Disuguaglianza distributiva e presunta stabilità economica e sociale

7 Marzo 2020
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Gianfranco Sabattini

Mai in passato la disuguaglianza distributiva tra i vari gruppi sociali di ciascun Paese, ma anche quella tra i singoli Paesi, aveva raggiunto i livelli attuali. Il fenomeno ha assunto degli aspetti che hanno dell’inverosimile; come ricorda Walter Scheidel (docente di Storia antica alla Stanford University) in “La grande livellatrice. Violenza e disuguaglianza dalla preistoria ad oggi”), il patrimonio individuale più consistente negli USA è ora pari a circa un milione di volte il reddito familiare medio annuo, venti volte più di quanto non fosse nel 1982; ciononostante – continua Scheidel – “gli Stati Uniti potrebbero perdere terreno rispetto alla Cina, che si dice essere la patria di un numero ancora più grande di miliardari in dollari [rispetto al numero dei miliardari americani], malgrado il suo PIL nominale notevolmente inferiore”.
Ciò, tuttavia, non significa che i ricchi siano diventati sempre più ricchi; la disuguaglianza distributiva presenta anche altri aspetti singolari. Contemporaneamente all’approfondirsi del fenomeno, la ricchezza è oggi meno concentrata di quanto non lo fosse, ad esempio, nel 1929; mentre in Inghilterra, alla vigilia della Grande Guerra, il 10% delle famiglie più ricche possedeva il 92% di tutta la ricchezza privata, oggi la loro quota supera di poco la metà.
Malgrado i livelli raggiunti dalla disuguaglianza distributiva, questa ha una storia molto lunga, la cui dinamica ha subito nel tempo profondi cambiamenti, delle cui cause, nonostante l’attenzione rivolta al fenomeno da schiere di studiosi di ogni epoca, si conosce molto meno di quanto ci si potrebbe aspettare. E’ questo il motivo per cui le crescenti disparità di reddito e ricchezza che si registrano oggi nel mondo hanno rilanciato lo studio della disuguaglianza nel lungo periodo; ciononostante - afferma Scheidel – continua a mancare “una percezione adeguata del quadro generale”, per via del fatto che ancora non è stata condotta “un’indagine globale che copra l’ampio arco della storia osservabile. Una prospettiva interculturale, comparativa e a lungo termine è essenziale per la comprensione dei meccanismi che modellano la distribuzione del reddito e della ricchezza”.
Se si considera il fenomeno della disuguaglianza distributiva nella sua dinamica temporale, tenendo conto che il suo affermarsi ha richiesto l’accesso a un quantitativo di risorse oltre il minimo necessario per conservarsi in vita, occorre prendere atto che le eccedenze esistevano già decine di secoli fa, così come esisteva la disponibilità “degli esseri umani a condividerle in modo sperequato”. Ciò che ha consentito la formazione delle eccedenze è stata la rivoluzione agricola (occorsa circa 10.000 anni fa), che ha spinto gli uomini che vivevano di “caccia e raccolta” verso forme primitive di organizzazione sociale, che hanno consentito la creazione di ricchezza secondo una scala del tutto nuova. In questo modo – secondo Scheidel – “la crescente e persistente disuguaglianza [è divenuta] una caratteristica distintiva dell’Olocene” (cioè dell’era geologica nella quale vive attualmente l’umanità).
L’addomesticamento di piante e di animali (cioè il processo attraverso cui il ciclo di vita di una specie vegetale o animale è stato reso dipendente dal controllo esercitato su di esso dall’uomo) ha permesso di accumulare e di preservare risorse produttive, stimolando nel contempo un lento processo di formazione di norme sociali che ne hanno regolato la distribuzione. In queste condizioni, la distribuzione del reddito e della ricchezza è stata plasmata da una varietà di esperienze, quali le dinamiche produttive, le scelte di consumo e di investimento, l’andamento dei raccolti, le condizioni di salute, le strategie matrimoniali ed altre ancora. Accumulandosi nel tempo, le conseguenze di tali esperienze hanno favorito, nel lungo periodo, la formazione di ineguaglianze individuali sul piano distributivo.
