Il Consiglio di stato salva la legge elettorale regionale

21 Luglio 2015
2 Commenti


 Andrea Pubusa

La legge elettorale regionale è salva. Il Consiglio di Stato nega l’accesso alla Corte costituzionale e dichiara le legge conforme alla Costituzione. Di seguito pubblichiamo la motivazione della decisione, che rientra fra quelle che i giuristi chiamano “apparenti”. La spiegazione apparentemente c’è, ma non spiega un bel nulla. In particolare non spiega cosa c’entra con la governabilità, già assicurata da un superpremio di maggioranza (che scatta al raggiungimento del 25% con l’assegnazione del 55% dei seggi) lo sbarramento al 5 e al 10%.
Noi, intendo Ligas e gli altri ricorrenti, abbiamo fatto la nostra parte, tentando di difendere la rappresentatività dell’Assemblea regionale. Prendiamo atto di questa sentenza pilatesca, ma non ci arrendiamo. Non mancheranno altre sedi per continuare la battaglia democratica. I sardi, anche grazie a questa decisione, si terranno un governo e un Consiglio imbelli, anche perché non rappresentativi.

Ecco i quesiti da noi posti nel ricorso e “la motivazione” della sentenza n. 3614/2015.

Stralcio dal nostro appello.
I PRINCIPI COSTITUZIONALI SECONDO LA SENT. N. 1/2014 C. COST.
La sentenza di primo grado afferma di volersi ispirare alla sentenza della Corte cost., 1/2014, che – com’è noto – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del c.d. Porcellum.
Pertanto, per comodità di discorso, riassumiamo i punti centrali enucleati dalla sent. n. 1/2014.

