Altri 17 sardi impugnano la legge truffa regionale

12 Aprile 2014
2 Commenti


Alberto Rilla 

Cresce l’opposizione giudiziaria alla legge truffa elettorale. Altri 17 elettori sardi hanno impugnato la legge elettorale truffa, invocando il rispetto della Costituzione e dello Statuto sardo. Uno è stato presentato da Franco Branca dell’ass. Casa Sardegna, degli altri 16 ci parla Alberto Rilla in questo intervento. Prima dell’udienza fissata per il 2 luglio, si prevede un intervento nel processo di un gruppo di donne per sostenere la censura d’illegittimità costituzionale della legge elettorale nella parte in cui ha consentito la vergogna delle elezione di sole 4 donne su 60 componenti del Consiglio.

Siamo almeno 42 perché giovedì mattina alle 11:30 è stato depositato un altro ricorso sottoscritto da 16 elettori, tra cui chi scrive, che punta a mandare questa legge-porcata davanti alla Corte Costituzionale.
Puntiamo soprattutto sullo sbarramento di coalizione del 10% che, oltre ad essere al di fuori da ogni ragionevole rapporto tra stabilità e governabilità (principi che devono bilanciarsi in base all’art. 15 dello Statuto speciale per la Sardegna) ad ogni livello, di legislazione regionale (nessuno sbarramento nelle altre Regioni, anche dove è previsto di coalizione come nelle Marche, supera il 5 per cento), nazionale ed europeo, dato che le soglie di sbarramento “pesanti” come quelle della Russia e soprattutto della Turchia, giustificabili solo in riferimento alla particolare situazione di un Paese, non sono conciliabili, secondo il Consiglio d’Europa e la CEDU, con una “democrazia ben stabilita”.
La legge-porcata licenziata dal Consiglio regionale sul finire della scorsa legislatura, attraverso l’imposizione di questa soglia di sbarramento pesantissima a pochi mesi dalle elezioni (contravvenendo al Codice di corretta condotta elettorale del Consiglio d’Europa) ed emergendo chiaramente, dai lavori preparatori e dal contesto politico, la sua funzionalità a mantenere ferma la posizione di forza dei due partiti principali, ha realizzato, per fortuna senza manganelli, una pressione psicologica sull’elettorato paragonabile a quello della tristemente nota Legge Acerbo.
Quando fu ideato e approvato a maggioranza il Porcellum, almeno Berlusconi lo fece per ridurre gli effetti di una sconfitta elettorale che allora si prevedeva pesante per il centrodestra, similmente a quanto fece Mitterrand in Francia introducendo provvisoriamente nel 1986 il proporzionale in luogo del tradizionale uninominale a doppio turno; questa norma-porcata è invece parente stretta proprio dei meccanismi della Legge Acerbo, oltre che della Legge Truffa, che nel 1953 mirava a consolidare in seggi una maggioranza centrista declinante in voti e che fu neutralizzata da un elettorato allora ancora sotto la spinta viva e immediata degli ideali della Resistenza e lontano dall’astensionismo di massa di oggi.
Le forze politiche minori sono state spinte, sotto la minaccia legalizzata di rischiare di restare fuori dal Consiglio Regionale, a restare aggregate qualunque cosa succedesse al carro di uno dei partiti maggiori (emblematici i casi di Gavino Sale e di Arbau che era contrarissimo a queste soglie di sbarramento), e chi ha avuto il coraggio di tentare di costruire qualcosa di diverso al di fuori degli schieramenti principali è stato posto in condizioni di partenza diseguali nell’ambito di un contesto politico consolidato e difficilmente modificabile.
Un ricatto legalizzato che si è ripercosso sugli elettori, i quali infatti in massa hanno disertato le urne, e nella parte in cui hanno votato sono stati indotti a dare un consenso puramente utilitaristico in contrasto col carattere necessariamente libero e genuino del voto imposto dall’art. 48 della Costituzione.