In linea di principio, osserva Scheidel, le istituzioni sociali che disciplinavano la vita in comune avrebbero potuto eliminare, o quanto meno contenere, le disparità distributive; in pratica, però, “l’evoluzione sociale [ha prodotto] generalmente l’effetto opposto”; ciò perché l’addomesticamento delle fonti alimentari ha comportato anche quello delle persone, in quanto l’organizzazione sociale, che aveva consentito all’uomo di abbandonare la vita erratica della dedizione alla caccia e alla raccolta, ha comportato l’instaurazione di rigide “gerarchie di potere e stringenti modalità di coercizione che [hanno distorto] le opportunità di accesso al reddito e alla ricchezza”.
La conseguente disuguaglianza sociale e politica ha rafforzato e ampliato la disuguaglianza economica, che è diventata il carattere distintivo della società nata con la rivoluzione agricola; all’interno di tale tipo di società, per tutto il tempo in cui il suo carattere agricolo si è conservato, l’arricchimento di pochi è avvenuto a svantaggio di molti. Di conseguenza, nelle società premoderne, la disuguaglianza distributiva è cresciuta fuori ogni controllo, consolidando “gli eccessi appropriativi perpetrati da piccole élite in condizioni di bassa produzione pro capite e di minimi livelli di crescita”.
Col sopraggiungere dell’età moderna, l’urbanizzazione, le innovazioni finanziarie e lo sviluppo dell’industriale e del commercio hanno messo in crisi la fonte tradizionale di arricchimento delle élite, che era fondata sulle rendite connesse all’esercizio del potere, ma successivamente sostituite dai guadagni conseguiti dai possessori di capitali; per cui anche se le norme sociali e politiche che avevano presieduto precedentemente ai processi di appropriazione e di distribuzione della ricchezza sono cambiate, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza è rimasta comunque elevata.
Per migliaia di anni, le organizzazioni sociali che si sono susseguite non hanno mai manifestato la tendenza a perequare la maldistribuzione dei beni materiali; la stabilità politica ha avuto l’effetto di favorire il consolidarsi della disuguaglianza economica e il protrarsi di meccanismi che hanno di continuo alimentato il suo approfondimento. Nell’arco della storia documentata – sostiene Scheidel – i momenti di perequazione più marcati “sono stati invariabilmente il risultato” del verificarsi di potentissimi shock, che hanno dato luogo a “rotture violente” del risultato dei processi di disuguaglianza distributiva; egli individua quattro diversi tipi di queste rotture, denomindoli i “Quattro Cavalieri del livellamento” (simili alle loro controparti bibliche, che hanno “tolto la pace dalla terra”): tali sono state le guerre con mobilitazione generale della popolazione, le rivoluzioni trasformative interne alle singole società, le cadute degli Stati e la pandemie letali.
Solo specifici tipi di guerra hanno attenuato la disuguaglianza; la maggior parte di esse, infatti, non ha avuto un effetto profondo sulla distribuzione delle risorse. Per perequare le disparità di reddito e di ricchezza è stato necessario che le guerre coinvolgessero le società intere, “mobilitando persone e risorse secondo una scala che spesso era alla portata solo degli Stati-nazione moderni”. Gli shock delle guerre totali moderne hanno dato origine – afferma Scheidel – “a quella che è nota come ‘Grande compressione’, un’enorme attenuazione delle disuguaglianze di reddito e ricchezza avvenuta nei paesi sviluppati”; essa è stata per lo più concentrata nel periodo compreso tra la Grande Guerra e la fine del secondo conflitto mondiale, richiedendo quindi un arco di tempo di diversi decenni, per il suo completo compimento.
Le due guerre mondiali che si sono svolte nella prima metà del secolo scorso hanno generato il secondo “Cavaliere”, cioè la forza livellatrice delle rivoluzioni trasformatrici espresse dai conflitti interni ai singoli Stati. Il tipo di perequazione distributiva causato dai conflitti interni, così come il livellamento prodotto dalle guerre con mobilitazione totale di persone e risorse, è stato un fenomeno del XX secolo; la violenza di tale tipo di rivoluzioni ha avuto la capacità di suscitare la comparsa del terzo “Cavaliere”, cioè la distruzione completa degli Stati nei quali le rivoluzioni traformatrici si sono verificate. Guerre totali, rivoluzioni e distruzione degli Stati hanno avuto in comune la violenza, attraverso la quale, mentre veniva realizzata la ridistribuzione del reddito e della ricchezza, veniva anche ricostruito un nuovo ordinamento giuridico e sociale.
