Ancora e sempre è il lavoro a salvarci (meglio il questore di Truzzu)

28 Marzo 2020
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.Andrea Pubusa

Di fronte alle situazioni difficili, prendono risalto, diventano evidenti situazioni che solitamente rimangono sottotraccia, anche a causa dell’affermarsi di una gerarchia di valori che finisce per plasmare tutta la società. In questo hanno un ruolo importante i media, gli opinionisti, che influenzano gli stili di vita e i modi di pensare. Nella difficoltà saltano le gerarchie false e fittizie e tornano alla luce i ruoli e i rapporti veri.
Anche col coronavirus è così. Torna in evidenza il tanto bistrattato lavoro. Posto a base della nostra repubblica democratica dalla Costituzione formale (”fondata sul lavoro“), sostituito dal mercato in quella materiale (”fondata sul mercato“). Relegato fra le anticaglie dall’intellettualità che conta o da una sedicente sinistra radicalchic, rimprende subito il suo posto nel momento della necessità.
Al fronte chi c’è? Guardate il telegiornale: personale sanitario sfatto dalla fatica, addetti ai servizi essenziali, lavoratori delle produzioni e della attività necessarie. Gente spesso modesta, come le due commesse del piccolo negozio sotto  casa, che, con la paura negli occhi, ogni giorno aprono presto e ci danno quelle poche cose che ci consentono di stare a casa. Ai vecchi, e sono tanti nella mia zona, portano anche la spesa a casa. Sul fronte c’è anche il giornalaio che rischia il contagio nei tanti incontri, ma a ognuno regala un sorriso e a tutti un pizzico di libertà di stampa o il farmacista o parafarmacista che ci dà i farmaci.
Ecco, compagni ed amici, torna in evidenza il lavoro, che ha pari dignità, dalla commessa del negozietto al  farmacista, al primario della grande struttura sanitaria. E’ grazie a questa massa di lavoratori, che con onore e disciplina, ogni giorno fa il suo dovere, occupa in silenzio la sua postazione, che noi possiamo sperare di sopravvivere e ripartire.
Ed è ancora su quel fronte che si paga il prezzo più alto, a partire dai medici di base colpiti mortalmente dal virus per assistere i loro pazienti, specie quelli più deboli e bisognosi.
Non è finita l’emergenza e già si parla della ricostruzione. Cosa fare? Su quali valori ricostruire? Su chi investire? Su quali ceti sociali mettere l’attenzione? Bisogna impedire che ancora una volta sulle tragedie sociali si fondino speculazioni e ingiustificati arricchimenti. Non occorrono analisi cervellotiche per rispondere al quesito: la risposta è nel vento, davanti ai nostri occhi. Sono quei lavoratori che ancora una volta fanno il loro dovere, con generosità, con serietà. A loro dobbiamo ridare voce e visibilità nelle decisioni. Se ci pensate bene la democrazia di una società si misura con la considerazione che ha in essa il lavoro. Il tasso di democraticità è proporzionale al tasso di centralità dei lavoratori.
Questo è il messaggio che in questi giorni ha lanciato il segretario della CGIL Landini, quando è intervenuto con fermezza a bloccare i soliti noti che volevano continuare a far profitti sulla pelle dei lavoratori, mantenendo produzioni non essenziali. Prima le persone, la salute delle persone più esposte in ragione della natura del loro lavoro e poi i profitti. Prima il lavoro e poi il mercato, ha gridato Landini. E su questi concetti elementari che dobbiamo creare una vasta unità democratica oggi per mettere sui giusti binari la ripresa domani.
Questa unità si crea con l’esempio, con la convergenza solidale. Non servono o sono poco utili le sanzioni più alte o gli slogan più truculenti. Il sindaco di Cagliari, ad esempio, può fare di più incontrando, con le dovute cautele sanitarie, gli operatori del SS. Trinità, i lavoratori che ogni notte ritirano l’immondezza o che alle poste distribuiscono le pensioni o gli insegnanti che non mollano la classe con iniziative a distanza. O andando a ritirare dieci mascherine da quel Giorgio che, avendo l’azienda ferma e tessuto adatto, si è messo a fare mascherine e a regalarle. Le battaglie si vincono non ingenerando  paura, ma creando diffuso consenso sugli obiettivi e sui mezzi per raggiungerli.
Ha fatto meglio il questore, mandando gazzelle e poliziotti davanti al SS. Trinità a ringraziare a sirene spsiegate gli operatori sanitari in prima linea che il sindaco Truzzu con quei manifesti di cattivo gusto. Le sirene hanno indotto gli abitanti a uscire nei balconi creando una contagiosa solidarietà popolare. E’ questa e solo questa che può salvarci oggi e domani.

P.S. Dalla preghiera di Papa Francesco in Piazza S. Pietro

[…]  “Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
[…] Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita […] di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti
“.

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