Sardegna. Energia alternativa e processo di reindustrializzazione

22 Novembre 2019
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Gianfranco Sabattini

Dopo gli interventi di Fernando Codonesu e Tonino Dessì, proseguiamo la riflessione sulla metanizzazione e le prospettive della Sardegna con questo intervento di Gianfranco Sabattini, autorevole economista dell’Università di Cagliari.

Al di là di tutte le argomentazioni tecniche, economiche e politiche condivisibili, gli interventi su questo Blog di Fernando Codonesu dell’11 e di Tonico Dessì del 20 u.s, non sono, a mio parere, sufficientemente contestualizzati; nel senso che tutte le loro valutazioni mancano di essere riferite all’obiettivo in funzione del quale dovrebbe essere espresso il si oppure il no in pro della metanizzazione dell’Isola.
Si capisce che le forze sociali tendono, come osserva Dessì, a difendere la metanizzazione in sé, per la prospettiva che essa apre all’impiego di risorse lavorative e imprenditoriali, per via dell’impatto che la metanizzazione determinerebbe, per un certo tempo, sul miglioramento del reddito disponibile della popolazione isolana, indipendentemente dal fatto che quel miglioramento dipenda dal trasferimento di aiuti dall’esterno, piuttosto che dall’aumento della ricchezza prodotta stabilmente all’interno dell’Isola.
Da quest’ultimo punto di vista, perciò, ogni nuova opzione infrastrutturale dovrebbe essere accompagnata da un progetto di reindustrializzazione della Sardegna, in alternativa a quella attuata negli anni passati, rivelatasi fallimentare (sui motivi del fallimento in Sardegna si discute poco e, per lo più, sulla base di “narrazioni” contrastanti e soggettive), in quanto al progetto originario di industrializzazione ha fatto seguito solo “processo di indusrtrializzazione senza crescita”, che ha sostanzialmente dato luogo a disuguaglianze distributive sul piano sociale, settoriale e personale, che hanno reso ancor più problematica l’inaugurazione di una politica pubblica di crescita (quantitativa e qualitativa) dell’Isola, di quanto non sia stata quella inaugurata all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso.
Partendo da questa constatazione, sarebbe opportuno che, d’ora in avanti, la rivendicazione di “compensazioni e incentivazioni” connesse alle specifiche condizioni dell’Isola siano associate ad un nuovo progetto di intervento che risulti realmente compatibile con il rilancio di una possibile crescita economica, fondata sulla valorizzazione delle risorse locali, all’interno del contesto istituzionale ed economico esistente.
Ora, si da il caso che, se l’esprimersi a favore della metanizzazione risponde all’esigenza di un maggior impiego temporaneo di risorse lavorative e imprenditoriali regionali, la sua mancata giustificazione in funzione di una reindustrializzazione della Sardegna (secondo la prospettiva indicata da Dessì) nega la validità di ogni valutazione in pro della metanizzazione, in quanto manca di non cogliere le opportunità alternative offerte obbiettivamente dalle tendenze del mercato, che evidenziano una crescita della domanda di particolari categorie di servizi, quali ad esempio quelli turistici, rivelatisi per l’Isola una dei pochi comparti produttivi che, oltre a risultare attrattivo di investimenti esterni, tende ad esprime una domanda crescente, che può essere assunta come variabile strategica in funzione della quale decidere le linee della reindustrializzazione fondata sul supporto - come giustamente afferma Dessì – di settori competitivi “in produzioni non totalmente condizionate dalla fisicità insulare”, e connotati da “processi non inquinanti, nonché dalla diffusione indotta di attività produttive di piccola e media dimensione, quali le attività manifatturiere agro-alimentare, agro-zootecniche, edilizie ed altre attività sostenibili e di qualità; tutte non elettro- ed idro-esigenti.
Di conseguenza, se si tiene conto delle osservazioni si qui formulate si deve concludere che la metanizzazione dell’Isola non serve, perché la Sardegna attualmente produce più energia di quanta ne consuma, mentre i vecchi comparti industriali elettro-esigenti hanno un consumo di energie da tempo in fase calante; perciò, le risorse esterne potenzialmente ottenibili, anziché alla metanizzazione, sarebbe bene indirizzarle verso la produzione di “energia alternativa pulita”, al ricupero delle aree (soprattutto costiere e paesaggistiche) compromesse dalla passata politica di “industrializzazione senza crescita” fallita e, nei limiti di una progettualità politica della quale dovrebbe disporre l’attuale gruppo dirigente della politica isolana, all’inaugurazione di una politica di sostegno sociale della disoccupazione, per il tempo necessario all’avvio del processo di reindustrializzazione.
Sarebbe questo un approccio alla progettazione del futuro dell’Isola che varrebbe a sottrarre i sardi ad essere costretti a vivere di continuo di aiuti e ad inventare ricorentemente nuovi motivi per ottenerne di nuovi. Non sarebbe questa una prospettiva in grado di assicurare alla Sardegna un possibile futuro auspicabile.

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