Carbonia. L’ACaI e i monopoli

29 Dicembre 2019
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Gianna Lai

 

Continuiamo la narrazione domenicale della storia delle origini di Carbonia. Il primo post domenica 1° settembre.

Risale al 1935 la nascita del Commissariato generale per le fabbricazioni di guerra, un’economia di forte sostegno, dicono gli storici,  alla grande industria e all’alta finanza: i tempi sono quelli favorevoli al rafforzamento degli istituti di assicurazione sociale INA, INFPS, INFAIL, i tre grandi istituti assicurativi statali. Che ‘arrivano a riscuotere fino a due miliardi  annui di lire, tra contributi e provvidenze assicurative’, assumendo sempre più la fisionomia di grandi finanziatori dei trust industriali, ‘anche in funzione, come sostiene Pietro Grifone,  della produzione necessaria all’intervento e per i rifornimenti del regime fascista spagnolo’.  Dal 1937, una volta trasformata anche la Banca d’Italia in ente pubblico e centro di tutta la attività creditizia, capitale finanziario, gruppi industriali e IRI, operando una ulteriore concentrazione monopolistica,  rafforzano i cosidetti settori chiave,  estrattivo, metalmeccanico, petrolifero, chimico, idroelettrico, per la costruzione di armi, navi da guerra e per potenziare ferrovia, aereonautica e marina mercantile, in funzione di un loro uso bellico. Potenziare un’economia ’statale e parastatale’, come diceva Mussolini nel suo intervento  all’assemblea generale delle corporazioni, gestita insieme dai privati e dalle corporazioni, in vista del rafforzamento della  ricerca e dell’uso di materie prime nazionali: attraverso la Commissione suprema dell’autarchia, nell’ottobre del 1938,  e del Comitato interministeriale per l’autarchia, subito dopo, secondo Pietro Grifone ‘un vero e proprio gabinetto di guerra’.
I tempi sono quelli della formazione dei grossi gruppi industriali,  Snia Viscosa, Montecatini, il colosso Montecatini, che si tiene a distanza dall’avventura carbone nazionale, pur dominatore incontrastato della restante produzione del sottosuolo italiano, compresa la miniera di lignite a Ribolla, nella Maremma toscana, acquistata negli anni della Prima Guerra mondiale. Ed essendo in possesso delle  miniere  di pirite, rame, piombo, zinco, bauxite e relative aziende di trasformazione, fino al processo di distillazione del carbone e del catrame, ottenuto grazie all’uso di tecniche, le più avanzate,  nei suoi laboratori. Più forte la Montecatini, durante il fascismo,  come industria  chimica, avendo il monopolio dei fertilizzanti e delle fibre artificiali, e facendo parte dell’ANIC, Azienda Nazionale Idrogenazione Carburi, capitali statali e Montecatini, per lo sfruttamento  degli idrocarburi della valle Padana, in parallelo con l’azienda statale AGIP. Una sperimentazione, quella dell’ANIC, basata su costosissimi processi per la produzione, attraverso la idrogenazione dei combustibili, di benzina e dei suoi sottoprodotti.
Sono i tempi in cui  si affermano, al Nord, quei complessi di eccezionale potenza produttiva nei settori elettrico, siderurgico  e chimico, quasi del tutto escluso dai nuovi processi economici il Sud, i quali, avendo assorbito le piccole e medie aziende, pur senza  rinnovo alcuno degli impianti industriali, e potendo contare sulle provvigioni statali,  gestiscono da questo momento in poi, in condizioni di assoluto monopolio, risorse e mercati nell’intero Paese. Mentre si poneva, ‘grazie alle altissime protezioni e alla politica autarchica, un freno al progresso tecnico, permettendo con gli alti prezzi la sopravvivenza di una serie di impianti poco efficienti, garantiti dalla assegnazione di determinate quote della domanda’, come spiega con grande chiarezza Rosario Romeo.
