Carbonia. Nasce il movimento operaio

17 Maggio 2020
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Gianna Lai

Puntuale anche questa domenica una tessera per comporre la storia di Carbonia. La prima domenica 1° settembre.

Le vicende della classe operaia del Sulcis vanno ricostruite tenendo conto, innanzitutto, della provenienza  geografica e sociale di un proletariato urbano, quasi del tutto nuovo e sottoposto a continui e rapidi ricambi. Nella sua formazione tanto considerevole fu l’apporto dell’emigrazione di origine rurale e, a partire dal dopoguerra, anche di quella industriale, proveniente dal bacino dell’Arsa e dalle miniere sparse nella penisola. La prima,  ancora  manodopera improvvisata, priva di cultura operaia, piuttosto condizionata dall’attesismo, dall’immobilismo contadino delle zone agricole e pastorali, e fortemente influenzabile dalla propaganda fascista. Ma, evidentemente la più adatta alle esigenze di un processo produttivo scarsamente meccanizzato, in conseguenza del quale l’azienda statale ACaI- SMCS avrebbe continuato a praticare politiche di bassi salari e di contenimento del costo del lavoro.  Più preparata sul piano professionale la seconda,  e già politicizzata, forte delle esperienze di lotta antifascista nella clandestinità, con la costruzione delle cellule comuniste dentro l’esercito e nei cantieri. In questa ‘concentrazione operaia, sviluppata in tempi rapidissimi, assolutamente straordinaria per la Sardegna e per il Mezzogiorno degli anni Cinquanta’, come  dice Sandro Ruju ne ‘I mondi minerari della Sardegna’, importante il contributo degli operai umbri, toscani, emiliani, e di quelli sardi provenienti dalle vicine zone minerarie, provvisti di  una migliore conoscenza della miniera stessa, per poter mettere a disposizione dei nuovi arrivati le loro conoscenze e promuoverne  crescita professionale e culturale. Lavoratori politicizzati, i più consapevoli, ‘che durante il conflitto avevano partecipato ad azioni propagandistiche  tra i soldati e contribuito alla formazione di cellule comuniste nei reggimenti di appartenenza’, raccontava  Renato Mistroni, che sarebbe poi stato il primo sindaco comunista della città, ora impegnati a promuovere, tra gli operai, nuovi rapporti di solidarietà nei luoghi di lavoro e nella vita quotidiana’.
Furono principalmente questi legami tra uomini segnati da storie così diverse, che costruirono, a partire dall’immediato dopoguerra, le prime significative esperienze di lotta operaia nell’isola, in quanto vero movimento organizzato attraverso stabili strutture politiche e sindacali. E, per quanto isolati nella città ideata dal fascismo, per mantenere ferma la divisione fra industria e mondo agropastorale, tra la città e il territorio,  essi si impegnarono fin da subito a sviluppare una nuova coscienza critica e valori di uguaglianza e giustizia sociale tra i lavoratori del Sulcis e di tutta la Sardegna, aprendosi alle esperienze dei contadini e dei pastori e contribuendo a promuovere, anche tra loro, le forme associative della nuova organizzazione sindacale. Nonostante il ricambio pressocché totale della popolazione mineraria nell’immediato dopoguerra, e poi nella fase conclusiva della ricostruzione industriale, rendesse così impegnativo il lavoro politico tra le masse, mettendo continuamente a dura prova la resistenza dei militanti, coinvolti in questo importante processo di rcostruzione del tessuto sociale nel Sulcis. ‘Le tragiche conseguenze della politica fascista contro la classe lavoratrice e il proletariato delle città e delle campagne, le misere condizioni di vita del dopoguerra, la convinzione così radicata fra gli emigranti sulla  precarietà del lavoro in miniera, proprio per la sua incerta durata’, avrebbero reso quanto mai difficile la prima fase di costruzione del movimento. Quando, cioè, ‘era molto importante dare risposte alla rassegnazione di molti e nuove prospettive alla protesta operaia,  da incanalare piuttosto nelle giuste forme della costruzione di un vero sindacato libero, di un’Italia democratica e antifascista.
