Anziché manomettere la Carta, riformate voi stessi

27 Febbraio 2015
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Gianna Lai

‘Anzichè riformare la Costituzione, dovete, prima di tutto, riformare voi stessi’, questo il monito di Luigi Ferrajoli, illustre filosofo del diritto, nel suo intervento al Convegno “La Costituzione tra passato e presente”, organizzato da Anpi e Dipartimento Storia Università di Cagliari. La sua relazione dal titolo “Modifiche costituzionali e crisi della democrazia”, è un contributo importante alla battaglia contro la manomissione della nostra Costituzione. Ecco una sintesi ad opera di Gianna Lai.

Un “mai più” contro gli orrori del fascismo e della guerra, la Costituzione del 1947 cambia la natura dello Stato e dell’ordinamento giuridico, perchè restaura la democrazia politica e la mette al riparo da possibili colpi di mano. La nostra Carta viene sopraordinata a tutte le altre fonti e delegittima le norme in contrasto, imponendo l’attuazione dei principi costituzionali stabiliti. In Italia e in Germania all’ingresso delle masse nello Stato, la formazione cioè dei grandi partiti politici, le destre reagirono col fascismo e col nazismo, che in forme legali distruggono la democrazia e conquistano il potere, Mussolini modificando prima di tutto, e non a caso, la legge elettorale, e poi sopprimendo il pluralismo dei partiti e le libertà fondamentali. La grande invenzione della Costituzione italiana ha un solo precedente nella Costituzione austriaca del 1920 elaborata da Kelsen, ed è la rigidità, quel mai più al fascismo in forza del quale la legge non può derogare alla Costituzione. Nessuna fonte, nessun potere costituito è un potere assoluto, pur legittimato dalla maggioranza popolare, nessuna maggioranza può decidere la soppressione delle libertà fondamentali, o non decidere a garanzia dei diritti sociali. Perchè la Corte Costituzionale interviene sulla sfera illegittima della politica, sulla violazione della Costituzione ad opera del potere legislativo, cessando di esistere nella democrazia costituzionale poteri assoluti ed essendo la sovranità ridefinita: essa appartiene al popolo, alla somma cioè di quei frammenti di sovranità che sono i diritti fondamentali di tutti noi. I diritti di libertà, che richiedono un passo indietro dello Stato, quelli sociali che richiedono allo Stato passi avanti.
L’altra grande novità della Costituzione è che  l’identità della Repubblica si fonda sul lavoro e sulla garanzia dei diritti  sociali all’ istruzione, alla sanità, ad una vita degna. Clausole del patto di convivenza, perchè sopravvivere nella società moderna, in cui la disoccupazione è ormai fenomeno strutturale, dipende precisamente dall’integrazione sociale di ciascuno. Certo i diritti sociali costano, ma costa di più un loro mancato riconoscimento, se i nostri paesi sono più ricchi di altri che non garantiscono lo stato sociale. Tanto è vero che le leggi di attuazione su sanità, scuola, carceri, Statuto dei lavoratori, imposte in parallelo con la crescita democratica del paese dalle lotte sociali nei primi trent’anni della Repubblica, hanno visto una crescita del Pil, la più alta di tutta Europa. E se oggi l’Italia si impoverisce è proprio perchè i diritti vengono limitati, in gran parte travolti. La garanzia dei diritti sociali, che oltre ad essere fine a se stessa, diviene  fattore primario di sviluppo economico, è una banale acquisizione, oggi capovolta dalla ideologia dominante del liberismo globale, i diritti costano e vanno ristretti e limitati, per la maggior gloria degli speculatori finanziari. Ma se  la Costituzione ha  rappresentato una rivoluzione nella struttura delle nostre democrazie,  la legittimazione del potere politico è frutto sia della rappresentanza, sia  del rispetto e attuazione del progetto costituzionale, che contiene un vero programma politico. Ed il capovolgimento cui assistiamo, l’economia che oggi governa la politica, è regressione verso un processo decostituente, di decostituzionalizzazione del sistema politico, proprio attraverso la rimozione degli orizzonti della politica, dei limiti e dei vincoli costituzionali. Attraverso la distruzione  del sistema del diritto del lavoro,  attraverso i tagli alla spesa pubblica e la riduzione dello stato sociale. La nostra Costituzione si fonda  sulla trasformazione del lavoro in un valore, un insieme di diritti garantiti che oggi viene distrutto da  precarietà e  flessibilità. La mancanza di garanzie è regola e si dissolve così l’uguaglianza dei lavoratori, su cui si basa la soggettività politica del movimento operaio, la solidarità cioè  tra uguali.  Tanti tipi di lavoro creano  competizione, servilismo e trasformano il lavoro in merce. Una politica che rimuove la Costituzione e che  fa venir meno lo spirito civico e il senso comune di appartenenza, provocando disgregazione sociale e aggressività diffusa. E aumento delle diseguaglianze e povertà e accumulo di ricchezze in poche mani.  