Europa a rischio e colpe dei mercati finanziari

25 Maggio 2012
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

Secondo Jürgen Habermas (Reset, Gennaio-Febbraio 2012), il processo di integrazione europea è avvenuto a due livelli distinti: a livello dei singoli Stati ed a livello dei cittadini. L’integrazione degli Stati è avvenuta in funzione della ripartizione delle competenze e del potere tra le istituzioni dell’Unione da una parte e i singoli Stati dall’altra. L’integrazione dei cittadini, invece, che sarebbe dovuta avvenire in funzione del controllo democratico dell’esercizio di questo potere, non è mai stata portata a compimento. In conseguenza di ciò, l’integrazione degli Stati è stata realizzata senza una corrispondente integrazione politica dei cittadini. E il deficit di democrazia seguito a questo stato di cose è stato “supplito” dalla tecnocrazia.
Il carattere tecnocratico, secondo Habermas, ha caratterizzato ab origine l’integrazione degli Stati europei, nel senso che l’unificazione è stata voluta dai governi e non dai singoli popoli. E sebbene a partire dal 1979 si sia formato un Parlamento europeo dotato di un potere legislativo, l’integrazione politica dei cittadini è avvenuta più in termini nominali che sostanziali, per cui, non diversamente dalle istituzioni preesistenti, Commissione e Consiglio, anche il Parlamento ha operato su un piano prevalentemente tecnico. Ma ora, a seguito dello “scoppio” della crisi economica provocata dai mercati finanziari, gran parte dei cittadini dei singoli Stati si chiedono se si ancora procrastinabile la rimozione del deficit di democrazia che affligge l’Unione. Habermas sostiene che la rimozione può essere solo il risultato di una discussione democratica che affronti il “futuro comune” dell’Unione, sulla base di decisioni politiche tali da prevalere su quelle dei mercati finanziari. Al riguardo, però, per il filosofo tedesco, ciò che mancherebbe sarebbero adeguate “sfere pubbliche” (mass-media e opinioni pubbliche nazionali) in grado di “produrre dibattiti e volontà collettive sui temi europei”; in particolare, ciò accadrebbe perché nelle redazioni dei mass-media vigerebbe ancora una visione dell’Europa statal-nazionale.
In realtà, questa forma di visione non è propria solo delle redazioni del mass-media, in quanto pervade anche la cultura politica della maggioranza dei cittadini dei singoli Stati. La cultura politica prevalente, infatti, non ha ancora superato il paradigma organizzativo dello Stato-nazione, per cui non ha ancora interiorizzato l’ipotesi organizzativa federale dell’Unione. Lo Stato-nazione “europeizzato” all’interno dell’”involucro istituzionale” dello Stato federale consentirebbe infatti di superare l’idea della irrinunciabilità della “fusione perfetta”, tanto “cara” allo Stato-nazione, tra organizzazione statuale e nazione. Lo Stato federale è, per definizione, irriducibile all’omogeneità, dato che il suo connotato costitutivo si identifica nella diversità piuttosto che nell’omogeneità.
Lo Stato federale, derivato dalla transnazionalizzazione degli Stati nazionali, se implica la “rottura” della continuità del paradigma organizzativo dello Stato-nazione, si fonda però sull’adozione di un’organizzazione dell’azione politica caratterizzata da una combinazione di autogoverno (potere residuo degli Stati federati) e di governo condiviso a livello federale per le funzioni delegate. In tal modo, con la costruzione di un’unica organizzazione statuale di tipo federale, tutti gli Stati federati riconoscerebbero la loro reciproca interdipendenza (in alternativa all’autosufficienza), la propria eterogeneità (in alternativa alla perfetta coincidenza tra organizzazione statuale e nazione) e la multicentricità dell’esercizio del potere decisionale (in alternativa alla unicità del centro decisionale).
E’ questa un’opzione organizzativa dell’azione politica a livello europeo che ancora non ha trovato una univoca prospettiva di dibattito e di negoziazione; sta accadendo così, come è stato osservato, che, a differenza del corpo umano, il quale, per sua natura, durante il suo sviluppo, conserva l’equilibrio tra le sue singole parti, facendo risultare anomala, ad esempio, la crescita di un braccio diversa rispetto alla crescita dell’altro, lo sviluppo armonico dell’Unione Europea risulti invece anomala in quanto le sue componenti istituzionali hanno proceduto disgiuntamente dalle sue componenti politiche.
Questa anomalia è valsa sinora solo a favorire lo svolgersi di un processo di integrazione “mostruoso”, nel senso che per realizzarsi ha avuto bisogno di ricorrere a “stampelle” tecnocratiche; mentre l’integrazione politica, nei limiti in cui, più formalmente che materialmente, ha proceduto ha avuto bisogno di ricorrere a procedure che hanno implicato il conferimento del potere decisionale ad organi con scarsa o nulla rappresentatitività politica. Il perdurare di tale stato di cose, lungi dal favorire anche l’approfondimento del processo di integrazione delle economie nazionali, sta determinando solo lo scadimento della stessa idea d’Europa dei Padri fondatori, con tutti i pericoli che esso evoca e produce.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento