Paolina era la madre di Giulia: filmato Clara Murtas

31 Gennaio 2016
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Gianna Lai 

Una finestra illuminata,  due donne che ridono al centro della stanza, fra i tanti libri disseminati in giro. E un vecchio computer alle loro spalle, quello che serve a raccontare la storia, a evitare che si perda, confusa e dimenticata fra le tante memorie più vicine. Madre e figlia attraversano un tempo da poco lasciato indietro, appena lasciato da ciascuna alle proprie spalle: nelle domande di Clara e nelle parole di  Bruna, la sequenza delle immagini del passato che il ricordo sembra trascinarsi dietro, in modo del tutto naturale e spontaneo. Il film-documento ‘Paolina era la madre di Giulia’, in Cineteca a Cagliari, al recente Babelfilm (Concorso internazionale per il cinema delle lingue minoritarie), è firmato dalla regista Clara Murtas e inquadra una storia di donne del nostro tempo, disvelando il materializzarsi lento di un’intuizione di scrittura, che preme nella mente di Bruna, la madre. E che finalmente prende corpo con la scoperta del Quaderno di note e avvenimenti autobiografici, vero custode di pensieri, di storie  e di dolori trascorsi a suggello della vita stessa. Una fonte di memoria,  resa non del tutto inaccessibile alla quotidianità familiare, dagli spazi ristretti delle piccole case  di periferia, dai ritmi della povertà che impone a tutti grandi sacrifici, compreso la rinuncia alla segretezza dei propri ricordi. Nel film il racconto procede attraverso la diretta rilettura e le inquadrature di quella scrittura nitida e chiara, che si intrecciano con le immagini e con il dialogo fra le protagoniste, per mettere in luce l’abilità della regista di ricostruire, nelle parole della madre, eventi e contesti dai quali il discorso assume coerenza e  giusto ritmo. Le domande di Clara e le risposte  di Bruna, le fotografie del tempo, che ritraggono giovani volti sorridenti e  cerimonie di quartiere e  luoghi della città. Perchè, se all’inizio sembra già definita la linea del dialogo, che invece si va via via compiendo sotto gli occhi dello spettatore, sempre nuovi arricchimenti seguono e nuove scoperte di un mondo che ancora ci rappresenta. Come fossimo spinti ad entrare nel vivo di condizioni personali, di esperienze familiari che, ci stupiamo, non erano rimaste poi cosi tanto vaghe e lontane nel ricordo del passato. C’è un periodo storico che soppravive alla volontà di cancellazione a tutti i costi, un passaggio di presa di coscienza forte, personale e sociale, che le parole di Bruna sottolineano, ora con timida espressione poetica, ora con decisa e matura affermazione di sè. Come quando parla della povertà del tempo, lasciandocela  intuire più equamente distribuita, sicchè  la gente non se ne vergognava, tutta tesa semmai al miglioramento della propria condizione, e a combattere per i propri figli. L’individuo, cioè, riconosciuto anche nella sua povertà, una povertà collettiva, come si dice, all’interno di una società coesa, in quelle modeste case del dopoguerra della periferia cittadina, ancora così presenti nella mente di tutti e nell’esperienza di molti.  O come quando Bruna  racconta della scoperta della città e della estrema crudeltà paterna, così adatta ai tempi, e ride di sé e delle sue debolezze, perché è verso la crescita personale che si sta proiettando la storia, nel racconto di quello che faceva, di come lavorava, e di come  allevava le sue figlie. E se centrale diviene ora nel racconto l’uso della scrittura, che si tratti dei testi  poetici di Bruna in lingua sarda, o della  narrazione in italiano, la forma dialogica dell’incontro fra madre e figlia sembra allargarsi dall’autrice a noi del pubblico, perchè le emozioni trovino il giusto passaggio, e siano  vissute così come il Quaderno le ha restituite. Senza enfasi e sovrabbondanze, ché già la materia è di per sè  impegnativa e coinvolgente per tutte e due le protagoniste, ma con la pienezza del richiamo continuo, potremmo aggiungere noi, ad una memoria sempre critica e consapevole.
Sarà per la componente poetica e la spontanea immediatezza creativa che la mette in continua evidenza, ogni testo un quadro, un evento, una rappresentazione sentimentale. Sarà per la volontà di Clara di scoprire anche se stessa in quella storia,  un ritrovarsi pieno della coscienza e del modo di saperla rappresentare. Sarà per il montaggio curato e intelligente, di Antonello Zanda, Marco Veloce e Marco Angius, che restituisce movimento al racconto e staglia i caratteri delle protagoniste, ‘Paolina era la madre di Giulia’ attualizza un’esistenza e ne fa  rappresentazione  del passaggio verso la piena maturità della persona, proprio in  quella lettura ad alta voce dei testi poetici al pubblico di amici. In quell’accettare di sottoporsi alle domande del documento film, che mette simpaticamente in primo piano  anche il rapporto madre- figlia, perlomeno consentendo a Clara di guidare lei la ricostruzione dell’esistenza, affidata prima  solo ad un Quaderno segreto che, non scoperto, sarebbe rimasto del tutto muto per sempre.                       

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