Che male c’è se Bersani ci prova?

31 Ottobre 2009
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Amsicora


Pier Luigi Bersani prova a chiudere le tensioni congressuali e apre agli ex sfidanti, proponendo una “gestione non unitaria del partito ma plurale” e assicurando che le scelte sui ruoli-chiave saranno fatte insieme all’ex segretario Dario Franceschini, mettendo “le persone migliori nei posti migliori”. Ma non tutti nel Pd sembrano accettare sereni il nuovo corso e, se Francesco Rutelli sembra aver imboccato la via del non ritorno, Walter Veltroni sembra condividerne le preoccupazioni: “Se il Pd rifluisce sulle posizioni della sinistra socialista o punta alla Grande coalizione si suicida”. Invece con Walter ha avuto tanti splrndidi successi! Fatto fuori Prodi, rimesso in sella il Cavaliere, sguarnito l’opposizione, messa a rischio perfino la Costituzione.
Volete una mia previsione? Vetroni, Fassino ed altri se ne andranno presto o tardi con Casini. Del resto, se uno dice che aprire a sinistra sia un suicidio, vuol dire che stà già pensando ad altro,
Bersani, invece, con pazienza ce la mette tutta per far ragionare i soggetti della possibile opposizione nella prospettiva dell’alternativa. Tra incontri dentro e fuori il partito, il neoleader cerca di rimettere nei ’suoi’ binari il Pd dopo mesi di battaglia congressuale e di ritessere i rapporti con i possibili alleati. A partire da Antonio Di Pietro, incontrato stamattina dopo mesi di rapporti freddi. Bersani non ha alcuna intenzione di rincorrere l’ex pm in un’opposizione urlata ed infatti il Pd, ha spiegato, “non aderirà all’antiberlusconi-day perché abbiamo due modi di fare opposizione”. Anche se ciò non toglie che Pd e Idv la vedono allo stesso modo sui problemi economici e sociali e “hanno la consapevolezza della necessità di costruire un’alternativa”. Che però, ha chiarito Bersani, deve essere credibile e quindi bandire in primo luogo gli attacchi al presidente della Repubblica.
Ma se i tempi delle alleanze sono medio-lunghi, il neosegretario non vuol disperdere l’entusiasmo dei 3 milioni delle primarie. Per questo stamattina ha incontrato Franceschini, che ieri aveva accelerato nel creare la sua area per lanciare un avvertimento al segretario ma anche per evitare spaccature dentro la mozione. Bersani avrebbe chiesto tempo, fino all’assemblea del 7 novembre, prima di proporre nomi; ma è stato chiaro, prima con Franceschini e poi con i deputati riuniti alla Camera, su come intende gestire il partito: “Non mi piace il termine gestione unitaria ma non sono mai stato fazioso in vita mia e penso a una gestione plurale”. Cioé apertura nel coinvolgere le minoranze ma evitare poi, come ai tempi di Veltroni, di rimanere paralizzato nelle decisioni dalle divisioni tra le correnti. E comunque, nella scelta dei ruoli-chiave, varrà il principio della capacità.
Ma, nonostante il buon senso di Bersani, la scissione è già in atto. Rutelli ha cominciato, con Bruno Tabacci e Lorenzo Dellai, la strada per “costruire una nuova offerta politica”. Veltroni è sulla stessa lunghezza d’onda, anche se non si è espresso per il salto della quaglia. Ma che paura ha Veltroni della sinistra socialista? L’importante è costruire una coalizione su un programma e su intelocutori affidabili. “Il Pd è avanti, avanti, a-van-ti”, scandisce infastidito il neoleader che punta ad una grandende coalizione, dall’Udc alla sinistra radicale. Domani vedrà Nichi Vendola e la prossima settimana Pier Ferdinando Casini. Un lavoro diffile, ma necessario. Per battere Berlusconi ci vogliono un progetto forte, una coalizione ampia e tanta, tanta chiarezza. Che male c’è se Bersani ci prova?

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