E che il clima fosse questo, lo descrive bene  Girolamo Sotgiu ne ‘La coscienza della provvisorietà’, un articolo del 1988, pubblicato su La nuova Rinascita sarda, in occasione dei cinquanta anni di Carbonia. Ma ancora più difficile costruire dal nulla una nuova esperienza politica nel territorio, fin da subito in contrasto col presidio delle truppe alleate di occupazione, che mantenevano, nei confronti degli operai, il rigore, per molti aspetti, e la stessa disciplina degli anni di guerra. Comminando licenziamenti e carcere a chi, semplicemente, denunciasse le gravi condizioni di lavoro in miniera e di sottoalimentazione, di sporcizia e di sovraffollamento negli alloggi popolari e nelle abitazioni di fortuna, sparse in tutta la periferia cittadina. Eppure, la convinzione che fossero maturi i tempi per una radicale svolta politica avrebbe prevalso, aprendo anche nel Sulcis, fin dai primi mesi successivi la caduta del fascismo, nuove prospettive di democrazia e di progresso civile. Dalle prime forme di violenta protesta contro la fame,  alle rivendicazioni sugli approvvigionamenti e contro il mercato nero, nel quadro, questa volta della lotta sul salario e per migliori condizioni di lavoro in miniera e di vita in città. Mentre si costruiscono le  nuove strutture poltiche  e sindacali, a voler quasi cominciare a definire l’autonomia  del movimento, contro la condizione di totale sudditanza al potere, imposta per anni  dal sindacato fascista. E sarebbe anche cresciuto nel tempo l’impegno per la pace e contro la guerra, proprio grazie al partito e al sindacato nuovo, un convinto impegno di trasformazione del paese, verso un futuro di giustizia e di equità sociale. Intanto, grazie al fatto che  i primi militanti impegnati a Carbonia non avevano del tutto dimenticato esperienze e storia  dei lavoratori del Sulcis-Iglesiente tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, fino alle repressioni fasciste contro  movimenti e amministrazioni di sinistra, a Carloforte, Bugerru,  Iglesias, Portoscuso e  Bacu Abis. E se come dice ancora Ruju, ‘ Carbonia e la sua miniera si aprono in un territorio minerario ricco di tradizioni di lotte per la dignità del lavoro’, proprio in  quelle vicende  avrebbe trovato linfa vitale, nel dopoguerra, il movimento che sorge a Carbonia, pur dentro un contesto diverso, un diverso orientamento politico, più avanzato, teso, in particolare, a un  forte coinvolgimento di tutte le categorie di lavoratori, compresi contadini e pastori delle campagne.
A sollecitarne l’organizzazione, a determinarne l’orientamento i partiti della sinistra, il Pci in particolare, forte  ancora per aver mantenuto una sua struttura organizzativa nella clandestinità, e per la  sua politica  proiettata verso la costruzione del partito di massa e verso l’esperienza dell’Unità nazionale.
Diceva  Renato Mistroni, nella su intervista così utile per ricostruire quelle vicende,  che i primi militanti politici del continente, trasferitisi a Carbonia, furono in grado di organizzare le masse sulcitane per aver vissuto l’opposizione al regime, e per aver partecipato all’organizzazione del movimento clandestino delle cellule comuniste nell’esercito e nei luoghi di lavoro. Tuttavia, ‘pur essendo di grande aiuto la memoria dei nostri vecchi compagni, le indicazioni e gli insegnamenti acqusiti in carcere, al confino o nella quotidianità dell’azione illegale, fra i militari e gli operai,  era l’assenza in città di riferimenti culturali e politici a livello di massa ad ostacolare la costruzione di un programma di nuova democrazia, che fosse frutto dell’elaborazione collettiva. Perchè, se si conosceva il funzionamento delle cellule comuniste, avendo un rapporto diretto con i più anziani, che avevano partecipato alla loro costruzione nelle miniere del Sulcis subito dopo l’armistizio, non si avevano invece cognizioni ben precise  sull’organizzazione delle sezioni, del sindacato, come far sorgere, cioè, quelle strutture di massa che avrebbero potuto far crescere il movimento nei luoghi di lavoro’. Ci confortava e ci dava forza la convinzione del compito svolto dal PCI contro il fascismo durante il regime e ora durante la Resistenza, poterne rivendicare di fronte alle masse ruolo e prestigio’. Così sembra fargli eco Paul Ginsborg ne L’Italia del tempo presente, ‘Il PCI traeva  beneficio dal suo ragguardevole passato di resistenza al regime fascista, ma ancorpiù dall’essere il rappresentante italiano della Russia comunista. Il carisma sovietico di questo periodo non può essere sottovalutato, decine di migliaia di lavoratori italiani vedono nella Russia un modello e nell’Armata rossa un fattore determinante per l’avvento del comunismo’.

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