Un Uomo di poche parole. Storia di Lorenzo, il muratore che salvò Primo Levi

31 Maggio 2023
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Gianna Lai

Il 2 giugno, Festa della Repubblica, l’ANPI e la CGIL, con altre associazioni, presentano questo libro  con la partecipazione dell’Autore, presso la Sala Conferenze edificio dei sali scelti - PARCO DI MOLENTARGIUS.
Ecco una recensione del libro.

E’ tra gli “intoccabili” Primo 174 517, Lorenzo tra i lavoratori più o meno volontari, più o meno coatti, non potendo, emigrato italiano, abbandonare la Germania: nella sofferenza estrema della persecuzione nazista la loro umanità resiste a rappresentare il mondo reale e direttamente contrapposto. A definire il mondo della solidarietà del lavoro, Lorenzo riconosce in quel morto di fame una condizione più avvicinabile a sé, la separatezza del lager solo per poco ne distingue la condizione di sfruttati, “Ah’s capis, cun gent’ parei”: così Primo riconosce il dialetto piemontese in quel lavoratore, “sei italiano?” “s’capis” 79 risponde l’altro, e nasce una vera relazione. “La demolizione dell’uomo questo è il fascismo”, dice Primo Levi, 76 il lavoratore del lager che non mangia non si regge neppure in piedi, “la menascka di zuppa data da Lorenzo, Primo e Alberto erano già tra i salavati”127. Si intitola Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo, Laterza 2023, lo struggente racconto di Carlo Greppi: Lorenzo Perrone e Primo Levi i protagonisti. Quella ferocia nazifascista contro l’uguaglianza, contro quindi la dignità della persona e della cittadinanza, un “alcolizzato rissoso”, l’irascibile muradur quasi analfabeta, la affronta: “guarda che rischi a parlare con me”, disse Primo, “non me ne importa niente”, gli rispose Lorenzo: da quel momento “la zuppa non mancò mai, accompagnata qualche volta da una fetta di pane”, così le parole dello scrittore Primo Levi, nel ricordo del lager e delle regole di quel mondo concentrazionario, violentemente separato. Una gavetta alpina d’alluminio piena di zuppa, “grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo”, ed anzi “io credo che, proprio a Lorenzo, debbo di essere vivo oggi”.

L’impegno di assicurare quel povero pasto quotidiano anche nei momenti più difficili e pericolosi, dimostra quale significato vada assumendo poco a poco il rapporto fra i due “lavoratori”, insieme ai tanti altri episodi di solidarietà tra cui, a rendere più pregnante l’intesa, lo scambio delle scarpe, per riparare quelle di Lorenzo, non essendoci ciabattini nella sua impresa. La stessa pietas, lo stesso affetto in questo “mettersi nei panni altrui” se, come ricorda Primo, ”lui camminò e lavorò per quattro giorni con le mie scarpe di legno ed io feci riparare le sue dai ciabattini di Monowitz, che mi avevano dato, nel frattempo, un paio di scarpe provvisorie”. Ecco che può rinascere la speranza.

Un libro umanissimo nel modo di procedere dell’autore, narrare innanzitutto le forme della ricerca, così sentimentalmente coinvolto a riannodare i fili che man mano emergono dalle fonti, dagli archivi e dalle testimonianze. Tra i parenti di Lorenzo, in particolare, ma fino all’emigrato Gino Vermicelli che ne descrive il mondo in mezzo ai frontalieri della provincia di Cuneo. Verso la Francia anche Lorenzo da Fossano, dove si trova intrappolato, con tanti altri, subito dopo la dichiarazione di guerra.

E le citazioni direttamente dagli scritti di Primo Levi e dalle versioni teatrali delle sue opere, a dare ordine all’insieme, l’approfondimento degli studi risalenti agli storici Thomson, Carole Angier, Cesare Bermani, ecc.: intrecciare la vicenda di Primo Levi alla cultura della Shoah, perchè Primo è ebreo e partigiano, l’antifascimo pena da scontare. Prende movimento persino la stessa pagina da queste molteplici forme della narrazione, racconto e storia nelle foto dei personaggi, se sfogliamo il testo, la didascalia a far parte della vicenda. Così nelle preziosissime cartoline che viaggiano da Auschwitz a Torino e ritorno, sempre attraverso Lorenzo, sempre attraverso la scrittura di Lorenzo. “Carissima signorina Bianca”, la lettera si chiude con l’attesa di una risposta e, grazie a quella corrispondenza, un pacco si segnala in arrivo dall’Italia, “non eravamo più soli: un legame con il mondo di fuori era stato stabilito”7. Ecco che può rinascere la speranza. E le poesie di Primo ad aprire e chiudere la narrazione, i titoli e le brevi citazioni a introdurre i paragrafi e, ancora, i biglietti autografi dei due protagonisti, la stessa targa-dedica che si staglia nella centralità della pagina, “All’umile e generoso figlio di Fossano, Lorenzo Perone”. Ancora amicizia e devozione dopo la fine della guerra, quando rivedersi pare un miracolo, se ne Il ritorno di Lorenzo, dopo mille chilometri di strada fatta a piedi, egli annuncia alla madre di Primo la morte di tutti gli ebrei nelle camere a gas. Invece “ancora tempo di doni, un caldo maglione di lana” e aiuto e sostegno alla precarietà dell’esistere in un mondo che non sa comprendere .

Attraversa, l’intera scrittura, il quadro storico, preciso e chiaro il discorso nell’espressione e nella forma, con quei rilievi così necessari a comprendere i perché della vicenda, perché Primo e Lorenzo ad Auschwitz, quale intesa sui rapporti tra imprese italiane e tedesche nella costruzione dei campi di concentramento, cui partecipa in massa l’emigrazione dalla Penisola. L’impresa che assume Lorenzo è la Beotti, appalto della Farben, “una delle aziende… maggiormente responsabili dello sfruttamento degli internati dell’universo concentrazionario nazista. Le aziende italiane e i volontari: “con gli schiavi e con gli schiavi degli schiavi, si facevano i soldi”.

E come si svolge, nel corso del tempo, il processo che fa riemergere le figure, i luoghi e la storia degli uomini e delle donne, come lentamente esse riemergano nella consapevolezza dei nuovi studiosi, nelle nuove aspettative dei lettori più attenti: mai definitivamente compiuto, ci spiega l’autore, quel processo, continua la tensione verso altra conoscenza, altri approfondimenti.

Ora, nel dopoguerra, il “Tacca” andava in giro per i cascinali con un carrettino “a comprare e vendere ferro vecchio,… il poco che guadagnava lo spendeva all’osteria,… non beveva per vizio ma per uscire dal mondo”. E dorme all’aperto Lorenzo, la morte è vicina e non vuole scansarla, “lui che non era un reduce era morto del male dei reduci”, scrive Primo Levi, come a monito di un futuro non meno triste ancora per tanti altri uomini così angosciati dalla Storia.

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