Territorio, ambiente, paesaggio: assi dello sviluppo

24 Febbraio 2017
2 Commenti


Fernando Codonesu

(Il massiccio di M. Tamara - Nuxis - cambriano inf. 641 milioni di anni  - fra i più antichi d’Europa)

Fare proposte sugli assi che possono costituire le fondamenta del prossimo sviluppo della Sardegna significa dare indicazioni sulla occupazione reale che si può creare oggi, non domani. Perciò su ciascuno degli assi che saranno indicati è quanto mai necessario arrivare ad individuare le risorse a disposizione o dove si possono trovare, le fasi temporali della realizzazione dei diversi interventi, le strutture da coinvolgere e le nuove imprese che si possono creare.
In questo scenario assumono particolare rilevanza gli interventi sul territorio inteso nella sua accezione più vasta: terra, mondo delle campagne e suoi prodotti, ambiente, paesaggio, coste. Tutto ciò che caratterizza la cultura e l’identità di un popolo.
Siamo ben consapevoli che vi sono grandi criticità ambientali da superare.
Con 35.000 ettari di territorio sotto demanio e servitù militari e tre poligoni di addestramento, tiro e sperimentazione al servizio della forze armate italiane e dell’intera NATO, la Sardegna è la regione più militarizzata d’Europa al punto che diventa estremamene difficile disegnare uno sviluppo dell’isola fondato sull’economia di pace.
All’impatto delle servitù militari, a seguito delle nuove perimetrazioni operate dalla Regione delle aree S.I.N. (Sito di Interesse Nazionale) nel 2011 e definitivamente ratificate dal Ministero dell’Ambiente nel 2016, si sommano oltre 20.000 ettari di territorio da bonificare a seguito di inquinamento industriale.
Continuano ad essere presenti, inoltre, le esigenze di messa in sicurezza di estese aree un tempo minerarie che oggi rappresentano l’emblema dell’incapacità pluridecennale di intervenire efficacemente sul territorio pur avendo speso centinaia di milioni di euro su aziende oggi totalmente interne all’amministrazione pubblica, come l’Igea.
Le numerose alluvioni che ciclicamente si abbattono sulla nostra regione hanno evidenziato una criticità estrema di vastissime aree, al punto che l’ultima alluvione del novembre 2012 ha provocato danni stimati in oltre 600 milioni di euro.
E’ evidente che questo quadro esige un piano pluriennale di messa in sicurezza e di bonifica dei territori che presentano tali criticità: da qui può nascere un percorso di sviluppo coerente con le vocazioni territoriali, che potranno validamente essere innervate dai contributi che vengono dalla nuova organizzazione del lavoro e dalle metodologie indotte dalla rivoluzione digitale.
Il progressivo spopolamento dei centri urbani dell’area interna della regione, l’incapacità di avviare o mantenere le attività produttive sono strettamente collegate con la debolezza dei servizi presenti sul territorio, in quanto il processo di sviluppo di norma spinge verso l’urbanizzazione e la vita nei centri più grossi, determinando l’inesorabile abbandono della campagna e delle aree interne.
Gli attuali indicatori della protezione e dell’assetto territoriale invece esprimono la necessità di una presenza adeguata dell’uomo anche sulle aree non urbane, come le aree agricole e i territori montani che, quando mantenuti correttamente contribuiscono ad un equilibrio generale e a preservare i disastri ambientali. L’uso improprio dell’azione edificatoria (vedi costruzione di unità abitative in aree a rischio idrogeologico), combinata alla trasformazione del clima del pianeta, infatti sta dando effetti progressivamente sempre più drammatici come osservabile dai recenti disastri idrogeologici.
Tra le azioni certamente di lungo periodo entra in gioco la oramai necessaria riduzione del consumo di suolo. Non solo alla luce del conseguente minor impatto ambientale e dell’abbandono dell’anacronistica logica espansiva tipica degli anni ’60 in poi, ma anche per garantire l’equilibrio necessario tra fondi agrari, aree urbanizzate e di sviluppo turistico per un cambiamento ecocompatibile sul versante sia ambientale che antropico. Si sente la necessità di una revisione strutturale della normativa urbanistica che possa superare l’attuale approccio basato sulla semplice zonizzazione (suddivisione in zone alle quali sono associati indici di uso del suolo) e sia orientato al miglioramento della perequazione eliminando i meccanismi speculativi ma al tempo stesso incentivando la riqualificazione e sani investimenti sul territorio. Si sente la necessità di semplificazione della macchina burocratica secondo un controllo a posteriori e di un trasferimento di assunzione di responsabilità verso i corpi professionali (ingegneri, architetti, pianificatori, geologi, pedologi, agronomi, geometri, periti edili, agrari ecc.) per affiancarli all’amministrazione pubblica che deve concentrarsi invece verso gli aspetti cruciali del territorio.
Le aree interne, i centri storici e le aree periferiche dei centri urbani hanno bisogno di maggiore attenzione per una loro riqualificazione, concepita non come singoli interventi ognuno congruente con se stesso, ma con azioni di sistema stimolate, incentivate dal sistema pubblico e favorite con il supporto dell’azione imprenditoriale privata ma all’interno di un quadro di riqualificazione (qualità architettonica e urbana, energetica, di valorizzazione ambientale).
Le reali criticità della riqualificazione globale (appunto architettonica, energetica e ambientale) delle aree interne sono, oltre all’aspetto economico finanziario, legate alla capacità di indirizzare questa trasformazione con una cultura diffusa del cambiamento, orientata al reindirizzo dello sviluppo secondo gli assi prima descritti. Si tratta del capitale sociale di cui si parlerà più avanti.
E’ pertanto necessario adottare serie politiche orientate allo sviluppo delle aree interne, garantendo per esse adeguate condizioni per evitarne lo spopolamento. A tale riguardo nessuno sviluppo è possibile se non si opera congiuntamente anche sul fronte del lavoro, dei servizi (soprattutto sanitari e dell’istruzione) e della mobilità ovvero dell’accessibilità del territorio.
Il mantenimento della popolazione delle aree interne deve infatti passare per la sostenibilità economica (lavoro) e la qualità della vita: livello dei servizi locali, in primis quelli sanitari e dell’istruzione, accessibilità ai centri urbani e alla comunicazione (quindi eliminazione del rischio di isolamento). A pensarci bene è un problema simile a quello dei quartieri periferici dei grandi centri urbani. Se si conserva una propria identità locale e sono garantiti quei servizi di cui sopra, si può offrire un sufficiente livello di qualità della vita per rimanere appetibili ai giovani senza obbligarli a migrare.
Proveremo nei successivi interventi a delineare alcune idee e indicare possibili interventi su settori che possono concorrere utilmente alla definizione e costruzione di un nuovo modello di sviluppo per la Sardegna.
Senza pretese di esaustività, cercheremo di dare il nostro contributo sui seguenti temi:
Comparto agroalimentare ed enogastronomico
Innovazione tecnologica, contesto digitale, ricerca e creatività
Comparto marittimo e navale
Turismo
Beni culturali e paesaggio
Artigianato, design e industria manifatturiera