Insufficienti i sistemi di garanzie, la Corte stessa non può impedire questa deriva,  sarebbe oggi possibile introdurre innovazioni secondo l’esperienza  del Brasile, ad esempio, che garantisce i diritti sociali con i ‘vincoli di bilancio’ in Costituzione, all’opposto del nostro art 81, che impone il pareggio. In Brasile il 25% è destinato a istruzione e salute,  i partiti competono per destinarvi anche di più, e c’è un Pubblico ministero presso la Corte costituzionale, con  funzioni penali e di garanzia, che impone  le prestazioni alla pubblica amministrazione. E che solleva subito l’ eccezione di costituzionalità, mentre da noi  una legge elettorale in contrasto con la Costituzione resta in vigore 10 anni prima di essere portata di fronte alla Corte, essendo possibile sollevarla solo durante il giudizio. Già nei tentativi della destra, bocciati dal referendum  del 2006, la Costituzione viene piegata, in nome della governabilità, a ristabilire l’onnipotenza della maggioranza e di una politica subordinata alla finanza. Oggi si discute una legge elettorale che assomiglia al porcellum, già dichiarata incostituzionale dalla Corte, e che rafforza il premier e il governo, contro il disegno democratico della Costituzione. E neutralizza il ruolo di controllo del Parlamento attraverso un altissimo premio di maggioranza e un’altissima soglia di sbarramento per le liste minori. Secondo le regole del sistema bipartitico, in cui le forze tendono a convergere al centro, ad assomigliarsi nei programmi, per contendersi l’elettorato cosidetto di centro, il più disinformato e più sensibile alla propaganda. Mentre il sistema proporzionale rappresenta  il più possibile in Parlamento le diverse  forze, espressione di interessi sociali e di idee politiche diverse. Così, a causa della  crisi dei partiti, ci avviamo verso  un sistema di rappresentanza totalmente determinato dalla loro burocrazia e da un  leader col quale  essi tendono ormai a identificarsi. Un Parlamento propaggine del governo, senza funzione alcuna di controllo, una democrazia parlamentare piegata al dominio del capo. Grave e inaccettabile che la modifica della Costituzione sul Senato sia di iniziativa governativa, addirittura sollecitata dal presidente della Repubblica, con totale distorsione dei rapporti tra i poteri, non corrispondendo minimamente alla volontà di questo Parlamento,  delegittimato peraltro dalla Corte.
La vera questione costituzionale è oggi la crisi dei partiti, perchè una democrazia fondata sul suffragio universale non può esistere senza i partiti. Il Pd ha perso i 4/5 degli iscritti, mentre solo il 37% degli elettori ha votato in Emilia Romagna. Una fuga dalla politica che si manifesta col declino sociale e col successo dei populismi di destra,  il partito azienda, il partito marchio, il popolo come entità indifferenziata e alienato nel suo capo, Bossi, Salvini, Renzi, Grillo. Perchè la vera democrazia è un sistema senza capi. Oggi il vero problema è la rifondazione dei partiti, un tempo espressione delle lotte popolari, secondo il principio del disinteresse personale e dell’assunzione con passione dell’interesse pubblico. Secondo l’art. 49 della Costituzione, organi della società che promuovono  la partecipazione popolare con metodo democratico alla vita pubblica, secondo un’autonomia statutaria che si fonda sul radicamento sociale. Questa autonomia viene oggi utilizzata dai partiti per trasformarsi in apparati statali, dove vien meno la selezione del gruppo dirigente, oligarchie  esposte a ogni genere di infiltrazioni mafiose, indipendentemente dalla volontà dei dirigenti stessi. Credo che oggi la questione costituzionale debba consistere nella imposizione ai partiti di statuti democratici, contro i partiti personali e i partiti azienda. Uno statuto vincolante, con regole come le  abbiamo in Costituzione, i  valori nella Prima parte, e poi le regole che tutelino le minoranze, che vincolino a organizzazioni territoriali, al primato e alla sovranità degli iscritti, allo svolgimento dei Congressi e del dibattito,  per evitare degenerazioni così fortemente  manifeste nel venir meno della selezione dei gruppi dirigenti. E, la più difficile da far passare , una norma contro l’interesse personale, che garantisca la separazione tra i poteri, quella inventata da Loche e Montesquieu, per rendere incompatibili le cariche di partito con quelle istituzionali. Il Segretario che diventi Presidente del Consiglio, lascia il posto ad un altro Segretario, perchè il partito deve avere l’autorità di far programmi e candidature e di chiamare a rispondere lo stesso Presidente e i parlamentari. Soltanto ristabilendo questa alterità si rifonda la rappresentanza, resa oggi impossibile dall’identificazione dei partiti con il sistema istituzionale, per cui Renzi, Berlusconi, hanno il potere di nominare e cooptare i loro fedeli, allontanando i più dalla politica e gettandovi discredito. Se è tanto difficile condurre dall’interno dei partiti una battaglia così di contrasto agli interessi personali dei dirigenti, si deve tuttavia tener presente quanto grave sia oggi lo svuotamento e la distruzione della democrazia rappresentativa causati dalla crisi. E quanto importante la necessità di  ritrovare il senso della politica con  partiti che  promuovano forte aggregazione, e che rimarchino la loro autonomia dallo Stato. Sarebbe come ritrovare la passione per la politica, perchè viviamo nel paradosso: abbiamo garantiti i diritti sociali, civili, di libertà, ma non i diritti politici. Ecco perchè la vera questione Costituzionale  è la legge elettorale e la rifondazione dei partiti. Un concetto che ho ribadito durante l’audizione in Parlamento ai deputati, che sempre rifiutano il confronto con la cultura giuridica sulle leggi presentate: ‘Anzichè riformare la Costituzione dovete, prima di tutto, riformare voi stessi‘.

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