Punto primo. La Corte riconosce il suffragio come diritto fondamentale e inviolabile. In un sistema democratico, tutto si costruisce a partire dal voto libero ed eguale. L’architettura politica e istituzionale, dalla rappresentatività delle assemblee elettive alla forma di governo, e l’indirizzo di governo che essa esprime, poggiano sull’architrave di una volontà collettiva alla cui formazione tutti concorrono liberamente e con pari dignità.
Punto secondo. Un diritto fondamentale e inviolabile non è in quanto tale sottratto a qualsivoglia limitazione. Potrà darsi la possibilità di un necessario bilanciamento con altri beni parimenti protetti in Costituzione, da cui scaturisca un limite al primo.
Punto terzo. Tale bilanciamento, peraltro, deve rispondere a criteri di necessità e proporzionalità. In altre parole, il limite al diritto fondamentale può essere posto se indispensabile alla tutela di altro bene parimenti protetto in Costituzione, nella stretta misura richiesta da quella tutela, e senza sacrificio eccessivo del diritto. Un limite che ecceda questi confini, o che persegue un obiettivo realizzabile attraverso misure meno lesive, è incostituzionale.
Questi sono, in estrema sintesi, i capisaldi della giurisprudenza costituzionale nostra e di molti paesi a noi assimilabili. La Corte, nella sent. 1/2014 e non solo, riconosce la governabilità come bene costituzionalmente protetto. Quindi è rispetto a questo bene che deve incardinarsi un possibile bilanciamento. Il necessario equilibrio non era rispettato dal Porcellum, e da qui la dichiarazione di incostituzionalità, che colpiva in specie la mancata dichiarazione di una soglia per l’applicazione del premio di maggioranza, e la lista bloccata per tutti i parlamentari.
Offre risposta la soglia prevista nella legge sarda? Il Tar Sardegna dice senz’altro di sì. Ma lo fa acriticamente. Infatti, la presenza di una soglia, pur essendo una conditio sine qua non di legittimità, non è di per sé sufficiente ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in materia di voto. La sentenza n. 1/2014 parla della necessità non di una soglia qualsiasi, ma di una soglia congrua, occorre, cioè, in ogni caso verificare che la sperequazione tra voti e seggi non sia eccessiva. Una soglia minima di accesso al sistema premiale del 25%, con premio aggiuntivo al 40% per cento è congrua nell’accezione testé riportata? La risposta è negativa. E si motiva con chiarezza dimostrando che il sacrificio imposto al voto libero ed eguale è comunque eccessivo e inutile. Intanto perché la maggioranza assoluta è del 51% e non del 60%. In secondo luogo perché lo stesso legislatore regionale individua nel 55% dei seggi il premio che consente la governabilità. Appare, dunque, incongrua la soglia minima (25%) e eccessivo il premio in relazione alla soglia minima e ancor più ingiustificato il superpremio al raggiungimento del 40%.
Ma v’è di più e peggio: lo sbarramento. Ammesso e non concesso che governabilità e diritto di voto siano da bilanciare alla pari, come beni assistiti da eguale protezione costituzionale. Troviamo nella legge sarda che la governabilità è assicurata dal premio nel caso di lista che supera il 25% dei seggi..
Quindi il mantra di avere un vincitore il giorno stesso del voto risulta pienamente soddisfatto, senza margini residui. Comunque, ci sarà un vincitore con una maggioranza assembleare. Ma allora, perché porre anche soglie di sbarramento verso il basso, al 5% per le liste della coalizione e addirittura del 10% alla coalizione nel suo insieme alla luce dei voti al candidato presidente? Perché azzerare il diritto al voto di decine di migliaia di cittadini senza alcun beneficio per la governabilità, comunque assicurata aliunde?
Il punto è che con la legge sarda vediamo sovrapporsi alla governabilità il fine di una ristrutturazione del sistema politico secondo un modello specifico. Fine anche esplicitato, con la dichiarazione di guerra non ai piccoli partiti, ma a quelli anche non piccoli che hanno la superba pretesa di essere autonomi rispetto ai due partiti maggiori. Ma la riduzione artificiosa delle soggettività politiche non è un obiettivo costituzionalmente protetto, e dunque bilanciabile con il diritto fondamentale di suffragio. Al contrario, una norma come l’art. 49 della Costituzione protegge per tutti la partecipazione con metodo democratico, e dunque garantisce libertà di formazione dei partiti politici.
Allo stesso modo, lo sbarramento con soglie piuttosto elevate (5 e 10%) non risponde a esigenze di governabilità, ma al fine di consentire al leader il controllo e la fidelizzazione delle liste minori e dei loro eletti in ragione dello sproporzionato premio di maggioranza e dell’altrettanto soglia di sbarramento. Anche questo è strumento ridondante ed eccessivo, nel momento in cui la governabilità è pienamente garantita in altro modo. E l’obiettivo perseguito non è un bene costituzionalmente protetto e bilanciabile.
La Costituzione non vuole un Paese o Regioni conquistabili con pochi voti, ma istituzioni formate da organi realmente o accettabilmente rappresentativi del corpo elettorale di riferimento. Anche con le correzioni presenti nella legge sarda  (ossia la soglia di maggioranza al 25% (premio aggiuntivo al 40%) e lo sbarramebnto al 5 e al 10%) la legge sarda fa sorgere più di un motivato dubbio di legittimità costituzionale. Nella sentenza 1/2014 questa legge regionale proprio non rientra. Del resto, come potrebbe essere diversamente per un testo nato dall’accordo di leader attenti solo alle sorti dei propri partiti e a spartirsi, a seconda dei casi, maggioranza e opposizione con una conventio ad excludendum degli altri, ossia dei partiti che non dichiarino la loro fedeltà ai leader dei partiti maggiori, candidati alla presidenza?
Tra l’altro, una via pericolosa per la democrazia, quando non c’è più la stabilità sociale e politica assistita da organizzazioni di massa e corpi intermedi, che improvvidamente si è voluto eliminare.
Analogamente la legge sarda fa sorgere un motivato dubbio di legittimità costituzionale nella disciplina volta a promuovere la parità di genere nel Consiglio regionale, come comprova l’elezione di sole 4 donne su 60 co9nsiglieri. Percentuali da califfato più che da ordinamento democratico fondato sul principio di eguaglianza senza distinzione di sesso!
Ancora, alla luce dei risultati, suscita fondati dubbi di legittimità costituzionale la disciplina sulla rappresentanza territoriale e quella che favorisce con artifizi l’esonero di liste minori e nuove dalla raccolta delle firme.  Per l’ammissione alla competizione elettorale.

Fin qui lo stralcio del nostrio appello. Ecco la “motivazione” del rigetto ad opera del Consiglio di Stato. Come si potrà vedere, la decisione non prende posizione su alcuno dei temi sollevati. Si tegma conto che il Consiglio di Stato non è competente a decidere sulla costituzionalità o meno della legge, ma deve rimettere gli atti alla Consulta, laddove sussista solo un dubbio sulla legittimità costituzionale della disciplina impugnata.