Oltre che per volontà umana, la violenza perequatrice è stata talvolta prodotta, che in passato hanno distrutto intere società, “con più forza di quanto avrebbero potuto sperare anche i più grandi eserciti o i più ferventi rivoluzionari”. Le pandemie letali, ad esempio, hanno spesso integrato l’azione dei “Quattro Cavalieri”, con un effetto livellatore altrimenti impossibile. Solo in età contemporanea, le guerre totali, le rivoluzioni trasformatrici e le pandemie sono state tendenzialmente sostituite da azioni politiche riformatrici, che hanno avuto successo solo quando ad esse si è associato il pericolo del sopravvenire della violenza.
I risultati dell’attività riformatrice, però, non sempre hanno condotto ad esiti perequativi sul piano distributivo. Inoltre, in età contemporanea, non esistono prove univoche che la crescita economica e la democrazia possano consentire di ridurre la disuguaglianza, o quantomeno non esistono prove, a parere di Scheidel, che le attività riformatrici pacifiche possano permettere di raggiungere “risultati anche solo lontanamente paragonabili a quelli prodotti dai Quattro Cavalieri”. Se cosi stanno le cose, perché allora – si chiede Scheidel – la lotta contro la disuguaglianza distributiva riveste nel mondo contemporaneo tanta importanza? E perché vale la pena che la sua storia sia di continuo esplorata?
La necessità dell’impegno a sconfiggere l’eccessiva concentrazione del reddito e della ricchezza è giustificata dall’influenza negativa esercitata dalla disuguaglianza sulla crescita economica, anche se la trattazione teorica della relazione esistente tra disuguaglianza e crescita non sempre ha consentito di pervenire a risultati certi; ciononostante, si sostiene che livelli elevati di disuguaglianza sono strettamente associati a tassi di crescita più bassi. Ma oltre al problema della crescita, che interseca la lotta contro la disuguaglianza, va anche considerato quello riguardante il modo in cui possono essere cambiate le regole che presuppongono la disuguaglianza, tenendo però presente che, nel perseguire il riequilibrio della distribuzione del reddito e della ricchezza, non é possibile – avverte Scheidel – “chiudere gli occhi su quello che è servito per raggiungere questo obiettivo in passato”.
In altri termini, occorre chiedersi se un’eccessiva disuguaglianza sia mai stata rimossa senza il ricorso ad alti livelli di violenza; oppure se “fattori più benigni possano agire nella stessa maniera di questa grande forza livellatrice”. Ora, però, continua Scheidel, le risposte possono non piacere, perché, se la storia è “maestra di vita”, semplici attività politiche riformatrici potrebbero essere giudicate inadeguate per affrontare l’incremento della disuguaglianza indotta da mercati informati all’avvento dell’ideologia neoliberista.
Sarà bene – è la conclusione di Scheidel – ricordare che una perequazione radicale è sempre stata “generata solo nel dolore”; un motivo, questo, che dovrebbe essere sufficiente ad indurci “a fare attenzione“ a ciò che vorremmo vedere sempre realizzato. Ciò significa, per lo studioso di storia antica, che un certo grado di disuguaglianza, connesso alla crescita realizzata dall’economia di mercato senza alterare la stabilità politica, è il prezzo da pagare per vivere pacificamente, lontani dalla violenza dei “Quattro Cavalieri”.
Se è plausibile “pagare” il ben vivere con l’esistenza di un certo grado di disuguaglianza, meno tollerabile appare l’accettazione di una situazione globale come quella che nel 2015 era espressa dal fatto che le sessantadue persone più ricche del pianeta possedevano la stessa ricchezza netta privata di oltre 3,5 miliardi di persone, rappresentanti la metà più povera dell’umanità. E’ difficile pensare che l’ulteriore peggioramento di tale disuguaglianza, come l’ideologia neoliberista dominante lascia presagire, non scateni, prima o poi, l’azione di qualcuno dei “Cavalieri” protagonisti delle più violente “compressioni” già sperimentate, al fine di rimuovere l’ineguale distribuzione del reddito e della ricchezza.

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