FCA, convergenza con la linea della nuova Confindustria

25 Maggio 2020
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Alfiero Grandi

La pandemia è ancora tra noi, seppure con minore virulenza, ora è indispensabile concentrarsi sul superamento delle drammatiche difficoltà occupazionali ed economiche. Il governo è finalmente riuscito a pubblicare la versione finale del decreto legge che allunga i tempi degli interventi di sostegno al reddito, li allarga e li completa, punta al sostegno del sistema economico e occupazionale che più ha subito i contraccolpi della chiusura delle attività per oltre due mesi sia con prestiti che con interventi a fondo perduto. Occorre fare presto, i provvedimenti attuativi sono tanti. L’odore dei quattrini messi a disposizione dai vari provvedimenti e la prospettiva di ulteriori interventi per sostenere ulteriori interventi green ed innovativi con il sostegno dell’Europa ha attratto chi è da sempre attento agli interventi pubblici con l’obiettivo di trovare buone occasioni per guadagnarci. Un conto è chi è in ginocchio e ha bisogno di sostegno, altro è chi cerca di rafforzare la sua situazione senza averne bisogno in senso stretto. È partita FCA Italy chiedendo un prestito garantito dallo Stato di 6.3 miliardi di euro e subito dietro si sono già accodati altri soggetti finanziari e industriali con l’obiettivo di conquistare parte dei fondi stanziati con il decreto legge rilancio Italia, titolo un poco enfatico ma per alcuni particolarmente promettente. Prima di applicare le norme sui prestiti alle grandi aziende chi affronterà questi dossier dovrebbe rileggere il testo del decreto che contiene fin dalle prime pagine riferimenti precisi a condizioni e comportamenti, anche se non riferiti strettamente ai casi in questione.

Se aziende più piccole debbono rispettare precise condizioni perché mai dovrebbero sfuggire quelle grandi?

All’articolo 27, ad esempio, i provvedimenti vengono riservati solo a chi ha sede in Italia e si impegna a non distribuire dividendi per tutto il periodo in cui riceverà aiuti, inoltre deve impiegare le risorse per spese ed attività in Italia, anche reinsediando attività in precedenza decentrate. Non sarebbe comprensibile sostenere che le condizioni previste per le imprese di minore dimensione non debbano valere anche per quelle grandi. È vero che spesso anche aziende di minore dimensione hanno imparato ad usare sistemi al limite dell’elusione, se non dell’evasione, fiscale, ma è certo che le aziende di maggiori dimensioni usano in modo spregiudicato la dislocazione delle holding in altri paesi, sfruttando differenze legislative e fiscali. Come ha detto bene Vincenzo Visco hanno scelto di diventare aziende apolidi, salvo ricordarsi del proprio paese quando si presentano occasioni convenienti come oggi per ottenere finanziamenti. Non va dimenticato che il decreto rilancio amplia e precisa le condizioni per intervenire con la golden power o potere di condizionamento dello Stato, e amplia i settori produttivi in cui può essere fatta valere, tra cui i trasporti e l’automotive, come viene chiamato oggi il settore dell’auto, lo è. È una possibilità ma dipende da una valutazione politica e se stiamo a come è andata quando FCA ha portato all’estero le sue sedi, legale in Olanda e fiscale a Londra, non c’è molto da stare allegri visto che troppi si sono girati dall’altra parte fingendo di non capire cosa stava accadendo. Quando Fincantieri ha cercato di acquisire i cantieri francesi ha fatto i conti con un ostacolo politico: la presenza e il ruolo dello Stato francese.

Ora FCA chiede, attraverso Banca Intesa San Paolo, di avere un prestito con la garanzia dello Stato per 3 anni di 6, 3 miliardi di euro. Tanti soldi.