(Sotto: Nuxis - la bella e stretta valle solcata dal Rio Mannu; sullo sfondo il massiccio di Truba Manna)

l'immagine è descritta dal titolo e dal testo sottostante

2 commenti

  • 1 Territorio, ambiente, paesaggio: assi dello sviluppo | Aladin Pensiero
    24 Febbraio 2017 - 09:48

    […] Fernando Codonesu su Democraziaoggi. ALADINEWS ALADIN ALADINPENSIERO DEMOCRAZIAOGGI Territorio ambiente paesaggio: assi dello […]

  • 2 Paolo Erasmo
    24 Febbraio 2017 - 14:02

    Sulle Ex Servitù Militari ,vorrei aggiungere alcune considerazioni molti immobili anche di pregio si trovano nella Città di Cagliari. Giusto un esempio l’ex Deposito dell’Aeronautica un complesso di quasi 15 ettari con oltre 4000 metri di fabbricati non si riesce a renderlo fruibile a quasi 10 anni dalla sua dismissione; eppure la Regione Sardegna ha prodotto la delibera per destinarlo alla “casa del volontariato e del terzo settore” con quali risultati finora….nessuno; in quanto a distanza di un anno e mezzo non si è riusciti a produrre un regolamento che stabilisca la modalità di utilizzo… se la politica e la classe dirigente non cambia passo con interventi più veloci ed efficaci,..la vedo dura parlare di programmazione, nel caso ci siano ulteriori dismissioni di Servitù Militari e le tendenze sono queste rimarranno inutilizzate e in totale abbandono.

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