Pertini: Presidente partigiano e galantuomo

25 Febbraio 2010
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Gianluca Scroccu

In occasione del ventennale della morte si è svolto ieri presso l’Istituto professionale “Sandro Pertini” di Cagliari, un convegno dal titolo “20 anni dalla scomparsa di Sandro Pertini-Il presidente Partigiano”, con il patrocinio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Di seguito una sintesi dell’intervento dello storico Gianluca Scroccu, il quale, fra l’altro, rileva l’enorme popolarità di Pertini dovuta sopratutto alla sua onestà. Vien da chiedersi quale mutazione ha subito il popolo italiano se oggi analogo consenso manifesta per un personaggio, Berlusconi,  dalle caratteristiche politiche e morali del tutto opposte.

Al giornalista Livio Zanetti, che nel 1985 gli chiedeva di darsi una pagella alla fine del suo settennato, Sandro Pertini rispose: «Ha cercato di comportarsi da uomo onesto e di interpretare le aspirazioni degli onesti. Può essergli accaduto di farlo con troppa passione e insistenza, disturbando certi temperamenti delicati. A costoro, chiede scusa». Sono passati vent’anni dalla morte del presidente più amato dagli italiani. Certamente l’Italia di oggi è molto diversa da quella che salutò Pertini nel ‘90, ma la sua figura continua ad essere molto amata. In lui gli italiani videro un politico che non esitava ad essere vicino ai cittadini nelle fatiche del quotidiano, senza mai abdicare a quei principi di assoluta integrità morale e di servizio che ogni uomo pubblico deve rispettare nel suo impegno istituzionale. Principi che lo avevano portato, giovanissimo, ad aderire alla causa del socialismo italiano, sotto l’insegnamento di quelli che lui considerò sempre i suoi maestri, Filippo Turati e Claudio Treves. Una militanza socialista che lo condusse a scontrarsi eroicamente contro la dittatura fascista, della quale fu uno dei più tenaci oppositori, ricevendone in cambio pestaggi, soprusi, bastonature e soprattutto più di quindici anni di carcere (dove, a dispetto delle lacerazioni fra comunisti e socialisti, intrecciò una bellissima amicizia con Gramsci). Successivamente, caduto il fascismo, fu invece uno dei protagonisti della Resistenza, partecipando alla liberazione di Firenze, mentre a Milano guidò con Leo Valiani e Luigi Longo l’insurrezione del 25 aprile.
Il suo impegno di antifascista e di militante e dirigente socialista venne coronato dal suo ruolo nelle istituzioni, dove dimostrò, come ebbe a dire un suo degno successore come Oscar Luigi Scalfaro, «di essere un socialista che credeva nello Stato e nella centralità delle istituzioni parlamentari». Sia da presidente della Camera che da capo dello Stato si ispirò sempre ai principi costituzionali e all’identità antifascista. Il suo costante richiamo ai temi dell’attualità e universalità dei valori della libertà e del progresso sociale, della tolleranza di ogni genere di diversità, il riferimento alla costruzione dell’Europa Unita, gli appelli in favore della pace e della necessità dell’emancipazione del Terzo Mondo, ebbero un’importante funzione di crescita per la coscienza civica nazionale. Così come fondamentali furono i suoi moniti sull’esigenza della moralizzazione della vita pubblica contro la corruzione e fenomeni eversivi come la P2, oltre alla lotta contro la criminalità organizzata e la ferma opposizione contro la strategia del terrorismo di estrema destra e di estrema sinistra che allora insanguinavano l’Italia.
Quel suo stile che tanto piaceva agli italiani, a partire dai giovani, mentre irritava spesso stampa e politici che lo accusavano di uscire dalle sue competenze, segnò un’epoca, favorendo la diffusione all’estero di un’immagine di un’Italia pulita, onesta e coraggiosa.
Del resto non nascose mai la sua schiettezza, i suoi umori, il suo temperamento; forse gli italiani, abituati a convivere con una politica che della “doppiezza” aveva fatto una delle sue categorie principali, amarono proprio questo non essere mai “doppio” del vecchio presidente socialista.
Egli riuscì a trasmettere un’idea della politica intesa come impegno serio verso la libertà e la giustizia sociale. Condannò sempre i suoi colleghi che nell’esercizio delle loro cariche pubbliche utilizzavano il potere per fini personali; era solito ricordare come il Parlamento dovesse essere «una casa di cristallo» e che la classe politica doveva essere in primo luogo intransigente verso se stessa.
Quando morì, nonostante fosse stato un protagonista della vita del Paese, preferì uscire di scena senza celebrazioni o maestosi funerali di Stato. Chiese una cerimonia privata e di essere cremato, come un qualsiasi cittadino. A dimostrazione che i grandi uomini sono semplici anche nella morte.

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