Sud, green economy e un piano del lavoro per uscire dal guado

29 Agosto 2010
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Piero Bevilacqua - L’Unità 21.7.2010

Un’idea diversa per affrontare oggi la questione del Mezzogiorno, in un’intervista dello storico dell’ambiente. Lo storico meridionalista: i miliardi calati dall’alto sarebbero facile preda della mafia. Sì a tante attività nel territorio, dall’agricoltura al turismo.

Ci vuole un piano del lavoro di nuovo tipo per il Sud, non l’ennesima erogazione di miliardi per le infrastrutture calati dall’alto, facile preda di mafia e clientele». Commenta così Piero Bevilacqua, calabrese, 65 anni, storico contemporaneo a Roma l’ultimo Rapporto Svimez per il Mezzogiorno. Un report la cui drammaticità lo studioso non sottovaluta affatto, a partire dall’allarmante decrescita del Pil, dalla disoccupazione e dal rischio povertà. E però le idee di Bevilacqua meridionalista di sinistra e teorico della green economy sono altre: ambiente, agroalimentare «green», risanamento dei centri interni, forestazione. Con in più una rete di centri universitari di tipo francese mirati su «scienze umane» e territorio. E poi attorno, a venire, le infrastrutture. Ma soprattutto, «niente riedizioni della Cassa per il Mezzogiorno e niente retorica tremontiana sulla Banca per il Sud». Tutte proposte che vedranno la luce in gennaio in un libro per Laterza intitolato La grande distruzione e con un capitolo ad hoc: «Un piano del lavoro per la gioventù».

Sentiamo Bevilacqua. Professore, per Svimez il Sud va sempre più indietro e da 8 anni cresce meno del Nord. Da dove viene la recessione a Mezzogiorno?
«Sono dati che non mi sorprendono, indici di un degrado che si vede già da alcuni anni. Il flusso emigratorio è cresciuto, anche se i giovani vogliono rimanere, magari da disoccupati di lunga durata, in attesa di lavoro. Però vorrei segnalare che la questione è globale. Il Sud vive nell’economia-mondo, e sconta la crisi mondiale».

Colpa del capitalismo globale?
«Ovvio. La tendenza di fondo è il risparmio di lavoro per incrementare la produzione: è crescita senza lavoro. Anche prima della crisi, negli Usa cuore del capitalismo il tema dell’occupazione era decisivo, mascherato dal fatto che lì chi lavora una settimana è considerato occupato! E anche lì la gente di colore non cerca lavoro. Nel Sud italiano la deindustrializzazione ha fatto il suo corso: da Taranto, a Priolo, Siracusa e Bagnoli. E il tutto senza lasciare alcuna disseminazione di piccole imprese, come invece al Nord».

Sì, ma ormai la recessione al Sud genera una catastrofe civile, la caduta di ogni standard…
«Verissimo, ma il punto decisivo è dare ai giovani un reddito, legato a molte cose. A un vero piano del lavoro, connesso al territorio, all’agricoltura, alla green economy, alla forestazione, al recupero dei centri urbani e delle aree interne abbandonate. Si può cominciare con misure tampone, per affrancare i giovani dalle famiglie, far circolare un po’ di denaro, e alimentare così la domanda».

Non la convince l’idea Svimez di un piano infrastrutturale di 38 miliardi di euro?
«Assolutamente no, è il solito vizio illuministico dei piani calati dall’alto in chiave miracolistica. E con le infrastrutture a fare il miracolo».

D’accordo, ma allora quale deve essere il volano per la nuova economia meridionale?
«Il volano, i volani, devono essere diversi e graduali. L’economia non si inventa, viene da lontano, dalla storia, dalle radici e dal saper fare». Che economia immagina al Sud? «Tante economie del territorio: allevamento, prodotti agricoli di qualità, turismo di qualità, palazzi storici da recuperare, anche alla ricerca e allo studio. Il punto resta la qualità, ovunque. Si può creare un’agricoltura altra, e non solo industriale. E poi le piccole opere, le città, i borghi…»

Ci vogliono soldi da distribuire. Come non sprecarli ancora?
«Si possono immaginare tante cose innovative. Ad esempio una consulta di studiosi, manager, scienziati dell’ambiente, storici e meridionalisti, che possa monitorare gli interventi, dentro un progetto coordinato. Penso a un’alleanza tra cultura, politica e legalità sul territorio. Ma innanzitutto va combattuta tutta la cultura liberista di questi anni, che ha finito con il potenziare il cinismo della libera iniziativa illegale e mafiosa, vero modello distruttivo per i giovani».

Esperienze da seguire a riguardo?
«Sì il centro-nord, con la sua cultura del territorio, le sue tradizioni. La sua cultura civica, che è il vero involucro dell’economia. La quale non nasce mai dal nulla. Eccolo il modello da cui far ripartire una rinascita del Mezzogiorno. È alle regioni appenniniche che dobbiamo guardare. E poi, me lo lasci dire, Gramsci ha fatto nascere gran parte della sua riflessione culturale dal Sud e dall’intreccio di Sud, nord ed economia-mondo di allora. Questi, e intendo la sinistra, sembra abbiano dimenticato davvero tutto…».

Domanda tutta politica: che giudizio dà dell’«anomalia Vendola», in Puglia e magari più in grande?
«Buon giudizio. Guardo a Vendola con speranza e simpatia. Gli ho anche mandato il mio libro. Ha bisogno di crescere, di calcio minerale per fortificarsi e forse di visione strategica un po’ più ampia…»

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