Legge elettorale regionale: occorre andare verso la piena rappresentanza e dell’uguaglianza del voto

10 Febbraio 2017
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Fernando Codonesu

Pubblichiamo la seconda parte della riflessione di Fernando Codonesu sul sistema elettorale. Ieri la comparazione del proporzionale e del maggioritario nella concretezza della storia italiana, oggi i principi su cui fondare una legge elettorale espressione della sovranità popolare. Le indicazione di Codonesu appaiono tanto più attuali alla luce del testo di riforma elettorale del presidente Ganau, su cui vedi l’articolo con le notazioni di Andrea Pubusa.

Abbiamo visto che il sistema maggioritario non ha prodotto maggiore stabilità dei governi né migliore governabilità. Peggio: mentre si pensava che l’avvio del sistema maggioritario avrebbe stimolato la partecipazione popolare, si è prodotto il risultato contrario arrivando a percentuali di astensione dal voto progressivamente maggiori nel tempo, fino a sfiorare il 50% del corpo elettorale.
Ciò è derivato soprattutto dalla consapevolezza che in quanto cittadini elettori si veniva chiamati alle urne esclusivamente per ratificare le scelte compiute dalle segreteria dei partiti.
L’ultimo governo guidato da Renzi ha portato avanti provvedimenti, leggi e riforme mirate a scardinare i fondamenti della Costituzione, come il Jobs Act, l’eliminazione dell’art. 18, la cosiddetta Buona scuola, facendo un uso spregiudicato dei voti di fiducia che di fatto hanno posto il potere esecutivo al di sopra del potere legislativo. Meccanismi e decisioni di governo che hanno portato a compimento il processo di precarizzazione dell’esistenza dei giovani, con abnorme utilizzazione dei voucher in tutti i settori produttivi e del terziario, compreso lo Stato e anche alcune organizzazioni sindacali.
Il referendum del 4 dicembre
L’esito del referendum del 4 dicembre ha riacceso la speranza. Quando il voto conta l’elettorato torna alle urne. E’ tornato alle urne e con un’ampia maggioranza ha detto No alla riforma voluta da Renzi e dalle forze di governo. In Sardegna, come già osservato autorevolmente in diversi articoli e contesti, si è riscontrato un risultato di voti favorevoli al No più alto del 10% rispetto alla media nazionale, con una altrettanto maggiore partecipazione popolare al voto.
Il No è stato sia per la specifica riforma che, più in generale, per le politiche del Governo nazionale e in Sardegna per quelle portate avanti dalla Giunta regionale guidata da Pigliaru.
Da questo risultato può partire una nuova speranza e prospettiva di partecipazione politica costruendo percorsi e proposte a partire dai diritti, quei diritti sanciti dalla Costituzione e dallo Statuto che non sono stati ancora attuati e troppo spesso sono stati calpestati.

