Monti sanziona gerarchie sociali, sacrifici e privilegi

30 Dicembre 2011
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Amsicora

Chi si aspettava dalla Conferenza stampa di Monti l’indicazione delle misure per la crescita è rimasto deluso. Il Premier ha parlato di tanti argomenti di fronte ad una folta schiera di giornalisti italiani e stranieri, ma in termini più che generali, generici. Di misure specifiche sul fronte della crescita neanche l’ombra. Non vengono elencate nè specificate: Monti fa una disamina solo generale degli interventi che il suo Esecutivo vorrà prendere. Manca poi un’idea generale di fuoriuscita dalla crisi.
Né tranquillizzano le notizie filtrate dal Consiglio dei Ministri di avantieri. Durante la riunione Monti ha illustrato i punti salienti del programma di lavoro per le prossime riunioni del Consiglio dei ministri. Tra i punti principali della “Fase 2″ vi è soprattutto la legge sulla concorrenza che dovrebbe essere varata entro il prossimo mese per consentire liberalizzazioni in diversi settori: antitrust, energia, assicurazioni, lavori pubblici, trasporti, servizi postali e professioni.
Un altro punto cruciale del programma di lavoro del Governo Monti è la riforma della giustizia civile per ridurre drasticamente i tempi dei processi civili. Per quanto riguarda il capitolo infrastrutture, è prioritario non perdere i finanziamenti per circa 7-8 miliardi di tutte quelle opere che hanno avuto un primo stanziamento nel 2008 ma che non sono state ancora avviate: la linea 6 di Napoli, parte della linea 4 di Torino, la galleria ferroviaria del Brennero, la linea M4 della metropolitana di Milano, il metrò di Bologna e alcune bretelle autostradali. I ministri Passera e Barca stanno lavorando per il rilancio della banda larga nel Meridione, dove le infrastrutture per la connessione veloce a internet sono piuttosto carenti.
Il Governo Monti poi non desiste dall’idea di un’incursione sullo Statuto dei lavoratori. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, vuole giocarsi la partita proponendo nuovi ammortizzatori sociali e il contratto unico di inserimento. Sembra voler far propria l’impostazione di Ichino, di cui abbiamo parlato criticamente ieri.
Che dire in sintesi? La fase 2 non è deludente tanto per la mancanza dell’indicazione di precise misure, ma per l’assenza di un’idea generale, che in realtà, però, non vuol dire mancanza di un filo che lega le varie misure. Ci spieghiamo: tutte le grandi crisi hanno modificato gli assetti sociali precedenti, determinando nuove gerarchie e valori. La crisi del ‘29 in Europa portò all’espansione del nazifascismo, ossia ad una svolta autoritaria, ma negli USA ebbe segno opposto. Roosvelt fondò il New Deal sull’estensione della base democratica, sulla ripresa dell’occupazione, sul rilancio dei consumi, sulla modernizzazione del paese e su un rapporto privilegiato coi sindacati ; e per questo ebbe un duro scontro col grande capitale finanziario e il sistema bancario. E’ seguito un assetto che, con alti e bassi, è durato circa mezzo secolo, ed ha visto lo sviluppo della democrazia, la crescita del Welfare, del ceto medio e dei lavoratori. Un compromesso discutibile, ma accettabile fra capitale e lavoro.
In Italia un altro momento di crisi e trasformazione è stato il secondo dopo guerra. Anche lì ci fu un grande compromesso il “Patto di Salerno” proposto da Togliatti, che tante discussioni suscitò al tempo e dopo. Ma qui Togliatti aveva ben chiara la strategia, obiettivi generali e misure particolari: unità delle forze di liberazione, organizzazione anche dal governo della lotta al nazi-fascismo per ridare dignità internazionale all’Italia e ritagliarle un posto fra le forze vittoriose, eliminazione della monarchia, assemblea costituente, Costituzione e democrazia progressiva. Sul piano sociale uno spostamento degli equilibri a favore dei ceti popolari, l’ammissione di questi alla partecipazione democratica. In questo contesto dare al PCI, che era stata la maggiore forza di opposizione al fascismo nella clandestinità, un posto fra le forze di governo dell’Italia liberata. Si può discutere quanto si vuole, ma chi può negare che la crescita democratica del Paese nei decenni successivi, pur fra dure lotte, non è spiegabile senza quella scelta responsabile e lungimirante di Togliatti? Anche qui si è creato, con una forte mobilitazione popolare, un riequilibrio fra capitale e lavoro.
Tornando all’oggi, niente di tutto questo si vede nella grande coalizione intorno a Monti. Non c’è l’idea di uscire in avanti, con un riequilibrio in favore dei ceti popolari, duramente impoveriti nell’ultimo decennio. Anzi, su di essi si abbatte la scure dei tagli diretti e indiretti. Il risultato generale sembra la sanzione delle dure gerarchie sociali imposte dal neoliberismo negli utimi decenni. E l’attacco insistito all’art. 18, anziché la sua estensione a tutti, ne è la cartina di tornasole.  Il problema dell’occupazione, poi, non si risolve col pannicello caldo - per quanto utile - della ripresa di alcune grandi opere o con le liberalizzazioni. Queste possono essere utili se eliminano alcune anacronistiche corporazioni (es. il regime delle farmacie), ma peggiorano la situazione se si estende alla svendita dei beni pubblici o all’eliminazione dei servizi sociali. Ma questa sembra la direzione intrapresa.
Ci attendono anni bui, perché non si intravede un riequilibrio fra capitale e lavoro, ci sono anzi segnali di crescita delle intollerabili diseguaglianze. E’ visibile lo sfaldamento della coesione sociale e questa, in assenza di partiti capaci di organizzare la protesta popolare,  apre la strada ad avventure populistiche o addirittura a nuove jacqueries di segno reazionario. E Monti non sembra in grado di dare un diverso indirizzo, anche perché egli è l’espressione non di energie vitali, gli attuali partiti, ma della loro morte certificata proprio dall’abdicazione in favore più che dei tecnici dei grandi poteri finanziari e bancari alla cui voracità si deve l’attuale crisi.


 

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