Le province scompaiono…ma assumono

28 Settembre 2015
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Andrea Pubusa

La Provincia di Cagliari è sulla via del tramonto ma intanto assume. Ottantadue lavoratori interinali si aggiungeranno ai quasi quattrocento in organico. Contratto di tre mesi, dal primo ottobre al 31 dicembre, con un costo di quasi 650 mila euro. Questa la notizia nella prima de L’Unione e sembra l’ennesima vicenda di malamministrazione. Ma il direttore generale Paolo Maggio la spiega così: «Le Province vanno verso la cancellazione ma intanto, durante la transizione, le loro funzioni non sono state ridotte».
Questa notizia, in realtà, più che di malamministrazione è rivelatrice di malapolitica, della confusione sulle questioni istituzionali che regna a tutti i livelli nel Paese. Le province sono state soppresse e commissariate, con atti di dubbia costituzionalità, senza revisione dello Statuto speciale, che è legge costituzionale e senza revisione della Carta. Tuttavia, le loro funzioni non possono essere cancellate perché soddisfano interessi pubblici incomprimibili, anzitutto in materia ambientale. La soppressione pone, dunque, il problema del trasferimento di queste funzioni e del personale ad altro ente o di creazione di un nuovo centro di riferimento pubblico. E qui si naviga al buio. La soluzione peggiore sarebbe accentrare queste funzioni in capo alla Regione. A parte la lievitazione dei costi del personale (altro che risparmio di risorse!), questo bestione è già ipertrofico, pesante ed inefficiente, uno degli ostacoli principali, con la sua burocrazia e le sue procedure barocche, allo sviluppo dell’Isola. ad ogni iniziativa privata o imprenditoriale. Ingrassarlo ancora di funzioni e personale significa andare in direzione esattamente contraria ad una vera linea di riforma, che dovrebbe portare la Regione ad essere ente snello, solo di legislazione e programmazione. Sì, perché, come previsto nello Statuto e nella Costituzione, le funzioni amministrative dovrebbero essere esercitate da Comuni e da un ente intermedio, chiamatelo provincia o distretto o pincopallino. La Regione dovrebbe essere un ente senza apparato amministrativo, solo funzionari di altissimo livello a supporto della legislazione e delle scelte strategiche.
Si parla di unioni di comuni in luogo delle province. Ma si ha memoria corta. A metà degli anni ‘70 furono creati in Sardegna e in altre regioni i comprensori come via per il superamento delle province. Assomigliavano molto alle unioni, di cui si favoleggia oggi. Erano formati da sindaci e amministratori comunali e sono falliti miseramente al pari della gestione comunale della sanità attraverso le unioni sanitarie locali. Gli uni e le altre sono presto diventati luoghi di baratto dei piccoli ras locali e anfratti di malapolitica e pessima amministrazione.
Basterebbe un po’ di memoria storica o di studio di quelle vicende per giungere alla conclusione che le province, riviste, irrobustite nelle loro funzioni, riportate alla loro natura di enti democratici e rappresentativi, sono ancora la soluzione migliore della questione dell’ente intermedio fra Regione e Comuni. Questi ultimi, del resto, sono in fase di smantellamento come enti democratici di servizi alle persone, divengono sempre più gabellieri e impositori di sanzioni, con in testa un semipodestà, grazie alla legge elettorale, per cui assegnare ad essi le funzioni di area vasta sembra pura follia. Ma il Paese è in preda alla follia e più che correre verso il baratro, è già in fondo ad esso nella sua corsa verso l’annientamento della rappresentanza democratica dal Parlamento ai Comuni. Aggittoriu!

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