Indipendenza in salsa catalana. Meglio la Costituzione

9 Ottobre 2017
2 Commenti


 Andrea Pubusa

Confesso. Sono sorpreso e preoccupato. Se basta un voto “di minoranza”, in un referendum indetto in violazione della Costituzione, per consentire la secessione di una parte del territorio dallo Stato, credo che non abbiamo da dormire sonni tranquilli. Questa sarebbe la prova che le Carte costituzionali, che hanno la superba pretesa di essere stabili perché non aggredibili da leggi ordinarie contrastanti, sono invece ultravulnerabili, perfino nei principi fondamentali, da semplici leggi regionali costituzionalmente illegittime. Basterebbe, che so io?, che un Franciscu e qualche Gavinu o Bainzu o Juanni prendano la maggioranza in Consiglio regionale con queste leggi ipermaggioritarie, già esse stesse anticostituzionali, e prevedessero un referendum senza quorum di validità per riuscire con il 38% degli elettori a far trovare la maggioranza dei sardi senza la Costituzione, nata dalla Resistenza, in balia di qualsiasi avventura istituzionale e politica.
Direte: da noi non è possibile perché la Corte costizionale annulla quella legge e quel referendum. Ma è quanto è avvenuto in Spagna. Chi fa quelle leggi e quei referendum su scala regionale sa che sta forzando il quadro costituzionale e, dunque, non riconosce alcuna autorità alle Corti statali, neanche a quella costituzionale. e dunque va avanti a prescindere.
Si obietta ancora: ma qui in Italia in quei casi è previsto lo scioglimento del Consiglio regionale. Ma anche in Spagna è così, lo dice l’art. 155 della Carta. Ma se tu monti una mobilitazione e non obbedisci cosa succede? Ecco il dilemma: è da preferire un’indipendenza “a minoranza” o la difesa dell’ordine costituzionale? Si tenga conto che le Costituzioni democratiche come quella italiana, ma anche quella spagnola, sono il frutto di storie tragiche, di sanguinose liberazioni da fascismi, guerre interne ed esterne. Sono l’esito di lotte difficili e aspre delle forze democratiche contro quelle reazionarie. Che queste Carte abbiano creato ordinamenti di accettabile democrazia è fuori discussione. Certo, si può auspicare un maggiore autogoverno, una forma federale anziché regionale. Bisogna però tener conto che oggi queste Carte sono sotto attacco, proprio per il loro carattere popolare, da parte di potenti forze economiche e finanziarie globali. Queste forze vedono negli Stati e nelle loro Carte democratiche un ostacolo alla loro necessità di sregolatezza. Non tollerano i diritti fondamentali e la sovranità popolare. Ecco perché le vogliono scardinare. Per avere mano libera.
La partita dunque è complessa. Non è in gioco la libertà dei catalani, fra l’altro non rivendicata da un accettabile referendum, ma la permanenza di una Carta costituzionale democratica in un paese di recenti tragedie.
Devo anche dire che mi sorpende la simpatia verso l’indipendenza catalana di forze e media che non più di un anno fa cantavano le lodi della modifca costituzionale di Renzi, che le autonomie locali italiane le affossava. Non è che costoro stiano sempre dalla parte di chi rompe la Costituzione?
Un altro punto dev’essere chiaro: in senso tecnico-giuridico e anche politico quella dei dirigenti catalani è una rivoluzione, ossia un’azione contro la Carta costituzionale e l’ordinamento vigente, per creare una situazione nuova. Ma dev’essere altrettanto chiaro che così la soluzione della vicenda viene rimessa non al diritto, ma alla forza. Il pericolo è non solo l’applicazione dell’art. 155 Cost. (scioglimento dell’Assemblea catalana), ma anche dell’art. 116 che prevede lo stato di eccezione e lo stato d’assedio. La manifestazione di un milione di persone a favore dell’unità, lascia intendere che lo scontro può degenerare anche a livello civile. Insomma, la cosa può buttare male. Abbiamo visto lo sfascio di altri stati in Europa e fuori, ma al momento non hanno portati nulla di buono sopratutto per i ceti popolari. Abbiamo visto anche soluzioni senza forzature, in armonia. E sono andate meglio. Alle autorità catalane sarebbe bene chiedere un po’ di pazienza in più. Quel serpentone di cittadini contrari all’indipendenza di ieri sono un monito. In questa situazione forzare la mano con una decisione referendaria “a minoranza”, non sembra saggio. E neppure utile alla libertà dei catalani e degli spagnoli. E neppure alla nostra.

2 commenti

  • 1 Oggi lunedì 9 ottobre 2017 | Aladin Pensiero
    9 Ottobre 2017 - 07:56

    […] Indipendenza in salsa catalana. Meglio la Costituzione. 9 Ottobre 2017 Andrea Pubusa su Democraziaoggi. […]

  • 2 aldo lobina
    9 Ottobre 2017 - 10:40

    Le sue considerazioni sono ineccepibili. Però, poiché nulla e’ eterno, neanche le Costituzioni, esse devono recepire nel loro articolato la possibilità reale di cambiamenti che possano minare il dogma della unità degli stati, quando una parte considerevole di cittadini con voto libero e responsabile decida di metterlo in discussione. Si tratta di concepire norme che rendano possibili i divorzi, senza violenze e spargimenti di sangue.
    Certo la stabilità degli Stati è un interesse generale che va salvaguardato contro le facili defezioni che portano disordine sociale. Se il Parlamento della Catalogna ha abusato delle sue prerogative, volendo forzare l’ordinamento che giustifica la sua stessa esistenza, ha compiuto un atto rivoluzionario. Quando le rivoluzioni falliscono gli artefici vengono demonizzati e puniti. Se vincono sono considerati in un certo senso eroi.
    Comunque il patto sociale che, partendo dai piccoli comuni, primo nucleo di organizzazione sociale, si estende a territori più vasti come regioni e stati, evidentemente deve essere riscritto e di comune accordo con regole democratiche.
    Ragioni storiche, politiche e giuridiche (che vengono evidentemente per ultime a sancire le clausole degli accordi) stanno alla base della convivenza civile dei popoli. Se la nazione Catalana vorrà riprendersi la sua indipendenza, coi suoi confini materiali e immateriali, dovrà poterlo fare, ma passando per le regole scritte o pretendendo che siano introdotte norme che traccino un cammino di secessione libero e democratico.

    Risposta

    Tutto si modifica anche le Costituzioni, che sono evidentemente il prodotto della storia. Ergo Catalani, Baschi ed altri possono staccarsi dalla Spagna, così come lombardi, veneti, siciliani e sardi dall’Italia. Sarebbe bene però che ciò avvenisse almeno “a maggioranza”. Da questo punto di vista mi lascia sconcertato un referendum palesemente contra conistitionem senza quorum di validità. E gli altri catalani non contano? Certo, sul piano rivoluzionario, non contano le regole ma solo i fatti. Ma se si butta la questione su questo terreno sono giustificate tutte le reazioni e il pericolo di uno scontro civile è molto probabile. I manifestanti di domenica contro quelli dei giorni precedenti, più i sostenitori degli uni e degli altri. E l’esercito? Starà a guardare? E le milizie catalane rimarranno in caserma? Tanti focolai di un incendio che può trasformarsi in tragedia. Lo scenario non mi sembra promettente. Da un iter indipendentista così maldestramente gestito dalle autorità catalane non vedo alcuna prospettiva utile per i lavoratori catalani e spagnuoli (e neanche per noi italiani). Mi sembra una forzatura sul piano giuridico e - si badi - anche in fatto. Ma può darsi che sbagli.

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