DIRITTO 1. Il Collegio rileva, in punto di fatto, che la vicenda oggetto del giudizio
riguarda le elezioni regionali per l’elezione del Presidente della Regione e
del XV Consiglio Regionale della Sardegna, svoltesi in data 16 febbraio
2014.
All’esito delle operazioni elettorali, l’Ufficio Centrale Regionale con verbale
12.3.2014 ha proclamato eletto Presidente Francesco Pigliaru con n.
313.513 voti validi (pari al 42,45 %, parametro di riferimento per
l’attribuzione del cd. premio di maggioranza); al secondo posto si è
classificato il candidato presidente Ugo Cappellacci con n. 292.040 voti
validi (pari al 39,65 %, parametro di riferimento per l’attribuzione del cd.
premio di maggioranza).
Francesco Pigliaru ha ottenuto il 60% dei voti dei seggi, ossia 36, mentre i
restanti 24 sono stati assegnati alla coalizione con candidato Presidente Ugo
Cappellacci, secondo classificato col 39,566%.
Sono state, invece, escluse dall’assegnazione le altre coalizioni e in
particolare quelle facenti riferimento agli altri candidati presidente, Michela
Murgia e Mauro Pili (che hanno ottenuto, rispettivamente, 76.155
preferenze, pari al 10,317% dei voti validi, e 42.858 preferenze, pari al
5,806% dei voti validi).
2. Con il ricorso di primo grado, sostanzialmente reiterato nell’atto
d’appello, parte appellante deduce una serie di vizi della legislazione
regionale, in ipotesi contrastante con la Costituzione.
Ritiene il Collegio di condividere l’impianto motivazionale adottato dal
TAR.
Infatti, e sinteticamente, si deve osservare in primo luogo che l’attribuzione
di un premio di maggioranza elaborato dal legislatore regionale, invero, si
pone in perfetta sintonia con quanto disposto dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 1-2014 che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 270-2005
in materia di elezione di Camera dei Deputati e Senato della Repubblica.
Infatti, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittime le norme che
ammettono l’attribuzione di premi di maggioranza senza la previsione di
alcuna soglia minima di voti e/o di seggi.
Nel caso in esame, contrariamente a quanto deduce l’appellante, sarebbe
palese la violazione del principio di eguaglianza del voto perché
all’ottenimento di un numero irrisorio di consensi sarebbe rimessa
l’attribuzione di un eccessivo numero di seggi, poiché una percentuale
molto ridotta di suffragi equivarrebbe ad una maggioranza assoluta dei
seggi.
Peraltro, detta circostanza non si verifica nel caso della normativa regionale
censurata, posto che l’art. 13 della L. R. n. 1-2013 contiene la previsione di
una soglia minima di voti alla lista, in tal modo contemperando non solo il
principio di eguaglianza del voto e di proporzionale rappresentanza
democratica, ma anche quello di stabilità del Governo perché in misura
bilanciata, rispetto al risultato elettorale conseguito, è pure garantita
l’attribuzione di un ragionevole premio di maggioranza condizionato al solo
raggiungimento delle soglie minime previste dalla legge individuate per
garantire la governabilità.
Peraltro, il bilanciato equilibrio tra il principio della cd. “rappresentanza
territoriale” e quello della cd. “proporzionalità politica”, che premia la
partecipazione alle consultazioni elettorali e l’esercizio del diritto di voto,
costituisce, nel merito, scelta legislativa insindacabile in quanto frutto di
valutazione politica che esula dal controllo giurisdizionale.
Inoltre, l’attribuzione di un premio di maggioranza collegato ai soli voti
riportati dal candidato Presidente, così come previsto dall’art. 12, comma 2,
della legge regionale statutaria, appare direttamente connessa con la finalità
di assicurare la governabilità della Regione, non apparendo irragionevole
collegare il premio di maggioranza al risultato ottenuto dal candidato
Presidente posto che la forma di governo prescelta per la Regione
Autonoma della Sardegna è proprio quella scaturente dall’elezione diretta
del Presidente.
3. Non sussiste alcuna violazione dell’art. 1, comma 7 della legge statutaria
regionale n. 1-2013, poiché la norma prevede due soglie di sbarramento: la
prima del 10% riferita ai gruppi di liste collegati ad un candidato
Presidente; la seconda del 5% riferita al gruppo che presenti un’ unica lista
collegata al candidato Presidente prescelto.
I predetti parametri non sono stati rispettati né dalle tre liste coalizzate che
sostenevano il candidato Murgia (la cui cifra ammonta al 6,754%, cfr.
punto 3 dell’esposizione in fatto degli appellanti), né dalle tre liste che
