Quel che c’è di buono e quello che manca all’elenco di Fraccaro

23 Settembre 2018
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Questo articolo di Villone si segnala non solo per la sua acutezza, abituale in lui, ma perché entra nel merito delle proposte del ministro Fraccaro, mettendo in evidenza luci ed ombre, senza pregiudizi.

Il vicepresidente del consiglio Di Maio attacca il ministro Tria a testa bassa, il sottosegretario Giorgetti lo difende senza sforzarsi troppo. Questo il copione. Il leader M5S plaude al recupero attraverso il taglio di 345 parlamentari di cento milioni (all’anno) [v. nostro post sul punto]. A ricordare i conti renziani, si può dubitare che siano meno. In ogni caso, il risparmio partirà dalla prossima legislatura, mentre i soldi servono qui e ora. A meno che – come oggi è di moda – la modifica non si applichi retroattivamente alle elezioni del 4 marzo, magari con una grande riffa per vedere chi perde lo scranno.
Il taglio è tra le proposte di riforma del ministro Fraccaro, in via di presentazione con alcuni ddl formalmente di iniziativa parlamentare. Si sopprime poi l’art. 99 Cost. sul Cnel, si portano alla Corte costituzionale le cause di ineleggibilità e incompatibilità dei parlamentari, si cancella il quorum strutturale per il referendum abrogativo, si introduce quello propositivo. Solo quest’ultimo può considerarsi una (relativa) novità, e va attentamente considerato. Le altre proposte sono già state in passato ampiamente discusse.
Nell’insieme, il giudizio è positivo. Qualcuno teme che dare più spazio al voto popolare diretto può favorire il populismo, e indebolire ancora la democrazia rappresentativa. Ma oggi, nel tempo di partiti evanescenti, di internet e dei social, può al contrario essere in sinergia con la democrazia rappresentativa, in specie contrastando la fake democracy alla Casaleggio & C. Potrebbe altresì superare qualche paletto dei molti – forse troppi – posti dalla stessa Corte costituzionale a presidio del referendum abrogativo.
Qualcosa manca nella lista di Fraccaro. Ad esempio, anticipare il giudizio della Corte costituzionale al raggiungimento di un certo numero di firme (100000?), riducendo oneri organizzativi e costi per i promotori nel caso di inammissibilità. Ancor più – e sembra sia allo studio del ministro – semplificare radicalmente la raccolta delle firme, che pone oggi gravi e inutili ostacoli burocratici all’iniziativa referendaria.
Ma soprattutto rimane fuori dalla lista di Fraccaro la madre di tutte le riforme, assai più rilevante di quelle da lui proposte: l’attribuzione di una più ampia autonomia e di maggiori risorse a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. È la “secessione dei ricchi” di cui ho già scritto, sequela dei referendum leghisti nel lombardo-veneto del 2017. Vicenda nata male, gestita peggio dal governo Gentiloni dimissionario, ora affidata alla ministra (leghista) Stefani. Procede sottotraccia. Il Veneto chiede maggiore autonomia per tutte le 23 materie di potestà legislativa concorrente. Suscitando l’ira di Zaia, il sottosegretario Buffagni (M5S eletto a Milano) dice no, e si orienta per 15. Tante sono le materie richieste dalla Lombardia di Maroni. Un derby tra due progetti leghisti: il veneto e il lombardo.
Salvini vuole al più presto un accordo tra le regioni e la ministra, per farlo poi passare in consiglio dei ministri come attuazione del contratto, presentare un ddl governativo per l’approvazione parlamentare a maggioranza assoluta richiesta dall’art. 116 Cost., pretendere il voto favorevole per vincolo di maggioranza. Magari con uno scambio: io approvo le tue riforme (quelle di Fraccaro), tu approvi la mia (autonomia). Una scommessa importante da chiudere rapidamente, anche come ottima carta per le europee.
Se Salvini vincesse, gli assetti del paese sarebbero profondamente modificati, e in modo tendenzialmente irreversibile. Per cambiarli di nuovo sarebbero richieste l’iniziativa e l’intesa da parte della regione. Così, se una regione avesse acquisito un vantaggio a danno di altre, si potrebbe rimediare solo con il suo consenso. È poi illusorio pensare che la maggiore autonomia di alcune regioni sia a costo zero, come afferma la Stefani. Produrrà invece moltiplicazione di strutture e aumento di spesa. E di sicuro non è – per come sta nascendo – nell’interesse del Mezzogiorno. Non sarà certo così che Campania e Sicilia perderanno il primato europeo dei neet. Ricordiamo a Di Maio che per M5S ci sono partite altrettanto cruciali del reddito di cittadinanza.
Su Tria può darsi sia in onda una versione governativa del poliziotto buono e di quello cattivo. Ci dispiacerebbe dover pensare non ai due poliziotti, ma alle barzellette sui carabinieri.

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