Anche un autorevole dirigente del Pd si è chiesto se è normale avere richieste come questa da chi ha portato le sue sedi all’estero e si è vantata di non essere più una holding italiana. Ha fatto benissimo a chiedere garanzie. Infatti FCA, dopo l’unione di Fiat e di Chrysler, ha deciso da alcuni anni di diventare apolide, cioè non più italiana, con sede legale in Olanda e fiscale a Londra. FCA Italy è solo una parte del gruppo che la possiede. La Holding per di più sta per fondersi con la francese Peugeot, apparentemente alla pari. In realtà in futuro ci sarà un’agguerrito ruolo francese, che avrà la direzione generale e quella finanziaria, in più la presenza dello Stato francese. Mettere in campo la proposta di una presenza dello Stato italiano non sarebbe una bestemmia. Anzi, sarebbe una garanzia corrispondente alla cifra richiesta in prestito e potrebbe garantire che l’impiego delle somme sia destinato alle aziende italiane e ai lavoratori, che non diventi, nemmeno per scherzo, il flusso finanziario con cui FCA potrebbe garantire ad Exor, la cassaforte, un extra dividendo di 5,5 miliardi al momento della fusione con Peugeot. John Elkann ha detto che l’impegno a un dividendo di 5,5 miliardi di euro è scolpito nel marmo, certamente nel marmo non è scritto che i soldi debbano venire dallo stato italiano. Se dovesse corrispondere a realtà che l’impegno FCA al dividendo contestuale alla fusione con Peugeot è scolpito nel marmo dovrà trovare i quattrini altrove, perché il governo italiano dovrà attraverso un apposito decreto del Ministro dell’Economia autorizzare il prestito e quindi dovrà spiegare perché proprio a FCA è riservato questo trattamento di favore, mentre ci sono aziende più meritevoli e che hanno intenzione di usare i prestiti per affrontare i guasti della crisi.

Ci sono sempre altri forzieri come quelli olandesi da cui FCA può attingere quattrini se non vuole accettare le condizioni.

Purtroppo i governi italiani hanno subito quando FCA ha deciso di stabilire la sede in Olanda e quella fiscale a Londra, senza tentare di bloccare la scelta, senza chiedere alla Commissione europea di aprire una procedura di infrazione per concorrenza fiscale sleale, all’epoca anche Londra era nella UE. Con la stessa logica si sta consentendo ad Amazon di diventare di fatto monopolista nel settore delle vendite online, pagando imposte irrisorie. La trattativa va condotta con chiarezza perché il caso FCA ha conseguenze più generali, visto che anche altri si sentirebbero in diritto di avanzare richieste dello stesso tipo. Se la trattativa dovesse entrare nel vivo di fronte ad un ricatto diretto sull’occupazione, si cerchi almeno di reagire con la forza che proprio la richiesta di prestito mette nelle mani del governo. La presenza pubblica è opportuna almeno per il tempo del prestito, e porterebbe ad una situazione simmetrica tra Francia e Italia, consentendo di controllare gli impegni su aziende e occupazione. La revisione delle decisioni sulla sede legale e fiscale anche dopo la fusione è indispensabile visto che è di dominio pubblico che anche la sede del nuovo gruppo sarà in Olanda. Occorre acquisire garanzie che quello che farà l’Italia lo faranno anche gli altri Stati per aziende italiane.

Riflessione finale. FCA ha punti di politica aziendale sovrapponibili alla linea della nuova Confindustria. Qualcosa di oggettivo lega i comportamenti che vedono lo Stato come un insieme di risorse da spremere e le condizioni che potrebbe porre come un fastidio da togliere di mezzo, dando ad intendere che è solo burocrazia, ottenendo mani libere per le imprese. La classe egemone non si cela dietro a schermi e vuol decidere direttamente, mettendo a tacere i sindacati e i governi che vogliono avere voce in capitolo nelle scelte, vissuti come intralci, perdite di tempo, perché il punto di vista dell’impresa dovrebbe essere accolto a scatola chiusa. A conferma che le classi esistono tuttora, come disse Buffet, ma qualcuno oggi è frantumato e debole mentre altri pensano che sia bene sancirne la subalternità da subito, lasciando cadere ubbie di partecipazione e di coinvolgimento, per sfoderare il duro nerbo di chi decide e i provvedimenti di sostegno all’economia, paradossalmente, accelerano lo scontro sociale e di potere che si svilupperà nei prossimi mesi attorno al forziere degli aiuti.

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