L’egemonia tedesca e il destino dell’Unione Europea

2 Aprile 2017
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Gianfranco Sabattini

In questi ultimi anni si sta molto discutendo sul problema dell’egemonia tedesca in Europa; lo sostiene Gian Enrico Rusconi, nell’articolo “Berlino, Europa”, pubblicato sul n. 1/2017 de “il Mulino”. I prossimi mesi varranno ad evidenziare “come si confermerà e si esprimerà questa egemonia […]. Si constaterà quanto sia logorato il dilemma sempre ripetuto ‘Germania europea o Europa germanica’ dietro al quale si sono fatti tanti discorsi nominalistici e retorici”.
La “prima variabile decisiva” che varrà a confermare o a sfatare il dilemma saranno le elezioni che si svolgeranno in alcuni importanti Paesi europei, come la Francia e la stessa Germania; molti nutrono fiducia sul fatto che in Olanda, dove la consultazione elettorale si è già svolta e dove il populista e xenofobo Gert Wilders, essendo stato sconfitto, risultando tuttavia il suo partito la seconda forza politica del Paese, il populismo antieuropeo possa essere contenuto, mancando però di considerare che il risultato elettorale olandese non è poi stato “così buono”, come vorrebbero far credere coloro che sperano che la “sconfitta” di Wilders possa fugare la paura di un’implosione dell’Unione da tempo in crisi di identità.
Quel che resta dell’Europa - afferma Rusconi – è un progetto in piena crisi esistenziale ed è facile prevedere che nel corso del 2017 si vada incontro a “un ulteriore approfondimento delle differenze tra gli Stati membri dell’Unione”. Ciò non ostante, tuttavia, la Germania di Angela Merkel sarà tutta presa dal compito di tenere insieme ciò che resta del vecchio progetto di Unione politica del vecchio Continente, “cercando di mantenere i principi e i patti originali sottoscritti da Maastricht in poi”. L’interesse di Berlino, a parere di Rusconi, è “quello di mantenere lo status quo o eventualmente di modificarlo sotto il suo rigoroso controllo”, sebbene questo intento non goda di largo consenso tra le forze politiche al governo del Paese.
Davanti alla crisi di identità dell’Unione, a parere dello stesso Rusconi, queste forze, non del tutto allineate sulle posizioni della Merkel, potrebbero indurre il governo a ritenere conveniente “una morbida forma di disimpegno. Naturalmente con conseguenze ineludibili e costrittive per il resto d’Europa”. Paradossalmente, però, questa forma di disimpegno sarebbe una prosecuzione dell’egemonia della Germania, esprimente la sua capacità di condizionare, più che una sua capacità di “saper guidare”. Ciò perché sarebbe “una risposta o un tentativo di contenimento delle pulsioni anti-europeiste di quel tipo di “populismo” che si esprime in Germania attraverso Alternative für Deutschland (AfD)”, una formazione politica portatrice di valori antieuropei molto diversi da quelli dei quali sono portatrici le formazioni politiche populiste degli altri Paesi: anziché un exit sarebbe la scelta di una “via speciale”, attraverso la quale realizzare una “disarticolazione guidata dell’Eurozona”.
Questa forma di disimpegno, però, sempre a parere di Rusconi, implicherebbe un percorso molto accidentato, dai risultati imprevedibili; ciò perché, come starebbe a dimostrare l’incontro a Coblenza dei rappresentanti dei movimenti populisti europei, in occasione del quale, i vari convegnisti, pur avendo evidenziato a parole una loro convergenza sull’obiettivo di portare fuori dall’Europa i loro Paesi, hanno però fatto emergere anche un’altra “convergenza”: quella di essere portatori di differenti posizioni nazionali. Il che varrebbe a confermare la previsione di Rusconi circa le difficoltà con le quali dovrebbe confrontarsi la Germania nell’ipotesi dovesse prevalere l’idea di percorrere la “via speciale” del suo disimpegno rispetto all’Unione; la sua percorribilità avrebbe a che fare con una “’nuova Europa’ di nazionalismi riabilitati”, che sarebbero sicuramente d’ostacolo al perseguimento dell’obiettivo di una disarticolazione guidata dell’Eurozona.
