Rettore: scuse per le leggi razziali e dimenticanze

30 Novembre 2018
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Andrea Pubusa dell’Università di Cagliari

L’Ateneo ha reso omaggio ai docenti espulsi nel 1938 in seguito alla promulgazione delle leggi antisemite, ma ha dimenticato i docenti che rifiutarono il giuramento al regime. Uno di loro, Mario Carrara, aveva insegnato Medicina legale a Cagliari dal 1898 al 1903, e fu un antifascista militante di Giustizia e Libertà, perseguitato e incarcerato.

il rettore dell universit di cagliari maria del zompo (archivio l unione sarda)
Il rettore dell’Università di Cagliari Maria del Zompo (archivio L’Unione Sarda)

 

In memoria delle leggi razziali italiane, volute dalla dittatura fascista e firmate dal re Vittorio Emanuele III il 5 settembre 1938, il rettore, a nome dell’Università di Cagliari, riconoscendo la responsabilità dell’ateneo per gli atti che videro il mondo accademico inerte e complice verso le scelte del regime, che giunsero all’emanazione delle leggi razziali, chiede ufficialmente scusa alle famiglie dei docenti allontanati dall’insegnamento universitario nel 1938 Doro Levi, Alberto Pincherle e Camillo Viterbo“.
Sono le parole con cui il rettore Maria Del Zompo e l’Università del capoluogo, a 80 anni dalle leggi razziali, hanno reso omaggio ai docenti espulsi dall’Ateneo in seguito alle leggi razziali e antisemite volute dal regime fascista.
Totale plauso all’iniziativa. Solo una precisazione, per verità storica. Si confondono spesso le espulsioni, come in questo caso, col rifiuto di giuramento, che è ben altra cosa. Chi è stato espulso aveva prestato giuramento di fedeltà al fascismo e così ha mantenuto la cattedra, da cui è stato poi allontanato, se ebreo, a seguito delle insulse leggi razziali del 1938. Chi ha rifiutato il giuramento al regime è stato escluso per la sua dichiarata incompatibilità col fascismo. Sono due cose molto diverse e andrebbero sempre ricordate. La Rettora, per esempio, avrebbe dovuto mettere al primo posto nel suo omaggio il prof. Mario Carrara. che ha insegnato Medicina legale a Cagliari dal 1898 al 1903, prima di passare all’Università di Torino. Carrara fu uno dei 12 prof. che rifiutarono il giuramento e venne espulso dall’Universita’ nel 1931.

Per rimediare alle dimenticanza del Rettore, ecco una breve nota sulla opposizione di Carrara al fascismo, tratta da Wikipedia:
“Grazie alla sua attività di medico delle carceri torinesi, Carrara ebbe modo di conoscere durante gli anni 1920 molti oppositori del fascismo; quando suo cognato Guglielmo Ferrero fu costretto all’esilio, la sua famiglia divenne un punto di contatto tra gli antifascisti torinesi e quelli fuggiti all’estero, avvicinandosi agli ambienti torinesi di Giustizia e Libertà.
Nell’autunno del 1931, i docenti universitari furono obbligati a prestare un giuramento di fedeltà al fascismo; soltanto in 12 si rifiutarono,[2] perdendo la cattedra e il lavoro. Mario Carrara fu uno di questi, e venne escluso da tutte le cariche pubbliche. Nella primavera del 1935 la sua casa fu perquisita nell’ambito dell’operazione che portò all’arresto di Vittorio Foa e Massimo Mila; nell’ottobre 1936 fu arrestato per attività contro il regime fascista, e solo la sua età avanzata lo salvò dal confino. Detenuto alle carceri Nuove di Torino, dove continuò a lavorare al suo Manuale di medicina legale, morì nel giugno successivo. È sepolto nel Cimitero monumentale di Torino.

Ecco i nomi dei 12 prof. che rifiutarono il giuramento e per questo furono allontanati dalla Cattedra: nella minuscola schiera figurano tre giuristi (Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto), un orientalista (Giorgio Levi Della Vida), uno storico dell’antichità (Gaetano De Sanctis), un teologo (Ernesto Buonaiuti), un matematico (Vito Volterra), un chirurgo (Bartolo Nigrisoli), un antropologo (Mario Carrara), uno storico dell’arte (Lionello Venturi), un chimico (Giorgio Errera) e uno studioso di filosofia (Piero Martinetti). “Nessun professore di storia contemporanea, nessun professore di italiano, nessuno di coloro che in passato s’erano vantati di essere socialisti aveva sacrificato lo stipendio alle convinzioni così baldanzosamente esibite in tempi di bonaccia“, lamentò l’esule Salvemini, il più sanguigno tra i censori dei firmatari.

 

 

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