La road to perdition del partito che non sa decidere

1 Febbraio 2010
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Carlo Dore jr.

In una delle ultime “mappe” tracciate da Ilvo Diamanti per “La Repubblica”, veniva evidenziato come il PD ha finito col disperdere, negli ultimi tre mesi, il piccolo ma incoraggiante patrimonio di consensi che l’ascesa di Bersani alla guida del Partito aveva alimentato in seno all’elettorato progressista.
Posto che questa valutazione è stata formulata prima che sul gruppo dirigente democratico si abbattessero sia il ciclone – Vendola sia le dimissioni del sindaco di Bologna Flavio Del Bono, le elezioni regionali in programma la prossima primavera si presentano già come una prova senza appello per il segretario in carica, diviso tra le difficoltà connesse all’individuazione di alcune candidature e le turbolenze della minoranza interna la quale – evidentemente esaltata dalla prospettiva di una sorta di campagna congressuale permanente – affila le armi, confidando in un rapido redde rationem.
Tuttavia, mentre Vendola trionfa e Del Bono si dimette, mentre Veltroni esulta, D’Alema polemizza, Franceschini tace, Marino osserva, Civati scrive, la Bonino si candida, Chiamparino protesta e Violante dialoga, i democratici marciano a capo chino lungo la road to perdition dell’ennesima sconfitta annunciata, la road to perdition di un partito che – sempre secondo Diamanti – ha smarrito di nuovo la propria capacità di infondere speranza ed entusiasmo nei suoi sempre più disillusi elettori: la road to perdition di un partito che non sa decidere.
Politico esperto, concreto e preparato, lontano anni-luce dall’american style proprio del PD del Lingotto, Bersani ha ricevuto tanto dagli iscritti quanto dai militanti una delega ampia finalizzata al conseguimento di un obiettivo preciso: archiviare una volta per sempre il ma-anchismo e la politica lieve; superare il dogma del partito liquido e della vocazione maggioritaria per favorire il ritorno al modello tradizionale del partito strutturato, in grado di costituire il cardine di una larga coalizione di centro-sinistra, costruita sul modello del grande Ulivo teorizzato da Prodi nel 1996.
Ebbene, finora il segretario ha utilizzato la forte leadership di cui è investito in maniera troppo prudente e forse poco incisiva, apparendo più proteso a fungere da camera di compensazione tra le varie correnti che attraversano il Nazareno che impegnato ad imprimere al partito la svolta progressista promessa durante la campagna per le primarie.
Questa incessante “ricerca dell’equilibrio” si è tradotta in una strategia politica incerta che gli elettori faticano a comprendere o, come nel caso della Puglia, tendono a rifiutare, dimostrando di recepire maggiormente i messaggi (forse non raffinati, ma) più netti e decisi trasmessi ora da Vendola, ora da Di Pietro. L’incertezza a cui ho appena fatto cenno riverbera tanto sulle scelte interne alla struttura del partito – il dibattito sull’uso delle primarie imporrebbe infatti una decisione definitiva sulle modalità di selezione dei candidati -, quanto sulla determinazione del tipo di opposizione da contrapporre allo strapotere berlusconiano, con il PD eternamente sospeso tra il badile dell’intransigenza verso le leggi-vergogna e la disponibilità ad un pericolosissimo dialogo su ancora non ben definite “riforme di sistema” con una destra che non perde occasione per manifestare quotidianamente la sua vocazione a-costituzionale.
In conclusione: per superare il clima da congresso permanente a cui la minoranza interna aspira, per scongiurare il pericolo dell’ennesimo redde rationem, per interrompere la road to perdition verso l’ennesima Waterloo dei progressisti italiani, Bersani deve usare il mandato di cui è titolare per costruire il PD che ha in mente, anche a costo di assumere qualche scelta dolorosa, di scontentare qualche potentato locale, di vincere qualche resistenza, di sopportare qualche altra nano-scissione.
In altre parole, Bersani deve iniziare a decidere, a proporre agli elettori un modello di partito chiaro, caratterizzato da un programma politico coerente verso cui la base possa scegliere se manifestare approvazione o diniego. L’elaborazione di una proposta politica non fondata su compromessi ed equilibrismi è il primo passo per procedere nell’attuazione della tanto invocata alternativa al dominio del centro-destra, il primo passo per invertire la road to perdition del partito che non sa decidere.

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