La via maestra, la Costituzione
Da più parti si propone la riscrittura della legge statutaria e alcuni gruppi e movimenti stanno già lavorando in tal senso. Si ha notizuia di una proposta del presidente del Consiglio regionale Ganau, In questo contesto pare più condivisibile e unificante concentrare le nostre energie su una proposta di legge elettorale regionale di tipo proporzionale.
Sappiamo che lo Statuto è per certi versi altro, ma è altrettanto vero che nella specialità della Sardegna, la legge elettorale ne è specifica centrale, non a caso viene denominata Legge elettorale statutaria. Non si tratta perciò di un obiettivo minore, ma è un traguardo ambizioso con una doppia valenza. Da un lato costituisce la caratterizzazione più forte dello Statuto e dall’altro va visto come una proposta che può unire a partire dal lavoro sul campo, con assemblee e una raccolta di firme, tutte quelle forze, movimenti, gruppi e associazioni che nelle elezioni del 2014 non hanno avuto rappresentanza.
Una buona legge elettorale deve obbligatoriamente ripartire dalla Costituzione che per noi è via maestra.
Ancora una volta giova ricordare l’articolo 1 della nostra carta che riporta “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Sulla sovranità ogni cittadino deve poter intervenire e anche quando la si delega a qualcuno, compresi coloro che vengono eletti in parlamento o nei consigli regionali e degli enti locali, va intesa come data “a tempo” e va osservata, controllata e verificata in qualunque momento.
La sovranità va esercitata giorno per giorno e ciò comporta coerenza, fatica e sacrificio. Quando si verifica che alcuni, molti o troppi partiti agiscano contro la sovranità popolare, è il popolo in tutte le sue componenti che può e deve esercitarla in ogni luogo, in ogni ambito di lavoro, in ogni ambiente, mediante iniziative in prima persona.
Ancora si riporta dalla Carta l’articolo 48, che recita “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
In questi principi c’è tutto ciò che serve per scrivere una buona legge elettorale, una legge che sia in grado di garantire la “sovranità del popolo”, che è tanto più reale quanto più si ha una larga partecipazione popolare al voto.
Una legge che garantisca “uguaglianza” nel voto, sia che si voti per la maggioranza che per un partito o movimento di opposizione, senza gli stravolgimenti generati dal sistema maggioritario nel corso del tempo perché qualunque premio di maggioranza, che di fatto attribuisce una maggior peso relativo ad un voto dato a chi governa piuttosto che a chi sta all’opposizione, è sempre elemento di “distorsione” del principio di uguaglianza del voto sancita dalla Costituzione.
Una legge che garantisca la “rappresentanza” perché ad una supposta governabilità che non può mai essere garantita da una legge elettorale, si preferisce la rappresentanza, questa sì possibile attraverso una buona legge, anche di partiti e movimenti minori perché la democrazia è fatta di pluralità di opinioni che devono trovare sintesi nel parlamento come nei consigli regionali, ovvero negli organi elettivi di governo.
Una legge che garantisca la parità di rappresentanza di uomini e donne, perché la società è composta di uomini e donne, e non  vi può essere discriminazione di genere nell’accesso agli organi elettivi, sarà l’elettorato a scegliere chi eleggere senza discriminazioni in partenza.
Per questi motivi preferiamo un sistema elettorale di tipo proporzionale, non intendendo con questo un semplice ritorno ai meccanismi elettorali della prima Repubblica.
Questi principi sono validi per ogni espressione del voto sia di tipo nazionale che regionale e locale. Ma noi abbiamo anche un’altra bussola che ci indica la via da seguire e questa è il nostro Statuto speciale. Questo testo costituzionale regola il voto e ne sancisce l’uguaglianza. Art. 16: “Il Consiglio regionale è composto da sessanta consiglieri eletti a suffragio universale, diretto, uguale e segreto“. Rileva anche la legge costituzionale n. 2 del 31/1/2001, all’art. 15 suona “ …In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con l’osservanza di quanto disposto dal presente Titolo, la legge regionale, approvata dal Consiglio regionale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione, sulla base dei principi di rappresentatività e di stabilità, del Consiglio regionale, del Presidente della Regione e dei componenti della Giunta regionale, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l’approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione,  …, nonché l’esercizio del diritto di iniziativa legislativa del popolo sardo e la disciplina del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali. Le dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio regionale comportano lo scioglimento del Consiglio stesso e l’elezione contestuale del nuovo Consiglio e del Presidente della Regione se eletto a suffragio universale e diretto. Nel caso in cui il Presidente della Regione sia eletto dal Consiglio regionale, il Consiglio è sciolto quando non sia in grado di funzionare per l’impossibilità di formare una maggioranza entro sessanta giorni dalle elezioni o dalle dimissioni del Presidente stesso. …”.
Ancora una volta se ci riferiamo alla Costituzione del popolo sardo troviamo i principi ispiratori di una buona legge: rappresentatività e stabilità, presentazione e approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, esercizio del diritto di iniziativa legislativa del popolo sardo  e referendum propositivo, abrogativo e consultivo, condizioni di parità di accesso per uomini e donne.
Per quanto attiene alla rappresentatività è evidente che il sistema proporzionale è l’unico che la può garantire anche per i partiti e movimenti minori, mentre per la stabilità, se è vero che non può essere garantita da nessuna legge, è altrettanto evidente che la mozione di sfiducia può positivamente concorrervi quale elemento di equilibrio sistemico.
La possibilità del referendum propositivo è un altro grande diritto da far valere, specialmente in un periodo caratterizzato da partiti impegnati esclusivamente nella gestione del potere mirata alla propria sopravvivenza e conservazione di privilegi personali.
L’altro principio irrinunciabile è la parità di accesso di uomini e donne agli organi elettivi e vanno trovati gli opportuni strumenti strumenti per  garantirla senza far ricorso alle cosiddette “quote rosa” dedicate, perché appaiono, anche al di là delle migliori intenzioni, come concessioni e non come diritti.
E’ ispirandosi a questi principi che può essere scritta una Legge elettorale statutaria per la Regione Sardegna che potrà permettere al popolo sardo di tornare massicciamente alle urne e scegliere i propri rappresentanti.

1 commento

  • 1 Legge elettorale | Aladin Pensiero
    10 Febbraio 2017 - 09:27

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