Secondo noi si tratta di una pesante turbativa alla stessa libertà di voto, perché un meccanismo elettorale formalmente generale ed astratto è stato piegato ad esigenze concrete dei blocchi dominanti, e gli elettori hanno votato sotto il ricatto legalizzato per cui un voto “diverso” da quello che facesse comodo a PD e PDL rischiava, come è avvenuto, di non ritradursi in alcuna rappresentanza.
Per questo le elezioni regionali dovrebbero essere annullate, perché senza il decisivo e illegittimo contributo fornito dalle minacce legalizzate derivanti dalle soglie di sbarramento, non è scontato che i risultati, soprattutto in punto di elezione del Presidente della Regione, sarebbero stati gli stessi, dato che forze politiche che hanno rappresentato un terzo della coalizione di Pigliaru in termini di voti avrebbero rischiato di restare fuori dal Consiglio Regionale qualora si fossero presentate da sole, mentre, di contro, mini-partiti che hanno ottenuto percentuali addirittura inferiori all’1 per cento, avendo ceduto al “ricatto”, hanno ottenuto una rappresentanza, in spregio al principio di eguaglianza (unidos, col 2,8 per cento, e ProgReS, col 2,7 per cento, sono fuori), conseguendosi però effetti di frammentazione estrema del Consiglio Regionale e di carattere puramente elettoralistico delle coalizioni che già si stanno manifestando in questo inizio di legislatura ad andamento lento.
Una legge porcata oltre che liberticida, quindi assolutamente contraddittoria rispetto agli effetti che avrebbe dovuto conseguire, che determina una sorta di mercificazione del voto, piegato quasi a diventare un “televoto” in un “talent-show”, in spregio alla necessaria chiarezza e trasparenza dei messaggi politici, valorizzata non solo dalla Costituzione ma anche dalla CEDU.
Il Costituente era fortemente preoccupato dal fenomeno dell’astensionismo, che è stato provatamente incentivato da questa legge-porcata e che ha determinato l’esito per cui la Regione Sardegna è governata da un Presidente e da una maggioranza delegittimati sul nascere, sostenuti da appena il 20 per cento degli elettori.
Spingere gli elettori all’astensionismo, e per giunta farlo attraverso meccanismi di legge, equivale, quando le forzature sulla volontà degli elettori si spingono a tali estremi, all’attuazione di una discriminazione dei cittadini sulla base delle opinioni politiche, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, e tra l’altro, se l’astensionismo è irrilevante quanto alla validità ed efficacia delle disposizioni elettorali, esso determina un effetto deleterio quanto al mantenimento delle basi di legittimazione della democrazia rappresentativa.
Se si vuole conservare nell’ambito regionale, che comunque non sfugge alle regole costituzionali, lo spirito democratico e rappresentativo della nostra Costituzione, non c’è alternativa alla rimozione delle norme di questa legge-porcata che, oltre ad escludere in modo irragionevole dal Consiglio regionale correnti di pensiero rappresentative, all’atto pratico ha consentito ai blocchi politici maggiori di conservare l’esclusiva della rappresentanza popolare con l’inganno e col ricatto legalizzato.
Che il Tar e la Corte Costituzionale la mandino buona a chiunque ha deciso di non piegare la testa rispetto a questa pagina vergognosa per la democrazia in Sardegna.

2 commenti

  • 1 Alberto Rilla
    12 Aprile 2014 - 19:36

    Grazie per la gentile ospitalità e l’attenzione. Segnalo che per quanto riguarda il nostro ricorso il TAR ha fissato l’udienza al 18 giugno 2014. Nella stessa data se ne discute un altro proposto dall’ex consigliere regionale Stochino che mi risulta verta sul problema della rappresentanza territoriale.

  • 2 Isidoro Aiello
    13 Aprile 2014 - 07:24

    La democrazia in Sardegna come in Italia non ci sarà finche resteranno al potere i signori che impersonano la Casta, padroni in Italia, servi della tirannide finanziaria internazionale. Coloro che hanno votato questa legge elettorale antidemocratica sono sardi, sordidi personaggi di cui il nostro popolo deve liberarsi se vogliamo riconquistare la dignità di popolo ed una reale libertà ed autonomia.

Lascia un commento