Inoltre, il possibile disimpegno della Germania dall’Europa non terrebbe conto del fatto che la critica del disegno europeo non è più soltanto retaggio delle sole formazioni politiche populiste, in quanto è diventata un atteggiamento “della gente comune e degli uomini politici altrimenti prudenti e stimati per prudenza e moderazione”; ciò è conseguenza non di una semplice disaffezione, ma di “un crescente risentimento contro ‘l’Europa’ genericamente intesa”, senza alcuna distinzione tra l’Unione politica ed il modo in cui hanno sinora funzionato le istituzioni esistenti e le modalità con cui sinora ha operato la moneta comune.
Quest’ultima, in particolare, cioè l’euro, è sempre più vista con sospetto, per cui tutti gli effetti negativi ad essa imputati dall’immaginario collettivo stanno legittimando e radicando l’idea che sia giunto il momento di “uscire dall’Euro”. A parere di Rusconi, quest’idea si sta diffondendo, nonostante non manchino “contributi ragionati” sul problema dei limiti dell’euro. Questi contributi, però, “non riescono a trasformarsi in ‘cultura politica’ in quel senso classico del termine che sembra essere diventato obsoleto”; è sempre più largo infatti il convincimento dell’opinione pubblica dei Paesi europei che i sacrifici fatti per salvare l’euro nei momenti di maggior pericolo dopo l’inizio della crisi del 2007/2008, non abbiano portato benessere per tutti, ma solo per i tedeschi. La politica del rigore e delle riforme strutturali imposte dalla Germania egemonica, per un numero crescente di cittadini e di politici europei – afferma Rusconi - “non ha funzionato. Ma al momento non si vede una politica operativa alternativa condivisa – al di là del vano lessico della crescita, della flessibilità, ecc.”.
La situazione di crisi persistente ha creato così le condizioni perché crescessero in termini di consenso le formazioni politiche populiste, che tanto spaventano gli establishment europei; il populismo, però, afferma Rusconi, “non è soltanto un hunus culturale generato dalla congiuntura: è anche un modo di immaginare o fantasticare il suo superamento”. Ma proprio a questo proposito, come sta a dimostrare l’incontro dei partiti populisti a Coblenza, per il superamento della congiuntura si propongono “approcci molto diversi”, che in Germania e Francia sono stati plasmati anche dalla xenofobia, radicalizzatasi soprattutto dopo gli episodi terroristici.
In generale, rispetto all’euro, tutte le formazioni populiste vorrebbero “disfarsi della moneta comune”, senza preoccuparsi – afferma Rusconi - “di quello che può accadere a chi non la pensa come loro nel modo e nel metodo di disfarsene”; in altri termini, senza preoccuparsi del fatto che, se i populisti dovessero, ad esempio, prevalere in Germania, in Francia e in Italia, “il risultato sarebbe una crescita esponenziale delle reciproche differenze e ostilità nazionali”, con tutte le conseguenze negative che possono essere facilmente immaginate.
La Cancelliera Angela Merkel, a parere di Rusconi, avrebbe perciò validi motivi di preoccuparsi che ciò possa avvenire; ma dovrebbe anche preoccuparsi che nelle prossime elezioni, che si svolgeranno nel settembre del 2017, il populismo germanico possa uscire vincitore, o quanto meno acquisire una posizione condizionante all’interno dell’intero schieramento delle forze politiche tedesche; tale cioè da rendere impossibile la formazione di una maggioranza governativa che ancora creda nella validità dell’Unione, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico interno. In particolare, sotto questo aspetto, un successo elettorale di AfD potrebbe alterare “l’”intero sistema politico”, in quanto farebbe venir meno quello che Rusconi chiama l’”equilibrio politico tradizionale”, basato sulle due formazioni partitiche popolari CDU/CSU e SPD: da un lato, l’Unione Cristiano-Democratica di Germania (Christlich Demokratische Union Deutschlands) alleata con l’Unione Cristiano-Sociale di Baviera (Christlich-Soziale Union in Bayern); dall’altro, il Partito Socialdemocratico di Germania o Partito Socialdemocratico Tedesco (Zozialdemokratische Partei Deutschlands).
