Contro la crisi unità, non tregua al berlusconismo

26 Novembre 2009
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Andrea Raggio

La Gallura berlusconiana si sente tradita e la sua protesta scuote il PDL e l’intera coalizione di centrodestra. Sotto tiro sono la Giunta Cappellacci, giudicata inadeguata, e la sua politica “cagliaricentrica”. La rivendicazione mira principalmente al riequilibrio territoriale delle risorse e del potere. Il caso Gallura, tuttavia, non è solo localismo e scontro di potere, in esso infatti sono presenti altri aspetti che lo collegano alla drammatica situazione dell’intera isola. La denuncia della connotazione “cagliaricentrica” della Giunta, inoltre, ha un fondamento se rivolta contro l’influenza della potente lobby affaristica cagliaritana che dal Comune è andata estendendosi alla Regione, un’influenza che danneggia la Sardegna tutta e la stessa Cagliari. E riguardo al riequilibrio delle risorse non sono mancate voci le quali hanno ammesso che stiracchiare la coperta corta non risolve il problema e che la politica equitativa senza sviluppo non funziona. La presenza al convegno e l’intervento del senatore Beppe Pisanu, infine, hanno assunto un significato che va oltre la solidarietà. L’invettiva a proposito della Sassari-Olbia: “La Regione doveva con tutto il popolo sardo far tremare le vetrate di Palazzo Chigi”, è una dura critica al Governo, alla Giunta e alla diffusa rassegnazione. Accompagnata dall’appello perché la Sardegna si dia un programma e sui grandi temi si crei unità, lascia intravedere la possibilità di una rottura della stagnazione della politica regionale. In effetti, il vento che viene dalla Gallura soffia forte anche da altre zone, dal Sulcis al nuorese all’intera isola, chiede non solo misure per fronteggiare l’emergenza, ma anche una forte iniziativa politica diretta a far uscire l’isola dalla crisi nella prospettiva di uno sviluppo nuovo.
Una nuova Rinascita? Da diverse parti è evocata quell’esperienza proponendo un altro Piano straordinario e un altro Congresso del popolo sardo. Capisco e condivido l’intenzione: dare respiro regionale alle lotte delle singole zone. Tuttavia, se vogliamo evitare che l’evocazione della Rinascita finisca per trasformarsi in un diversivo, dobbiamo distinguere di quell’esperienza ciò che vale ancora da quello che è, invece, superato. E’ superata, innanzi tutto, l’idea dell’intervento straordinario (i finanziamenti aggiuntivi sono altra cosa) poiché il contesto nazionale e internazionale, a differenza degli anni ’50, è un insieme di condizionamenti e di opportunità. Straordinaria deve essere, perciò, la partecipazione alle scelte nazionali ed europee, e questo richiede una forza istituzionale e politica che oggi la Regione non ha e che deve, pertanto, rapidamente acquisire. Superata è anche la concezione della Rinascita come rottura del sottosviluppo perché la Sardegna è cambiata profondamente e perché per colmare lo storico divario non è più sufficiente agire solo sul PIL. Sempre valido, invece, è il metodo allora adottato: un’idea di sviluppo, la saldatura emergenza-prospettiva, la programmazione, la partecipazione democratica.
Spesso la Rinascita è identificata nel “Piano”, ma questo è la parte meno felice di quella vicenda. La Rinascita va evocata, invece, per quello che principalmente è stata: un movimento di popolo, una straordinaria esperienza democratica che ha coinvolto le istituzioni a tutti i livelli, i partiti, le forse sociali e quelle culturali, un’esperienza animata da una cultura politica fortemente innovativa anche rispetto alla cultura meridionalista. E’ questo il motore che ha modernizzato la Sardegna.
Da quell’esperienza possiamo attingere non ricette miracolose ma importanti insegnamenti. Innanzi tutto occorre tradurre l’idea largamente condivisa dello sviluppo nuovo, imperniato sull’economia ecologica e sull’equità sociale, in politiche e programmi concreti. Decisiva è però, come allora, la partecipazione democratica. Questa è oggi la difficoltà principale, una difficoltà non aggirabile. I partiti hanno debole radicamento, i sindacati confederali sono in difficoltà anche a causa della crisi e dell’inadeguatezza dei governanti, l’intellettualità si è eclissata, la Regione è sempre più lontana dai cittadini, dilaga la rassegnazione. Con questa realtà bisogna fare i conti utilizzando le risorse della politica e facendo leva sugli aspetti suscettibili di sviluppi positivi. Il Partito democratico sta mettendo finalmente ordine al suo assetto interno e sembra avviato verso un cammino liberato, speriamo durevolmente, dalle contrapposizioni personalistiche. Va incoraggiato. Nella coalizione di centrodestra e nello stesso PDL emergono posizioni sempre più critiche alla sudditanza verso il “Governo amico”. Non vanno sottovalutate. I cittadini, se sono messi in condizioni di partecipare, come nel caso delle primarie, partecipano. Attenti a non deluderli. Soprattutto occorre sconfiggere la rassegnazione, ridare fiducia. E qui le grandi idee, il volare alto e lo scaldare i cuori, come suol dirsi, vanno benissimo purché non si perda l’aggancio con la realtà. Dalla quale emergono due impellenti necessità: lavoro e moralità della politica. Promuoviamo, allora, la mobilitazione di tutte le forze ai vari livelli e tutte le alleanze possibili per difendere l’occupazione esistente e per concentrare le risorse nelle direzioni capaci di creare nuova occupazione in tempi brevi, a cominciare dalle PMI, piantandola con la dispersione degli interventi e con l’assistenzialismo fine a se stesso. E contrastiamo con decisione il malcostume politico. In Regione c’è un andirivieni di assessori (come nel Grand Hotel, gente che va gente che viene), e il traffico è regolato direttamente dai partiti e addirittura da singoli personaggi detentori di un potere di ricatto. Tutti zitti. C’è poi la schiera di chi ha un piede nel Comune di Cagliari e l’altro nell’amministrazione regionale. Tutti zitti. Il personale delle segreterie dei gruppi consiliari viene inquadrato nell’organico dell’amministrazione regionale, aprendo così un altro canale di assunzioni senza concorso. Tutti zitti e complici. E’ vero, c’è di peggio in Regione e non solo, per non parlare del malcostume a livello nazionale. Non è una giustificazione. E non esiste una immoralità politica locale di minore importanza rispetto a quella che domina la scena nazionale. Tutto contribuisce ad abbassare il “rendimento istituzionale”, cioè la vitalità democratica e l’efficienza delle istituzioni a tutti i livelli.
Voglio dire, in conclusione, che l’appello all’unità contro la crisi che viene anche dal Presidente della Regione va certamente accolto ma non scambiato per tregua nella lotta all’abuso berlusconiano del potere.

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