Da S. Gavino Simone: vi spiego la “democrazia” nei paesi

31 Maggio 2015
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Simone Angei 

Non v’è cosa peggiore di quanto sta succedendo nei nostri comuni dal ‘93 in poi: quella pretesa, che oggi è diventata legge nazionale, secondo la quale “chi vince piglia tutto”, è la morte non solo della democrazia ma della stessa partecipazione e capacità delle comunità locali di essere adeguatamente amministrate e rappresentate.
Nel mio comune, S. Gavino Monreale, per anni, siamo riusciti a tenere salda una comunità politica, fatta di giovani, capace di operare dentro e fuori i pochi spazi consentiti dal Consiglio Comunale, lavorando a stretto contatto con le famiglie, promuovendo per anni servizi come il mercatino del libro usato per sostenere gli studenti più svantaggiati, muovendoci per costruire una proposta alternativa e partecipata di gestione della cosa pubblica.
Per anni, un gruppo di giovani, abbiamo combattuto per poter presentare, nel maggio 2014, una lista il più possibile unitaria di proposta e rinnovamento per il comune.
E sapete cosa è successo? Che, 24 ore prima del deposito delle liste elettorali, un ristretto gruppo di “professionisti della politica” o semplici amanti della popolarità, di fronte al nostro rifiuto di presentare candidature legate a pessime esperienze passate, scelsero, “democraticamente”, di uscire dai partiti di appartenenza e presentare una loro arraffazzonata lista. E, come si può immaginare, ben poco può una lista di studenti universitari, lavoratori, intelligenze varie, pur costruita su solide basi politiche, legate ai partiti del centro-sinistra, contro le numerose conoscenze e influenze personali che può vantare un primario, un ingegnere ecc ecc.
E così, perdemmo le elezioni. Poco male, si direbbe, è la democrazia! Giustissimo, se non fosse che quella democrazia sia completamente falsata da un meccanismo che consente alla lista vincente di piazzare tra gli scranni del Consiglio Comunale 11 dei 16 Consiglieri totali, alcuni dei quali eletti con una manciata di voti (una ventina), lasciando fuori candidati sicuramente rappresentativi di una comunità e una proposta politica (duecento voti di preferenza).
Di fatto, è sufficiente che pochi candidati, tre o quattro su sedici, abbiano la capacità di trainare una lista, di modo da assicurare a se stessi non solo la vittoria sulle altre concorrenti, ma conseguentemente la stessa possibilità di gestire un consiglio comunale e una maggioranza fatta di figuranti asserviti, pescati non per le loro capacità né per un eventuale peso elettorale ma esclusivamente per chiudere le liste, funzionali solo a un ristretto gruppo di potere, che ne dispone senza grossi problemi, ordinandone l’alzata di mano quando necessario.
E la minoranza? Altro capitolo…aldilà degli scarsi poteri che oggi l’ordinamento le assegna, la frammentazione eccessiva porta alla presenza nei consigli dei “candidati sindaco” non eletti che, il più delle volte, difficilmente riescono a concordare una strategia comune tra loro e molto spesso finiscono per risultare completamente impotenti.
Nei fatti, quel gruppo che a S. Gavino riuscì a costruire e trainare per anni un progetto politico per una comunità, oggi è in una fase di stallo pesantissima, non avendo la possibilità economica di tenere una sede , costretto a riunirsi quasi clandestinamente di casa in casa come i vecchi carbonari.
Il caso di Atzara (lista unica) è uno sbocco che al momento si presenta quasi inevitabile per le tante comunità che hanno visto spezzarsi le possibilità di ripartire e che hanno rifiutato, in virtù di un voto mai ponderato, la possibilità di costruire realmente un’alternativa.
Di fronte a questi esiti devastanti sorge spontaneo un quesito: la nostra riconosciuta potestà esclusiva regionale in materia di enti locali, come mai ci  spingerci a seguire i modelli che “il continente” ci impone? Non siamo davvero capaci di ripensare un sistema di rappresentanza che riconsegni ai piccoli e grandi comuni la capacità di saper creare aggregazione, animosità politica, confronto? Che, altro non è se non crescita culturale e recupero dei cittadini a un senso civico oggi perduto e fatto solo di insulti sui social media.
Capisco che sarebbe chiedere troppo ad una giunta regionale che ancora non è stata all’altezza di proporre una seria riforma delle province e continua a mantenerle commissariate, negando così, ancora una volta, la democrazia espressa in quei mandati elettorali.
 

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