abbandoni. E in mezzo ai segreti e agli incanti del mondo dell’infanzia, nel bosco accogliente e vitale, come l’acqua del fiume che purifica. Specie se a interpretare la natura sono i Bambini, orfani e indifesi come lui, riproducendone suoni e rumori in danze chiassose e giochi teatrali, o in liti sanguinose. O nella costruzione del presepio di animali pastori e piante, che Giuliano attraversa, babbo lui stesso, a rappresentare vita e morte, realtà e mondo irreale. Fino a quando la distruzione della sedia, fatta a pezzi dai Bambini in una rissa colossale, consuma le ultime attese e i ripensamenti volti a interrompere la ricerca e il viaggio della vita. ’Adesso ogni cosa è davvero al proprio posto, non vi è più nulla da toccare’, il caos è vinto, sconfitto. Come se, solo partecipando al cambiamento, tu possa ragionare e recuperare nel presente il passato non risolto. In quel luogo, il ‘più bello di ogni altro al mondo’
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