sostenevano il candidato Pili (percentuale raggiunta del 5,522%)
Inoltre, la mancata assegnazione del denominato “diritto di tribuna” ai
candidati Presidente Murgia e Pili non è legato al fatto che le liste ad essi
collegate non hanno raggiunto la predetta soglia di sbarramento, quanto
piuttosto al più generale divieto di candidature plurime stabilito dall’art. 7,
comma 1, della legge statutaria.
La disposizione che prevede che sia attribuito un seggio oltre che al
Presidente eletto anche al candidato Presidente che ha ottenuto un numero
di voti immediatamente inferiore, ma non agli altri, appare peraltro
ragionevole e legittima, evitandosi in tal modo di estendere eccessivamente
il predetto “diritto”.
4. Si deve, inoltre, osservare che la previsione di una soglia di sbarramento
rientra nel potere latamente discrezionale del legislatore che, al fine di
garantire la governabilità ed eliminare eccessive frammentazioni del
risultato elettorale, può individuare delle soglie al di sotto delle quali i
gruppi di liste vengono esclusi dall’attribuzione dei seggi.
Infatti, la ratio legis sottesa alle soglie di sbarramento è quella di favorire la
concentrazione dei candidati in liste omogenee, prevedendo un meccanismo
elettorale che premi queste ultime, disperdendo il voto espresso in favore di
liste che non superino una percentuale minima, in modo che l’elettore sia
indotto ad orientarsi verso raggruppamenti di liste che, nonostante la loro
scarsa consistenza, presumano di superare la soglia di sbarramento imposta
dalla legge (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 marzo 2010, n. 1519).
La compatibilità della clausola di sbarramento con i principi costituzionali
discende dal fatto che l’eguaglianza del voto non è compromessa se, in
virtù del sistema elettorale prefigurato dal legislatore, i suffragi espressi da
taluni elettori non concorrono, in concreto, all’attribuzione di seggi.
In tale ipotesi, infatti, il legittimo scopo che il legislatore regionale ha inteso
perseguire è quello di evitare la frammentazione della rappresentanza
politica (così come “la frantumazione delle minoranze”, cfr. Corte di
Cassazione sent. n. 12060-2013) e tale obiettivo, si ritiene, è stato raggiunto
in maniera proporzionata perché la clausola del 10% non è prevista per le
singole liste, ma solo per i gruppi di liste che operano in coalizione
5. La questione della violazione della parità di genere è inammissibile così
come proposta, poiché gli appellanti contestano la legittimità delle
disposizioni impugnate non in ragione di loro specifici vizi, quanto
piuttosto a causa del risultato elettorale non corrispondente alle aspettative.
6. In merito alla contestazione dell’illegittimità dell’esenzione della raccolta
di firme per la presentazione della lista Movimento Sardegna Zona Franca,
si deve osservare che la norma contestata, in un’ottica di favor
partecipationis e di democraticità, consente legittimamente, ad avviso del
Collegio, di poter competere alla tornata elettorale anche a nuovi partiti,
gruppi di pensiero e movimenti che essendo privi di un una struttura
stabile e radicata nel tempo e nel territorio, sarebbero privati della
possibilità di partecipare.
7. Infine, per quanto riguarda la dedotta erroneità ed illegittimità
dell’attribuzione dei seggi alle diverse circoscrizioni territoriali, si deve
rilevare che, in base all’art. 24 dello Statuto Speciale, “I consiglieri regionali
rappresentano l’intera Regione”, confermandosi l’irrilevanza costituzionale
del principio di rappresentanza territoriale così come dedotto dalla parte
appellante.
Peraltro, il principio della rappresentanza territoriale, così come configurato
in appello, è privo di copertura costituzionale, rendendo così irrilevante
anche le doglianze relative alla dedotta contrarietà, della censurata
normativa regionale, ai principi della personalità e uguaglianza del voto.
8. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve
essere respinto in quanto infondato.

2 commenti

  • 1 marco de rebus
    24 Luglio 2015 - 14:43

    Mah! Al di la delle argomentazioni del Consiglio di Stato questa legge elettorale resta una ca***ta pazzesca!

  • 2 Maria Paola Fanni
    27 Luglio 2015 - 08:42

    Questa legge elettorale è uno schiaffo alla democrazia e un dissuasore di partecipazione al voto e, a parte i cavilli giuridici che credo e spero possano essere rimossi da nuove sentenze, offende i cittadini perché favorisce le lobby.

Lascia un commento