Il mio amico pescatore sulcitano… alla fame

24 Luglio 2015
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Andrea Pubusa

Al mare reincontro Peppino, il mio amico pescatore, sempre alle prese con problemi di sopravvivenza. “Beh, quest’anno come va la pesca?”, gli chiedo, dopo i soliti saluti d’inizio stagione. “Come sempre i pesci stanno in fondo al mare“, risponde, secco. “Ma ci siete voi pescatori per portarli in superficie!“, ribatto, scherzoso. “Ci saremmo noi pescatori, ma non ci siamo” risponde filosoficamente. E soggiunge: “La solita storia. Gli indennizzi della Nato tengono le barche a terra. Tutta la famiglia imbarcata e il reddito annuale è assicurato senza far niente“. “Stanno a terra loro i proprietari delle barche, ma sopratutto stiamo senza far nulla noi marinai che non abbiamo la barca, siamo alla fame. La marineria sulcitana è morta, non da oggi”.
“Il solito piagnone, avrai qualche altro da fare…”,
gli dico, con tono severo. “Si volevano ingaggiarmi nella “pescaturismo”. 30 euro per 12 ore di lavoro al giorno“. “Meglio di niente“, penso. Ma lui non mi dà il tempo: “2,5 euro all’ora, molto meno degli 8 euro di una donna di pulizie! Non ci sto, difendo la mia dignità, ho bisogno, ma non ci sto“. “E quanto vuoi?”, chiedo. “Almeno 50 euro, 4,5 euro all’ora, sempre poco. Sai sei lì dall’alba al tramonto. Preparare la barca, ricevere i turisti, assisterli in navigazione, gettare le reti, cucinare il pescato, servire il pranzo, ritirare, riordinare e poi, dopo lo sbarco, far pulizia…”. “Un lavoro impegnativo, non c’è che dire…”, osservo. “E quando qualcuno si sente male? Devo fare anche l’infermiere…“.
Niente pescaturismo, dunque. “Ma hai alternative?“.  “Volevo raccogliere mele…” “…Bel salto, dai pesci alle mele!“. “Si ma non vado…“. “Non vai!?” “…No, non posso, mi danno 60 euro al giorno, ma senza vitto e alloggio, più devo pagarmi il viaggio. Impossibile“. Fra me e me penso che ha ragione. “Vivo alla giornata, se mi capita imbianco qualche stanza, pulisco giardini…qualche giornata in vigna, tanto per comprarmi il pane e le sigarette…”.
Che casino! E di questi poveri non si occupa nessuno, politicamente. La Charitas lo fa coi soldi pubblici e qualcuno fa anche profitti. Un tempo li organizzava il Partito comunista. Nelle sezioni ce n’erano tanti compagni così ed erano combattivi. il Partito dava loro una speranza e un terreno di mobilitazione. Dava loro una cultura. Erano classe, ora sono plebe, come i migranti. Solo Francesco, il papa, li considera: tutta la sua enciclica è pensata dal lato dei deboli. Ma lui chiama alla lotta, ma non organizza il movimento…
Mentre faccio queste amare riflessioni, guardo l’orologio. Si è fatto tardi, devo rientrare, Narcaoblues  mi attende e, ahimè, la strada ha qualche curva. Saluto frettolosamente Peppino e scappo. Al botteghino, prendo due abbonamenti e penso: costano il doppio della giornata di 12 ore di Peppino. Ho quasi un senso di colpa, ma gli amici mi chiamano. Un po’ di svago ci vuole, bisogna distrarsi…Mi affretto, lo spettacolo sta per cominciare.

1 commento

  • 1 Simone Angei
    24 Luglio 2015 - 19:09

    Quanta verità in queste parole, amare ma sincere.
    Uno specchio di quella verità che oggi è sempre più presente e pressante nella realtà che quotidianamente affrontiamo.
    Eppure, l’amarezza più grande è quella per cui, in una situazione sociale così disastrata, quello che manca è un filo conduttore che ricolleghi le aspirazioni e le esigenze del pescatore a quelle del contadino, quelle del lavoratore dipendente al giovane studente, quelle dell’insegnante precario all’infermiere d’ospedale.
    Un filo conduttore che riconsegni lo spirito e l’impulso per mettere in gioco la propria soggettività e sentirsi parte di una narrazione e di un disegno più grande e importante.
    Come qualche giorno Lei ricordava, quello stesso spirito del sarto di Ulm, insomma.
    Quello stesso filo conduttore che gli studi marxiani hanno consegnato alla storia e che ancora oggi, sempre in numero minore, orgogliosamente e consapevolmente chiamiamo con correttezza comunismo!
    Ecco, ciò che manca, non è solo (solo??) il lavoro e la dignità delle persone comuni, sottratti da governanti trasformisti e avvezzi al malaffare.
    Ciò che realmente manca è una reale forza politica capace di organizzare queste persone e saper dare loro una voce e una giusta collocazione all’interno di un progetto che li faccia sentire importanti, essenziali, restituendo loro quella dignità che l’alienazione attuale gli sottrae.
    Con parole non nuove, una forza politica capace di immaginare, ancor prima di organizzare, l “assalto al cielo”.
    Ecco, a questo punto direi: cosa stiamo aspettando?
    Purtroppo, per quanto molti compagni ci sperino, difficilmente le gerarchie ecclesiastiche consentiranno al buon Papa Francesco di trasformare in Soviet o Comune Parigina lo Stato Vaticano e, da li, esportare la rivoluzione.
    E allora, chi realmente può e deve raccogliere quegli appelli è la sinistra tutta, oggi chiamata realmente a fare tabula rasa e ripartire dall’elaborazione culturale e ideologica, cogliendo e ricostruendo quelle alleanze e quei connettivi che il capitale del nuovo millennio ha astutamente tentato di spezzare e celare agli occhi.
    Spetta a noi e solo a noi, con uno sforzo generoso, recuperare quegli insegnamenti e quelle pratiche che hanno consentito i più grandi avanzamenti della storia moderna. Con umiltà e senza rassegnazione.
    Ma soprattutto, senza avere la pretesa che particolari alchimie regalino un immediata consapevolezza delle masse popolari.
    Ci fosse stata ancora oggi una reale forza politica marxista, organizzata, avremmo avuto il “Jobs Act”? O la “Buona Scuola”?
    O avremmo lasciato sola la Grecia a combattere per un’Europa migliore?

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