Storie al tempo del coronavirus. Tre persone a passeggio: nonno con bambina, ragazza col cane… e il mio vecchio compagno Peppeto

18 Marzo 2020
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 Amsicora

Non so a voi, ma a me in questi giorni capita spesso di ricevere telefonate di vecchi compagni ed amici. Si vede che sono stufi di stare chiusi in casa con la moglie, che  non parla o li cazzia, e mi raccontano le cose più diverse, talvolta curiose. A me non me ne può fregar de meno. Magari sto leggendo e mi distraggono. Ma cosa faccio, chiudo il telefono? Sono persone con le quali, negli anni verdi, ho condiviso molte cose, pensavamo di cambiare il mondo, che dopo di noi niente sarebbe rimasto come prima. Ed ora che siamo cresciuti e abbiamo capito di avere perso malamente, che faccio? Dico che delle vecchie storie non m’interessa più nulla, che preferisco leggere un libro che sentire le loro lacrimevoli memorie?
Ma lasciamo le inutili premesse. Poco fa mi ha chiamato un vecchio compagno del liceo, Peppeto da Iglesias. “Amsicora! che bello sentirti” e poi i soliti convenevoli: “ti ricordi di qui“; “bei tempi di là”, “certo che noi non eravamo fermi e zitti come i giovani di oggi” e via dicendo, e io “certo, quelli sì che erano giorni!“, oppure “eravamo svegli e cazzuti, non addormentat e arrendevoli come i ragazzi di oggi” e bla, bla, bla. Poi Peppeto arriva al dunque. “Amsicora, senti c’erano tre…“. Minchia! Ci siamo, questo mi racconta la storiella del milanese grande e grosso, del calabrese piccolo e mingherlino e del sardo basso e tozzo. “Amsicora, questi tre…“; già prevedo il seguito: il milanse polentone se la prende col calabrese mingherlino, lo molesta e poi minaccia di menarlo. Si avvicina con arroganza a quel ragazzo indifeso…ed Efisinu, il sardo sempre dalla parte dei deboli, irrompe: “te la prendi con lui…che non ti ha cercato…perché non te la prendi con me! “. E il polentone, con aria divertita: “Ah, ah, sardignolo mezza sega, ti metto un dito…”, “ma non fa in tempo a continuare che Fisinu lo parte di testa e lo butta a terra come un sacco di patate…“.
Mentre sono assorto in questa previsione mentale, Peppeto mi grida: “Amsicora ci sei?, Mi senti?”. “Sì, ci sono”, rispondo.  E lui riprende:”Senti, al parco vicino a casa eravamo in tre a fare una passeggiata, non insieme, naturalmente. Davanti a me, a distanza, c’era un vecchio signore con la nipotina, un amore, la portava a passeggio. Ecco che un vigile urbano lo ferma e inizia a chiedergli la ragione della sua presenza lì con la bambina, anziché rimanere a casa. Mentre fa il cazziatone al nonnino, ecco che passa una bella ragazza con un cane bianco al guinzaglio. Fra me e me ho pensato, ora la cazzia malamente, se cazzia il vecchio con la bambina, immaginiamoci la giovane col cane! Mi pregustavo la scena e, invece…”. “Invece?”, chiedo, simulando ansia.  “E invece - prosegue -, vedendo il cane, la saluta quasi con riverenza e neanche la ferma, e si avventa minaccioso su di me”. E lei che fa qui, perché non è a casa?”, con tono canzonatorio, e già si preparava a redarguirmi o a multarmi.  Ed io, come ai vecchi tempi, l’ho fregato…“. “L’hai dribblato? Eccezionale! - intervengo io, per far vedere che la storia mi interessava. “E come hai fatto?“, chiedo, fingendo d’essere curioso. “Gli ho detto che ero uscito col cane, e che l’animale mi era sfuggito d’improvviso e lo stavo cercando. E il  vigile…“. “E il vigile che fa?, chiedo io. “Il vigile mi fa il segno di andare. Veloce! mi dice, se no, non lo acchiappa. E  così l’ho fatta franca! Che te ne pare?“- Ed io: “E bravo Peppeto, micca male, lo hai ben fregato! Come ai vecchi tempi! Ricordi quando al liceo abbiamo organizzato lo sciopero per il riscaldamento?”. E Peppeto ringalluzzito: “Bei tempi e come no? Il preside all’indomani ci chiamò ed era pronto a metterci una nota perché ci aveva visto arringare i nostri compagni e noi, candidamente: “è vero, signor preside, noi abbiamo arringato i nostri compagni, ma non per star fuori e saltare le lezioni, bensì per entrare in classe!“. “E il preside, che dalla finestra del suo ufficio ci aveva visto agitarci e parlare da un muretto agli studenti, ma non aveva sentito le nostre parole, per la lontananza, è rimasto incerto e perplesso. Nel dubbio non ci ha cazziato nè sospeso“.
E Peppeto riprende, con la solita solfa dei bei tempi e simili. E io: “tu hai perso il pelo (ora è quasi calvo, allora era capellone), ma non il vizio. A te nessuno ti metteva nel sacco allora e neanche oggi. Eri una volpe! Sei sempre una faina!“. E lui prosegue per un altro bel po’, prima di salutarmi. Uff, che palle! Non so come sgregarlo. Eppure - confesso - sentire Peppeto mi ha fatto piacere. Che bello riparlare con questi  vecchi compagnetti delle prime, ingenue battaglie al liceo. Bah, forse mi sto rincoglionendo anch’io, con questi sentimentalismi…allora ci atteggiavamo a duri e puri, tutti d’un pezzo…

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