Il processo di concentrazione industriale e finanziaria delle imprese avanza dapertutto,  Francia, Germania, ecc.: qui da noi, secondo un disegno reso possibile dalla costruzione dello Stato corporativo, in vista di  un’economia regolata e disciplinata dallo Stato. Incoraggiati  dal protezionismo e dalla legislazione governativa, sopratutto a seguito delle particolari esenzioni fiscali alle imprese, ai rimborsi dei dazi doganali, alla riduzione delle tariffe di energia elettrica,  si rafforzano i grossi gruppi industriali.  Mentre il Tesoro interviene nel salvataggio di banche e di interi settori produttivi colpiti dalla crisi, esercitando una compressione ferrea sulle masse lavoratrici; ‘un  pesantissimo fardello’, per citare ancora Rodolfo Morandi, a spese cioè di  stipendi e salari, già ridotti del 13% nel novembre del 1930. A spese del risparmio privato, cui si attinge col prelievo di massicci capitali, un vero rastrellamento, secondo Enzo Santarelli, ‘IMI e IRI ‘il più efficace strumento della politica autarchica e di guerra, a partire dal 1933′. Finanziando industrie e liquidandone passività, l’IRI diviene istituzione stabile, i più cospicui investimenti attraverso i suoi canali, il capitale finanziario ormai deciso a scaricare ogni rischio sullo Stato, ‘che rileva una congerie di intraprese industriali e creditizie per gestirle con i criteri [……] che ancora oggi sono vera materia di scandalo’,  come denuncia Rodolfo Morandi.  ‘Alle dipendenze dell’IRI, la Terni, l’Ilva, la Siac (ex Ansaldo) e le officine di Dalmine, cioé quasi tutta l’industria pesante; e le principali società di navigazione, i principali cantieri navali, e la SIP, l’Unes, ecc.’. Per il potenziamento del settore siderurgico la FINSIDER,  nuova società finanziaria affiliata anch’essa all’IRI, ma, nonostante tutto l’impegno profuso dal regime,  ‘nonostante i progressi compiuti negli anni della ripresa e del rilancio dell’industria pesante, il ritardo dell’apparato produttivo nazionale ai fini della preparazione bellica  appariva ancora notevole’, così  ribadisce di nuovo  Enzo Santarelli.
Una gestione  ‘a capitale statale e privato’, finanzieri e industriali, gli utili in netta ascesa, mantengono inalterate le loro proprietà,  in favore di una politica tutta spinta verso il riarmo. Le spese militari, dai 650 milioni del primo decennio del secolo ai 5 miliardi del 1930, così riferisce Mussolini  al Senato, come si può leggere in Enzo Santarelli. Il capitale finanziario viene in tal modo a trovarsi ‘nella condizione ideale di poter scaricare su questa ibrida gestione (che non è di Stato ma solo a spese dello Stato) i sovracosti e i sovraprofitti di una produzione via via artificialmente forzata in tutti i rami principali di attività, sulle linee di quella augusta politica imperiale che ci precipiterà alla fine nel baratro’, per riportare il chiaro giudizio di Rodolfo Morandi.  E gli esiti non avrebbero tardato a manifestarsi, ripresa effimera di alcuni settori, grazie a ordinazioni militari e commesse statali, a scapito della produzione  legata ai consumi civili,  con crescita smisurata di profitti a favore di armatori, appaltatori di opere pubbliche e compagnie commerciali, per lo sfruttamento delle nuove terre: così il deficit di bilancio, a causa in particolare delle spese di guerra,  sale fino a oltre 13 miliardi di lire, dovendo il governo ricorrere principalmente ai debiti e all’inflazione monetaria, ‘per fronteggiare l’aumento enorme delle spese’.
L’IRI e le banche a garantire i necessari finanziamenti agli industriali, le commesse statali l’unico vero mercato interno che si rispetti: ‘Dittatura capitalistica, corporativismo e autarchia, denuncia  Rodolfo Morandi,  hanno allevato una ‘industria malata, un sistema industriale minato dalla tabe ereditaria di un’economia nazionale di arretratezza e di miseria’. Abolita la Camera dei deputati, nel gennaio del ‘39, sarà d’ora in poi la Camera dei  fasci e delle corporazioni a decidere sull’andamento dei nuovi impianti industriali, dei prezzi e della misura di salari e stipendi. Si consolidano in tal modo i legami tra governo e grande industria, divenuta ormai la più valida alleata del regime nell’avventura fascista che porta alla guerra, mentre Hitler già invade la Cecoslovacchia, seguito, subito dopo, ‘per bilanciare i successi dell’alleato tedesco’, da Mussolini in l’Albania. Accomunate Italia e Germania dalla legislazione razziale, si va verso la stipulazione del Patto d’Acciaio del maggio 1939, che implica l’immediato intervento militare di una delle parti contraenti, nel caso che l’altra si trovi ‘implicata in operazioni belliche con una o più potenze’.

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