Entrambe queste formazioni politiche hanno retto la Bundesrepublik, concorrendo al riaccreditamento della Germania nel mondo, dopo la sconfitta del nazismo; riaccreditamento che il possibile successo di AfD potrebbe compromettere, con la rievocazione del fantasmi del passato: sia perché AfD, con la sua xenofobia, sta attirando le preferenze di molti elettori dei partiti tradizionali, sia perché, sul piano economico, sta proponendo idee non “lontane” da quelle di alcuni esponenti di rilievo del governo della Merkel, come il rigido ministro delle finanze Wolfang Schäuble. Pur escludendo un’uscita radicale dall’euro, AfD propone la divisione dell’Eurozona tra Nord e Sud, lasciando pensare che gli Stati membri dell’Unione più deboli, come la Grecia, l’Italia, la Spagna e il Portogallo debbano essere estromessi dall’euro.
Il clima di incertezza ora prevalente in Germania giustificherebbe, così, il dibattito corrente all’interno della società tedesca; dibattito che si svolge tra chi è convinto che “i trattati e le procedure messe a punto nei decenni e anni scorsi siano ancora in grado di fare uscire dalla brutta crisi che attanaglia molti Paesi europei (ad eccezione della Germania) e chi invece è convinto che occorra introdurre correttivi e modifiche significativi prima che sia troppo tardi di fronte alla caduta verticale di fiducia dei cittadini”. Ma la classe politica tedesca – si chiede Rusconi – “si rende conto delle sue responsabilità specifiche?” O sarà tentata di percorrere in solitario la sua integrazione nell’economia-mondo? Se si considerano i comportamenti assunti negli ultimi tempi dalla Merkel sul piano internazionale, si direbbe che la politica tedesca è “preda” di una forte contraddizione.
Sul piano interno, fortemente preoccupata del possibile successo elettorale di AfD, la Germania si rende conto di aver bisogno dell’Europa, per non compromettere al cospetto del mondo la propria credibilità politica; mentre sul piano dei rapporti con gli altri Paesi dell’Unione, essa esercita in modo poco responsabile, l’egemonia che le deriva dalla sua forza economica. Da un lato, la Germania “predica” per gli altri la necessità del rigore nella gestione dei conti pubblici, con la giustificazione che ciò sarebbe necessario per il superamento della crisi, al fine di riprendere il processo di unificazione europea; da un altro lato, però, sembra interessata all’Unione unicamente per motivi strumentali, ovvero per salvaguardare da presunte posizioni di forza la non modificabilità delle regole che sinora hanno concorso a rendere forte la sua economia e ad imporre la propria egemonia agli altri Paesi europei.
In presenza di questa incerta situazione, è proprio il caso di dire che, attualmente, la Germania è fortemente condizionata dalla geopolitica globale condivisa, mentre l’esercizio irresponsabile della sua limitata egemonia all’interno dell’area europea la espone al pericolo della perdita della sua identità politica interna, con possibili riflessi negativi sul piano economico a livello internazionale. Per uscire dall’empasse in cui si sta dibattendo, la classe politica tedesca dovrebbe seriamente prendere coscienza delle responsabilità specifiche che si sta assumendo rispetto al progetto europeo; inoltre, evitando ogni possibile tentazione di fuga dall’Europa, dovrebbe, come qualcuno suggerisce, esercitare la sua egemonia, facendo ripartire il processo di unificazione dell’Europa, col coinvolgimento dei principali Paesi membri dell’Unione (possibilmente i sei fondatori, più pochissimi altri), al fine di riproporre su basi nuove l’idea unitaria del vecchio Continente, prima che la vittoria dei populismi faccia suonare le “campane a morto” per l’Europa dei Padri fondatori.

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