Mio padre partigiano “Geppe”

24 Aprile 2020
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Dino Garau, figlio di Nino, il comandante “Geppe”

 (Nino Garau “Geppe” a destra in compagnia di un partigiano)

A sessantasei anni, quale è la mia età, non è da tutti poter godere ancora dell’affetto di entrambi i genitori, una mamma di novanta anni ed un padre di novantasei.
Non è da tutti inoltre, specialmente da noi in Sardegna, avere un padre che è stato un comandante partigiano che ha combattuto per liberare l’Italia dalla dittatura nazi-fascista.
Prima di scrivere cosa abbia significato, per me e le mie due sorelle, avere un padre partigiano voglio darvi alcune brevi note biografiche su di lui.
Mio padre si chiama Nino Garau, nome di battaglia durante la lotta di liberazione Geppe, nasce  a Cagliari il 12 dicembre 1923.
Nel 1941 entra nell’Accademia dell’Aeronautica Militare allora ubicata a Caserta e successivamente trasferita a Forlì nell’agosto del 1943 dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia nel luglio dello stesso anno.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre l’Accademia si scioglie e mio padre si rifugia a casa dei suoi nonni materni a Modena; la madre, Iolanda Gibertini, era di Modena. In questa città, tramite un suo zio, conobbe altri ragazzi che condividevano le sue idee e con i quali  fondò una brigata partigiana che intitolarono ad Aldo Casalgrandi un loro compagno caduto in combattimento; di questa brigata partigiana mio padre fu nominato comandante.
Nella notte tra il 30 ed il 31 dicembre 1944 fu catturato, dietro delazione, dai tedeschi e quindi sottoposto ad inimmaginabili torture allo scopo di fargli rivelare, ma senza riuscirvi, le preziose informazioni in suo possesso.
Riuscì a fuggire dal carcere di Verona e dopo un periodo di  convalescenza, per riprendersi dalle torture subite, riprese la lotta partigiana.
Il 23 aprile 1945, prima dell’arrivo degli alleati,  con la sua brigata liberò dai nazi-fascisti la città di Spilamberto nel modenese di cui, in occasione del 60° anniversario della Liberazione, fu nominato cittadino onorario.
Tornato a Cagliari, dopo aver subito ingiustamente 20 giorni di carcerazione perché accusato da una lettera anonima di concorso in omicidio di un fascista nella zona del modenese, si laurea in Giurisprudenza e quindi nel 1949 entra a far parte dell’amministrazione del nascituro Consiglio Regionale della Sardegna di cui, a partire dal 1962, divenne il Segretario0 Generale.
Il 4 settembre 1969 è stato insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i meriti ed il coraggio dimostrati durante la guerra di liberazione ed in particolare per avere resistito alle torture dei tedeschi senza rivelare le preziose informazioni in suo possesso.
Tornando al messaggio che voglio trasmettere posso affermare che l’educazione che nostro padre ci ha dato scaturisce da quei valori etici e morali che hanno ispirato la lotta di liberazione partigiana dalla dittatura nazi-fascista.
Mio padre ci ha fatto comprendere che una comunità può convivere pacificamente e democraticamente solamente se il   sistema che la governa si basa su valori che conducono ad una  tolleranza reciproca.
Per noi figli nostro padre è una persona da prendere assolutamente a modello e quindi abbiamo cercato di fare nostri quei valori che hanno creato il suo stile di vita per poi cercare di trasmetterli ai nostri figli.
Il principio cardine dell’educazione che nostro padre ci ha impartito riguarda il dovere di portare rispetto per le persone che non la pensano come noi per idee, religione, cultura, scelte politiche, orientamento sessuale o che appartengano ad altre etnie.
Una volta assimilato questo principio educativo divengono normali i comportamenti virtuosi ed in primis quello di non  pensare di essere il primo in tutti gli eventi della vita ed avere il primato di essere depositario dell’unica verità possibile.
Da ciò divengono naturali altre numerose condotte virtuose quali:
- non offendere nessuno, neppure nell’ambito ristretto delle amicizie, perché l’offesa genera rifiuto ed intolleranza;
- non imporre mai le proprie idee agli altri, ma rispettare ogni opinione in modo democratico;
- non  esimersi mai dal confronto dialettico con gli altri ma esporre liberamente le proprie idee senza offende l’intelligenza altrui;
- favorire  il dialogo su tutte le tematiche senza ritenere tabù alcune di queste sulle quali sei poco disposto;
- perseguire la ricerca della verità con onestà intellettuale, senza menzogna e falsità;- creare solidarietà con persone di etnia, cultura ed estrazione sociale diversa, e  quindi non sentirsi un privilegiato rispetto a chi proviene da altre realtà;
- nelle situazioni di incomunicabilità scegliere il silenzio come via preferenziale per superare i contrasti;
- quando ci si trova di fronte a falsità accertate non stizzirsi contro il falsario di turno  ma smascherare le sue pecche;
- rifiutare la volgarità in qualsivoglia situazione della vita poiché questa è l’anticamera della violenza e quindi, se diffusa, consente la nascita di regimi violenti e  dittatoriali.
Questi sono i  valori etici e morali per i quali mio padre ed una gran parte dei suoi coetanei, numerosi dei quali hanno perso la vita in modo più o meno feroce, hanno combattuto  per abbattere la dittatura nazi-fascista e donarci un’Italia libera e democratica.
Un’Italia democratica ove la Carta Costituzionale sancisce tutti quei valori etici e morali sopra esposti per dar vita ad un sistema ove ogni cittadino è tutelato. I valori che ci provengono dalla lotta di liberazione hanno ispirato la nostra Carta Costituzionale che è la legge fondamentale dello Stato Italiano da cui attinge l’ordinamento giuridico che ci garantisce quel sistema democratico che consente a tutti noi di convivere nella massima pace sociale consentita.
La speranza di tutte le persone di buona volontà è che i nostri connazionali non vengano attratti  da quelle forze politiche che pongono al primo punto del loro programma il fatto che esistono persone superiori ad altre e che viene riassunto dallo slogan “Prima gli Italiani”, modificato a seconda del luogo ove si trova il politico di turno di quella parte politica.
Una società ove chiunque accampi un primato su chicchessia è di fatto una società violenta ove nessuno è garantito nelle più elementari libertà e quindi si creerebbe un clima di sopraffazione e violenza ove i più forti avrebbero la meglio sui più deboli e quindi la nascita di regimi autoritari e liberticidi.
In questo drammatico momento ove la pandemia da COVID-19 ha paralizzato il mondo intero  acquista ancor più importanza la tolleranza ove nessuno possa accampare primati su altri; solamente un mondo solidale potrà consentire a tutti noi di superare questa tragica pandemia e le altre sfide a cui l’umanità verrà chiamata.
Con la speranza che nel mondo i genitori “partigiani” siano sempre più numerosi e la tolleranza si diffonda sempre di più, particolarmente tra le nuove generazioni, auguro a tutti una serena FESTA DEL 25 APRILE per quanto la situazione pandemica possa consentire.

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